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Paola Scalari e Francesco Berto


Tutti sono figli
Ogni bambino è un individuo concepito da una coppia che diviene gruppo familiare con la nascita del figlio.
Questo piccolo nucleo, racchiuso in un solido anche se invisibile confine, viene riconosciuto sia dalle due famiglie d'origine sia dalla società come il luogo dove saranno trasmessi al piccino quegli affetti e quei limiti necessari per poter stare al mondo.
I nonni, i parenti, gli amici, le famiglie del vicinato, tutti insieme, costruiscono allora quella culla emotiva dentro alla quale il piccolino viene accolto assieme ai suoi genitori, viene riconosciuto come componente del gruppo familiare e viene infine iscritto nella sua genia.
I servizi come - Spazio Incontro - si pongono perciò l'obiettivo di custodire questi contenitori umani promuovendo ed incrementando di continuo le relazioni familiari, ma anche assumendo, qualche volta, la funzione di incubatrice premurosa che sa sostenere il genitore in difficoltà.
- Spazio Incontro-, infatti, incrementando le relazioni familiari e sostenendo il genitore a disagio spera di garantire ad ogni nuovo nato la porzione d'amore e il senso della realtà che gli sono necessari per crescere. I diversi professionisti, infatti, sanno di poter sostenere la sana evoluzione del piccino sostenendo l'ambiente relazionale dentro al quale la sua mente sta formandosi e sviluppandosi.
Ogni individuo, per divenire padre o madre, deve faticosamente integrare diversi aspetti delle sue precedenti identità, quella di bambino, di figlio, di maschio o di femmina, di adulto sposato e di coniuge. Deve poi, nella triade che compone il suo attuale nucleo familiare, mettere in gioco questa sua nuova identità ponendola al servizio dei processi di identificazione e di proiezione che vanno a formare sia la mente dei piccoli sia la possibilità che il partner con il quale ha concepito il bambino si senta considerato un genitore adeguato.
Un bambino sta quindi al vertice di un triangolo composto alla base da mamma e papà. I lati sono tre e tre sono pertanto i fondamentali legami che fondano una famiglia. Ma ogni genitore essendo a sua volta figlio ha sviluppato un legame specifico con sua madre e suo padre. In scena allora ci sono altri sei legami. I segmenti che uniscono genitori e figli vanno poi moltiplicandosi via via che si risale la catena intergenerazionale. Ogni nuovo cucciolo d'uomo entra allora in una trama relazionale complessa che ha la sua origine in tempi remoti. Si possono perciò rintracciare - sempre e in modo inequivocabile - gli influssi positivi e negativi delle due ultime generazioni. Gli adulti chiamati ad occuparsi del figlio, si portano pertanto dentro un patrimonio emotivo ricevuto in dote dai loro genitori e rielaborato nella coppia coniugale. Ogni mamma e papà sono quindi costretti, consapevolmente o meno, a trasmettere la loro eredità affettiva al piccolo.
Ogni figlio esige che tutti questi vincoli si depositino dentro di lui come rapporti vivificanti, appassionati e intensi. Sono legami colmi d'amore e di premura nei quali scorre quella linfa vitale che porta ogni nuovo nato, giorno dopo giorno, a sviluppare connessioni concettuali nella mente e relazioni umane nel mondo esterno.
Mamma e papà, per far diventare il figlio un essere sociale capace di stare bene con se stesso e con gli altri, devono trasmettergli il valore delle relazioni emotive attingendo al loro patrimonio transgenerazionale e al loro patrimonio coniugale.
Ogni figlio, allora, cresce e si sviluppa tanto quanto il gruppo familiare entro cui nasce e viene cresciuto sa sostenere quelle dinamiche gruppali fantasmatiche e reali che, sempre, sono fortemente pregne di emozioni provenienti dal mondo relazionale passato ed attuale.
Il bambino porta allora alla luce la capacità affettive che uomini e donne, divenuti con lui genitori, hanno coltivato negli anni precedenti. Adesso il rapporto con il piccolo mette alla prova, convalida e stabilisce la qualità e la consistenza delle capacità relazionali dei suoi genitori. Se mamma e papà hanno capito come ci si rapporta con l'altro da sé donano una vita psichica autonoma al figlio e lo aiutano a divenire un individuo che sa vivere quei legami che lo uniscono ad ogni altro essere umano dopo che è venuto al mondo con quel taglio del cordone ombelicale che rende tutti figli.

