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  nostrofiglio

Bimbi vivaci: 8 strategie per gestirli senza urla e schiaffi

di Angela Bisceglia

Può succedere che ai genitori di bimbi molto vivaci a volte saltino i nervi, si arrivi alle urla e qualche volta scappi anche uno scappellotto. E che subito dopo subentrino i sensi di colpa. Quando i figli ci fanno perdere la pazienza, qual è la reazione più ragionevole e soprattutto più efficace? Lo abbiamo chiesto alle psicologhe Paola Scalari e Rosanna Schiralli.

I bimbi sono vivaci e le loro forze sembrano non esaurirsi mai. Ma la pazienza di mamma e papà sì: può succedere che saltino i nervi, si arrivi alle urla e qualche volta scappi anche uno scappellotto. E subito dopo subentrino i sensi di colpa, come ci scrive una mamma sul forum. Quando i figli ci fanno perdere la pazienza, qual è la reazione più ragionevole e soprattutto più efficace? Lo abbiamo chiesto alle psicologhe Paola Scalari e Rosanna Schiralli.

Ho due bimbi, uno di due anni e l’altro di quattro. Sono due bambini meravigliosi, ma sono molto vivaci e io sono un po’ stanca, urlo sempre e quando proprio non mi ascoltano scappa lo schiaffo. Subito dopo però mi sento in colpa. Spesso penso si non essere una brava mamma perché mi innervosisco facilmente e perdo la pazienza.
(lettera dal forum di nostrofiglio.it)

Premesso che:

  • I capricci sono per il bambino “prove tecniche di vita”, quindi è normale che li facciano. “Si potrebbe dire che il mestiere dei bambini è quello di contravvenire alle regole, perché in tal modo sperimentano fin dove possono spingersi con le loro richieste. Ma il mestiere dei genitori è quello riportarli dentro i binari” dice Paola Scalari. E’ un lavoro impegnativo, perché i bambini non sono un interruttore che si accende e spegne a piacimento, quindi bisogna armarsi di pazienza e non sentirsi incapaci se non si riesce subito nell’impresa.
  • Noi genitori siamo umani e un momento di rabbia può capitare. Ci sono momenti in cui il genitore è più stanco, più in ansia e può capitare che reagisca male con il bambino. “Se per una volta perdiamo le staffe possiamo perdonarcelo” continua la Scalari. “Ma dobbiamo anche capire che non è stata una dimostrazione di forza ma di debolezza, un momento in cui ci siamo sentiti piccoli e impotenti e abbiamo avuto paura di essere soverchiati. E poi lavorarci su perché non si ripeta”.

Le strategie che funzionano davvero sono:

  1. Non urlare: è inutile e fa aumentare rabbia e capricci. Quando il bambino fa i capricci, non bisogna gridare e arrabbiarsi più di lui. “Se noi urliamo, nel cervello del bambino aumenta la cosiddetta chimica della rabbia, cioè la produzione di sostanze dello stress, che lo fanno agitare ancor di più” dice Rosanna Schiralli. “Al contrario, un nostro atteggiamento calmo e controllato smorza la rabbia del bambino e il suo cervello ricomincia a produrre ossitocina, che è l’ormone della calma e del benessere”. “Urlare è uno sfogo immaturo di un’ansia” aggiunge la Scalari: “un genitore che urla rappresenta agli occhi del bambino non un adulto competente da cui imparare a vivere, ma un compagno come tanti che ha perso la testa e il controllo”.
  2. Parlargli con voce pacata, ma ferma e decisa. Per correggere un comportamento del figlio, bastano poche parole, ma dette con l’espressione sicura e pacata di chi sa il fatto suo. “Più il bambino è piccolo, più non è in grado di capire il senso delle nostre parole, ma riesce a cogliere perfettamente il significato del nostro atteggiamento” spiega Rosanna Schiralli. “Se supera i limiti, allora, bisogna semplicemente dirgli un no fermo; se lui si agita e urla, prenderlo per le braccine senza fargli male, guardarlo negli occhi e ribadire con calma “questa cosa non si fa”, senza aggiungere tanti perché. Dilungarsi in spiegazioni infatti trasmette