La genitorialità
Per divenire un genitore mentale, e non solo biologico, occorre che madre e padre affrontino un lavorio interiore particolarmente complesso.
Sono infatti chiamati a sintonizzarsi con il Sé bambino con il quale si identificano mentre il figlio piange disperato, chiede con prepotenza, appare appagato e felice. Ma mentre i genitori cercano di rendere soddisfatto il piccolo le sue urla e le sue richieste chiamano in causa il loro Sé figlio che è stato - più o meno - compreso dai loro genitori del passato ed è - più o meno - capito da quelli attuali. Se poi ci sono stati nella vita del genitore dei lutti importanti di uno o di entrambi i suoi cari, i sentimenti che il figlioletto richiama alla mente dell'adulto sono complessi e, spesso, dolorosi poiché il piccino ora ha quel che mamma o papà hanno perso. Vivi o defunti che siano, mentre il genitore si prodiga per il piccolo, una parte del suo Sé adulto si identifica con la propria madre o con il proprio padre e osserva come sta educando il suo bambino e nota ciò che sta facendo in continuità con i suoi parenti e quel che invece sta facendo in discontinuità con gli stili di vita a lui imposti.
Mentre il Sé bambino, il Sé figlio e il Sé adulto stanno cercando di accordarsi ognuno dei due coniugi aiuta o boicotta questo lavorio confermando o disconfermando il partner che si trova così a dover accudire e rinnovare anche il Sé coniugale. Esso infatti è in parte sollecitato da qualsiasi neonato a trasformarsi in Sé genitoriale.
Questo gruppo interno, formato da una molteplicità di figure interiorizzate negli anni, deve potersi accordare per arrivare a condividere un unico scopo: quello di dedicarsi al bambino in carne ed ossa.
Una volta che il gruppo interno trova il suo assetto è però costretto ad un ulteriore lavorio psichico per mettersi in comunicazione con il mondo esterno. L'intreccio tra le diverse parti del Sé, identificate con questa o con quella figura del passato e del presente, infatti, deve trovare accordi ed intese con i soggetti reali che compongono il gruppo familiare.
Bisogna adoperarsi per il piccolo, ma anche condividerlo con il partner. Occorre iscriverlo nelle due stirpi a cui appartiene affinché possa crescere e andare per il mondo con passo sicuro perché radicato in una storia ben precisa che unisce la famiglia di mamma con quella di papà. I nonni quindi divengono personaggi cruciali per scaricare malumori, per chiedere soccorso, per attingere consigli, per avere conferme... Questo percorso è di per sé irto di ostacoli, ma, oggi, risulta ancor più complicato poiché le competenze dei nonni diventano facilmente superate in una società che corre ad una velocità vertiginosa. Se i nonni tacciono lasciano troppo soli i neo genitori, se parlano diventano facilmente troppo invadenti, pretenziosi, disconfermanti.
E' necessario allora sintonizzare ripetutamente il gruppo interno integrato con le vicende che caratterizzano il gruppo familiare più o meno esteso, ricomposto, ridotto ad una monogenitorialità.
E non solo perché la composizione della famiglia può modificarsi a causa di nuovi nati, di separazioni tra coniugi, di morti improvvise, ma anche perché le diverse età del bambino via via chiamano in causa degli aspetti diversi che riguardano se stessi e i propri interlocutori.
Il gruppo interno è dunque attraversato da molteplici emozioni a seconda dell'età del figlio e a seconda della composizione del gruppo familiare.
Il concetto di genitorialità, pur singolare nel suo genere grammaticale, è quindi sicuramente un concetto plurale per quanto riguarda la vita psichica delle madri e dei padri.
Per questo lo strumento privilegiato per dare vita ed allenare l'identità genitoriale è il gruppo di discussione.

I partecipanti
I genitori hanno dimostrato di aderire con passione ad un gruppo di discussione che li fa incontrare tra di loro. Questa spontanea partecipazione ha le sue motivazioni nel naturale confronto che, da sempre, le madri hanno messo in scena incontrandosi nell'aia o nel cortile condominiale, davanti al focolare o davanti al portone della scuola, nel sagrato della chiesa o ai giardini pubblici. Le donne si sono dunque sempre passate le conoscenze sulle cure che richiede la prole e sulle strategie migliori per far rigare dritti i figlioli.
Una interessante novità invece si profila nella partecipazione dei padri. Entrati alla chetichella in quantità esigua nei primi gruppi di discussione proposti dai servizi, sono divenuti non solo sempre più numerosi, ma anche sempre più interessati e partecipi.
I nuovi padri desiderano prepararsi allo svolgimento delle loro funzioni paterne. E non facendo i "mammi", come forse si delineava per i primi papà dediti ai figlioletti, ma vogliono essere dei padri materni, cioè capaci di vivere fino in fondo il piacere dell'intimità con il proprio bambino. Entrano allora non solo nelle sale parto per vedere, per primi, il pargoletto, ma si prendono congedi parentali per assisterlo e, volentieri, affiancano le madri nei compiti di cura, gioco, custodia del figlio. Questi giovani uomini assolvono allora con gioia ai loro compiti e compartecipano in pieno alla sfida educativa che i figli inviano loro quando le mamme non interferiscono con bruschi comandi volendoli rendere più baby setter che papà. Per questo si iscrivono con solerzia ai gruppi genitori, li prendono sul serio, li frequentano con assiduità, quasi come un master professionale. Vogliono essere sicuri di far bene il loro mestiere.
Mamma e papà, ma in alcuni contesti anche nonni e zii si avvicinano allora alla nuova Agorà, proposta dai gruppi genitori organizzati dalle istituzioni, per ritrovare il gusto del cicaleccio femminile o il piacere del mettersi alla prova tipico del maschile. Queste due modalità incontrandosi e scontrandosi nei gruppi di discussione aprono dialoghi inediti su come formare le nuove generazioni.
Per la prima volta nella storia familiare questo confrontarsi sui temi dell'accudimento della prole non solo passa dall'ambito privato a quello pubblico, ma coinvolge anche sullo stesso piano uomini e donne.

Il gruppo di discussione
I servizi come - Spazio Incontro - propongono allora molteplici gruppi per discutere, per imparare a modulare stili relazionali diversi, per sognare il futuro di un figlio, per immergersi nel mondo emotivo proprio ed altrui. Offrono cioè gruppi small o large per ritrovare il contatto visivo ed emotivo con personaggi che richiamano alla mente delle parti insondabili di se stessi, ma anche delle tipologie di persone che rievocano le proprie figure genitoriali.
Proprio perché il gruppo di discussione offre l'opportunità di mettere in campo nel mondo reale ciò che sta avvenendo nel mondo interiore di ciascun genitore, i fantasmi del passato e del presente trovano un'immaginaria incarnazione nei diversi partecipanti all'esperienza.
Affinché un collettivo diventi un'unica mente gruppale capace di evolvere è però necessario che ci sia un coordinatore. La teoria che sostiene la nostra concezione per la conduzione dei gruppi si fonda sulla psicologia sociale analitica che ha dato vita in Argentina, con Enrique Pichon Riviere e Armando J. Bauleo, alla tecnica del gruppo operativo.
Il coordinatore garantisce che madri e padri che si incontrano diventino un gruppo e che rimangano dentro al compito dichiarato: occuparsi dell'identità genitoriale.
Il coordinatore dà innanzitutto le coordinate spazio temporali che permettono alle persone di incontrarsi. Ribadisce poi ripetutamente il tema del gruppo e vigila affinché non venga abbandonato, aiuta i partecipanti a dialogare tra di loro e favorisce il confronto delle esperienze ed infine mette in luce il non detto. Guarda cioè ai significati di ciò che sta al di là delle parole pronunciate e pone sempre lo sguardo sull'invisibile agli occhi.
Questo setting funge da cornice che impedisce ai contenuti emotivi che emergono nelle discussioni di disperdersi.
Il coordinatore sta quindi "dietro" al gruppo dei genitori e mai lo "tira" in una qualche direzione. Egli non sa cosa mamme e papà devono fare con i figli, ma sa come allenarli a pensare, a sostenere il dubbio, ad aprire la ricerca sugli stati emotivi, a mantenere aperte le domande e a formulare nuovi interrogativi. Il suo compito è pertanto quello di permettere all'esperienza di confronto di compiersi senza farla ancorare in pregiudizi, bloccare in stereotipi, fissarsi in preconcetti, avvitarsi in cose risapute. Affinché questo accada lascia che il gruppo esplori le idee che emergono e si limita a punteggiare il processo con quelle affermazioni che sanno ridare impulso alla ricerca interiore, far uscire da difese maniacali, rompere convinzioni arroganti. Il suo dire è allora teso a far pensare e giammai a dire cosa si deve pensare! Se il coordinatore del gruppo si assume la responsabilità di allenare mamme e papà a sviluppare la loro identità genitoriale sa infatti che essa è basata sulla flessibilità. E la flessibilità è l'elemento emotivo che permette al genitore di incontrare il figlio così com'è senza costringerlo dentro a schemi e ad aspettative che non gli si addicono. Quindi, grazie ad una funzione di rispecchiamento, il genitore che incontra un coordinatore capace di non saturare il clima del gruppo con le sue convinzioni aiuta mamme e papà a non saturare la vita familiare con le loro idee precostituite. Magari sono anche convinzioni giuste. Ma ciò che non è appropriato è volere che gli altri pensino ed agiscano così come si crede opportuno. Nemmeno l'essere il genitore di quel figlio dà il diritto a piegarlo alle proprie convinzioni. Essere madre e padre implica solo il dovere di accompagnare il figlio a stare al mondo in modo soddisfacente. E in questo piacere ci sta anche la necessità di garantirgli di vivere la sua vita e non quella che il genitore vuole per lui. Il coordinatore allora, con il suo atteggiamento mentale, assume una funzione genitoriale verso i componenti del gruppo. La funzione del pensiero esplorativo, della riflessione aperta ad inedite intuizioni, della pazienza nel trovare significati e della fiduciosa attesa vengono assimilate dai genitori e portate a casa dentro alla loro mente per venire trasmesse al figlio.
Discutere tra genitori permette allora di imparare a pensare al piccino perché il coordinatore pensa al gruppo nella sua totalità mentre i diversi partecipanti imparano ad ascoltare l'altro stando in silenzio, meditando, discutendo. E' il trovare il ritmo di questo parlare collettivo che modifica la vita interiore del genitore offrendo una esperienza che va a arricchire, rielaborare, risolvere la sua storia familiare.
La storia gruppale naturale e quella istituzionale si incontrano e si scontrano nella mente di ciascun partecipante facendo terminare la discussione quando ciascun genitore si sente cambiato.

I cambiamenti
Il gruppo di discussione tra genitori può essere istituito con un numero variabile di componenti e una durata diversa. Si va dai piccoli gruppi che si incontrano per un tempo breve o lungo, ma dove ciascuno impara a conoscere chi vi aderisce, ai gruppi allargati o estesi dove le persone possono non riconoscersi e possono incontrarsi anche per una sola volta.
Se il tempo del processo e il numero dei partecipanti sono diversificati non è invece mai diverso l'obiettivo delle sedute gruppali che si connota nel far fare un'esperienza che coinvolga l'intelletto e le emozioni.
La partecipazione ad ogni forma di gruppo di discussione coordinato con tecnica operativa infatti modificando il funzionamento del pensiero modifica il modo di educare di ogni genitore.
Dentro al gruppo si ama e si odia, si condivide e si dissente, si aderisce e si contesta in un caleidoscopico "ripasso" di tutte le emozioni possibili. Sono proprio questi stati emotivi che, riconosciuti dal coordinatore, permettono al genitore di individuare, accogliere e comprendere i vissuti del bambino. E così, madri e padri, una volta ritornati a casa, sono in grado di mettere a disposizione del figlio un ampio vocabolario che sa comprendere, spiegare e tradurre i diversi sentimenti umani.
Il coordinatore è cosciente che, immergendo i genitori in un clima gruppale che sa cogliere e nominare i molteplici stati affettivi messi in moto dalle relazioni, favorisce il cambiamento. E' il potersi rappresentare gli stati d'animo che apre la strada ad inediti pensieri. Sarà poi cura del genitore metterli alla prova.
Alle volte basta un pertugio per uscire dalla fissità. Quindi anche un unico incontro, se ben condotto, dà vita a nuove idee, produce cambiamenti e mette in moto inedite modalità relazionali.
Il coordinatore sa infatti che la stereotipia è la malattia mentre la mobilità è la salute. La finalità di ciascun gruppo consiste quindi nel favorire il cambiamento. La trasformazione però deve andare nella direzione che ciascun genitore vorrà ed avvenire nei tempi e nei modi che ciascuna mamma e papà sceglieranno. Non si tratta allora di vedere i risultati nell'immediato, ma di esser sicuri di aver trasmesso ai genitori degli strumenti che li aiutino a modificarsi. Qualsiasi sia il livello di maturazione dell'identità genitoriale quindi essa può ulteriormente evolvere ed essere messa poi a disposizione del figlio che sta a casa per aiutarlo a svilupparsi nel migliore dei modi. Ogni genitore perciò trae dall'esperienza gruppale ciò di cui ha bisogno.
I genitori sufficientemente buoni possono divenirlo ancora di più senza cullarsi sugli allori, i genitori non adeguati possono invece assorbire quei pensieri sani che daranno il via ad una loro maturazione. Tutti hanno quindi la possibilità di cambiare a partire dalla competenza raggiunta.
Questa affermazione non è però del tutto veritiera. Ci sono infatti dei genitori incapaci di sviluppare l'identità parentale. La vita infatti li ha così gravemente offesi da renderli pericolosi per il loro cucciolo. Quando capita di incontrarli il gruppo svolge l'importante funzione di contenerli e di sorreggerli mentre lasciano il loro bambino nelle mani di un altro adulto competente. E così, se da una parte i genitori negligenti provano a recuperare le loro funzioni educative, da un'altra parte i genitori sociali, cioè affidatari o adottivi, si allenano gruppalmente ad accogliere i figli altrui, attenti a saper comprendere il baratro che questo cambiamento, doloroso seppur necessario, apre nella vita emotiva del piccolo.
Nel gruppo coordinato i genitori quindi imparano ad affrontare il cambiamento per poter comprendere le crisi che i figli devono attraversare per crescere. Senza crisi infatti non c'è evoluzione. Ma la rottura dello stato precedente per risultare evolutiva deve poter essere attraversata, rielaborata, ricomposta. I genitori che sono stati capaci di modificarsi accettando che il gruppo attivi in loro dei momenti di crisi, cioè di sconforto, paura ed incertezza, sono in grado - meglio di altri - di aiutare i figli a non spaventarsi di fronte alle inevitabili rotture che segnano le diverse fasi della crescita.
Per imparare il nuovo bisogna infatti perdere, abbandonare, lasciare il vecchio. Questo transitare dal noto all'ignoto crea inevitabilmente incertezza, ma offre anche grandi potenzialità evolutive.

Stati emotivi
Nel ripercorrere, seppure in maniera schematica, alcuni elementi che nella realtà compaiono e scompaiono, prendiamo ora in considerazione gli stati emotivi conflittuali che, con maggior frequenza, emergono nel gruppo di discussione con i genitori.
Il dare e ricevere degli stop è il primo vissuto conflittuale che crea angoscia.
Tutti i genitori infatti raccontano che faticano a dare regole al figlio ma, a loro volta, mostrano di tollerare male le regole del gruppo. Il tema dei limiti suscita quindi sempre grande interesse poiché mamme e papà non riescono a trovare un modo affettivo per accompagnare i figli dal mondo dei desideri al mondo della realtà. Vogliono infatti porsi come salde guide per i piccoli, ma non conoscono una strada amorevole per imporsi. E' infatti ormai scontato che i bambini non si possono educare, come nel passato, con la paura, le punizioni e la violenza. Madri e padri però non hanno ancora raggiunto quella capacità di sentire la specifica amorevolezza che sta dentro al chiedere al figlio una giusta obbedienza. E, di conseguenza, non sempre il bambino riesce ad accontentali per non perdere la loro totale ammirazione, il loro sconfinato affetto e le loro continue attenzioni.
Non è facile quindi per mamma e papà differenziare l'obbedienza vissuta come sopruso dall'obbedienza necessaria per non divenire asociali.
Nel gruppo di discussione allora il fatto che siano definiti orari, calendari e il tema degli incontri, aiuta il coordinatore a dare delle regole che permettono ai partecipanti di incontrarsi in un tempo e in uno spazio prestabilito. Ogni difficoltà a stare dentro a questa cornice è quindi l'occasione per osservare, in diretta, come il genitore non tolleri i limiti, li attacchi e ne sottovaluti il significato.
Questi atteggiamenti di sfida alle prassi e di rottura dei confini, ripresi dal coordinatore nel loro significato emotivo, contestati animatamente da altri partecipanti poiché ritardi, assenze, uscite anticipate disturbano tutti, rielaborati dal genitore "disobbediente", diventano ogni volta un prezioso materiale - nel qui ed ora - per analizzare come sia difficile educare i figli al senso del limite se non si tollerano i limiti.
Il tema dell'obbedienza, e quindi della dipendenza dall'altro, apre la strada ad un ulteriore emergente gruppale: il desiderio di rendere precocemente autonomi i figli.
Il mito dell'indipendenza si fa strada attraverso la competizione che mette a confronto i bambini già capaci di mangiare da soli con quelli che ancora succhiano la tetta, i piccini già inseriti alla scuola dell'infanzia con quelli che sono ancora accuditi da mamma, i ragazzi che preferiscono rimanere con i familiari con quelli che vogliono piuttosto stare con i coetanei.
Il falso ideale dell'indipendenza rende orgogliosi i genitori che credono che l'autonomia dei figli sia una virtù e non invece un pericoloso impedimento all'imparare dai genitori, dagli insegnanti, dalla vita, dai libri, dagli altri.
Molte mamme e papà sono caduti in questo insinuante malinteso perché hanno dovuto fare di una necessità (allontanarsi precocemente dai figli per motivi di lavoro) un valore (i bambini stanno bene nei luoghi collettivi).
I partecipanti al gruppo mettono in scena più volte l'illusoria utopia che cavarsela da soli sia meglio che appoggiarsi agli altri. E sbandierano senza alcun ritegno le loro convinzioni di sapere già tutto, di avere le idee chiare, di possedere convinzioni certe.
C'è quindi chi si prodiga per imporre agli altri genitori le sue idee, chi afferma di essere l'unico in grado di capire il figlio, chi critica partner, parenti, amici, insegnanti, catechiste, vicini di casa, suore e preti convinto fino allo spasimo che tutti sbagliano tranne lui.
E' il genitore che non riesce proprio ad ascoltare quello che il coordinatore gli suggerisce che permette di osservare direttamente questo atteggiamento.
Il genitore che si assume il compito di rappresentare l'autonomia esasperata ed esasperante, infatti, parla molto e ascolta poco, s'inquieta per quanto gli altri affermano e li corregge, tende a prevaricare il coordinatore e a sostituirlo dichiarando che, senza di lui, non ci sarebbe nessun risultato. Contesta quindi, senza alcun ritegno, le scarne parole pronunciate dal coordinatore e, se questi parla, non lo sente e non assimila quindi nulla. E, se questa sordità gli viene fatta notare con vigore, fugge definitivamente dal gruppo poiché non sopporta assolutamente di non essere riconosciuto come il miglior genitore. Rompere queste convinzioni non è quindi una cosa semplice poiché, in questo tipo di genitore, l'idea di imparare suscita immediatamente la paura di aver bisogno dell'altro. E' una verità che può lasciare spazio al terrore di essere un individuo bisognoso che non trova nessuno che si occupi di lui.
La dipendenza da qualcuno è vista quindi in maniera così negativa che è necessario negarla, attaccarla e rifuggirla, costi quel che costi.
Il cammino del gruppo per arrivare a riconoscere che si può dipendere senza sentirsi annullati è dunque lungo e complesso. Ma arrivare a questa realtà è davvero necessario affinché i figli in casa non assorbono una errata convinzione. Chi non capisce il valore della dipendenza, infatti, non arriva mai a viverla in maniera matura, cioè con la serena certezza che, sempre, nella vita si dipende da qualcuno o da qualcosa. E questo dato di fatto, alle volte dà piacere e, altre volte, incute timore.
Il terzo emergente nei gruppi di discussione riguarda allora la possibilità di provare sentimenti ambivalenti.
I genitori si dicono che è proprio difficile, se non impossibile, provare verso i figli solo sentimenti amorevoli. Ma anche se ci riuscissero questo sentire diverrebbe pericoloso. Esso infatti non permette al bambino di sentire accettabili i suoi vissuti negativi. E il piccolo che non può odiare, detestare, inquietarsi, allontanarsi da mamma e papà, non può esplorare quegli stati d'animo che, inevitabilmente la vita relazionale gli fa sentire. E chi non riesce a riconoscere i suoi sentimenti spiacevoli può spaventarsi, ricacciarli indietro, ma da lì essi minacciano non solo l'integrità di ogni individuo, ma anche il suo benessere sociale.
Quindi è cruciale che i genitori tollerino i loro sentimenti negativi verso il figlio, li riconoscano, se ne facciano carico e mostrino al bambino che si può provarli senza esserne sopraffatti.
Il gruppo, nel suo intreccio relazionale intessuto da simpatie ed antipatie, ben si presta a suscitare una vasta gamma di sentimenti benevoli e malvagi. Il coordinatore allora li stana. Li nomina. E quindi insegna ai genitori a riconoscerli e a rappresentarseli. Questa capacità simbolica è quella che poi il genitore trasmette al figlio per aiutarlo ad integrare sentimenti benevoli e vissuti animosi.
Ogni gruppo allora trova chi si presta meglio a rappresentare il diniego delle regole, il desiderio di non aver bisogno di nessuno per la paura di trovarsi da solo in uno stato di necessità, la fantasia di avere solo sentimenti positivi bandendo dalla gamma dei propri stati d'animo quelli negativi, ma il fatto che ci sia un portavoce più sensibile a questi tre comportamenti non significa che essi non siano presenti negli altri componenti del gruppo. Ogni genitore che partecipa al gruppo di discussione allora si avvantaggia nel vedere portati a galla da qualcun altro quei suoi vissuti che, altrimenti, faticherebbe a far emergere.
E' proprio questo dialogo corale che offre, in tempi brevi e in maniera accelerata, la possibilità di formare i genitori.
Mamme e papà lo sentono, lo intuiscono, lo sperimentano. Per questo non vorrebbero mai che il gruppo finisse.
Giungiamo quindi al quarto ed ultimo emergente che segnala la difficoltà di separazione. Ma quando esso si presenta mamme e papà hanno già compiuto il percorso gruppale e quindi sono in grado di riconoscere l'inevitabilità della fine, il bisogno di sperimentare autonomamente quanto hanno appreso, il desiderio e la paura di ritrovarsi da soli. Riattraversare questi stati d'animo permette però di rivederli alla luce della conclusione dell'esperienza gruppale, ma anche alla luce della necessità di lasciar andare per la loro strada i figli staccandosi da loro, non facendoli essere l'unica ragione di vita, comprendendo che bisogna accettare di rinunciare alla loro vivace e stimolante presenza.

Trasmettere un metodo
Una certo numero di genitori riuniti in cerchio non sono un gruppo. Lo diventano infatti solo grazie all'assetto mentale del coordinatore che riesce a favorire un clima onirico, a fornire delle interpretazioni in grado di cogliere, nel loro insieme, quello che i partecipanti stanno dicendo e capace di mantenere una equa distanza emotiva da ciascuna mamma e ciascun papà.
Il coordinatore, per permettere al processo che conduce i genitori che si incontrano con lui di far transitare mamme e papà dall'essere un insieme di più individui all'essere un sistema gruppale, non aderisce a nessun discorso, evita di esporre il suo modo di vedere i temi educativi, non entra nel merito delle questioni problematiche. Per sostenere questa posizione mentale l'esperto che conduce il gruppo di discussione deve essersi allenato a riconoscere i suoi stati d'animo, le sue convinzioni e i suoi principi. Solo chi ha analizzato il suo mondo interiore, infatti, può non colludere con il pensiero del genitore, può non aderire al modello educativo che è alla moda, può osservare il processo gruppale senza partecipare allo stesso. La funzione del coordinatore è infatti quella di svelare i pensieri e non certo quella di condizionarli!
Il coordinatore, una volta assunta questa posizione mentale, cerca di dare il diritto di parola al non detto. Infatti non è interessato a nessun discorso manifesto, bensì è attento al vissuto latente che si cela dietro ad ogni affermazione, racconto, storia, episodio e agito dei genitori. Dunque è sempre pronto a dare voce alle parti infantili del genitore poiché sono queste che interferiscono con il raggiungimento di una matura identità genitoriale. Non si lasca quindi sedurre da discorsi intellettualmente affascinanti, bensì guarda ai sentimenti conflittuali che inducono i genitori a dire una cosa con la bocca e a viverne un'altra con il cuore.
Il coordinatore, per poter cogliere la parte inconscia del gruppo genitori, si forma in modo da conoscere molto bene il suo mondo affettivo. Egli infatti si assume la responsabilità di sapere come i suoi personaggi interni si fanno vivi se vengono sollecitati ad entrare in scena dal racconto di un coniuge ingiustamente trattato dal suo partner, dal vissuto di una madre malamente giudicata da una suocera vendicativa, dalla storia di un genitore abbandonato da una madre anaffettiva, dai vissuti di un partecipante al gruppo severamente ripreso da un padre assente... Egli allora analizza continuamente il suo mondo interiore e dialoga costantemente con quei soggetti che hanno inciso nella sua genitorialità o nella sua scelta di non genitorialità. Mantiene dunque vivo un serrato confronto parlando sempre e comunque, presenti o assenti che siano, con i suoi genitori analitici e teorici.
Per capire mamme e papà infatti sa che non è assolutamente necessario essere madri o padri, ma sa che è invece cruciale conoscersi bene come figli. E' infatti l'essere nati dall'unione di un uomo con una donna che richiede di ricomporre narrativamente le proprie vicissitudini affettive facendo approdare ad una buona riconciliazione con le proprie figure genitoriali. Un valido coordinatore di gruppo allora ha una buona dimestichezza con la sua biografia e la tiene aggiornata continuamente. Diversamente la pretesa che il genitore del gruppo sia il genitore ideale per se stessi è sempre in agguato, sfocia in precetti normativi, diventa consiglio imposto, determina un ulteriore indebolimento dell'identità genitoriale.
Il coordinatore allora sa ascoltare ospitando i vissuti del gruppo nel suo mondo interiore, facendoli entrare in una stanza interna accogliente dove c'è posto per tutti, lasciando che ognuno trovi dentro alla sua mente un suo posto speciale. Il coordinatore, solo dopo aver accolto e compreso, cioè preso dentro, quanto viene detto dai genitori cerca di aiutare i componenti del gruppo a conoscersi di più affermando ciò che rimane nascosto, segnalando il significato latente dei fatti, interpretando i vissuti collettivi, narrando storie di vita familiare. Egli funziona come una mente pensante che trasmette perciò un metodo per comprendere le menti altrui. E i genitori sono venuti al gruppo aspettandosi proprio di potere capire i figli. Il passaggio però da una banale spiegazione degli atteggiamenti dei piccoli alla loro comprensione richiede una mente che mostri, in diretta, come si può funzionare per rendersi disponibile a prestare attenzione all'altro.
E questa capacità prende forma nei genitori proprio attraverso l'essere ascoltati con pazienza, perseveranza e puntualità dal coordinatore poiché, proprio ciò che si è ricevuto nel gruppo, verrà poi ridonato ai figli.
Le interpretazioni del coordinatore sono quindi sempre insature e procedono per ipotesi, dubbi e domande trasmettendo un metodo che poi non solo rimarrà per sempre patrimonio del genitore, ma sarà proprio questo modo di fare che verrà trasmesso al figlio dandogli lo strumento per formare i suoi pensieri.
Riteniamo che i professionisti che lavorano con i gruppi di genitori, proprio per la complessa realtà emotiva che mamme e papà sanno sollecitare, debbano poter usufruire con continuità di una supervisione. Preferibilmente si tratta di una formazione gruppale che rivede collettivamente il percorso dei gruppi di discussione attraverso l'analisi del transfert dei partecipanti e l'analisi del contro-transfert del coordinatore.
Riflettere sul lavoro svolto con i genitori, stando immersi nel clima emotivo dell'équipe, fa vivere al professionista la dinamica di un collettivo e quindi tiene in allenamento la dimensione relazionale che sta alla base di ogni identità genitoriale sia essa quella naturale o quella professionale.
La supervisione diventa allora il contenitore mentale che sostiene psicologi, assistenti sociali ed educatori nella loro relazione con madri e padri qualsiasi o negligenti, competenti o disperanti.
Nella complessità del mondo moderno alla catena generazionale naturale si va allora sostituendo o perlomeno affiancando la funzione istituzionale svolta da operatori che creano un luogo caldo e accogliente, semplice e prezioso, di facile accesso e di grande competenza.
"Spazio Incontro" è uno di questi.
Nella nostra funzione di coordinatore di gruppi di discussione e di supervisore di questa esperienza, nata dieci anni fa sul modello di Consulenza Educativa individuale, di coppia e di gruppo da noi teorizzato, possiamo dire che è stato un piacere vedere nascere e crescere questo servizio.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.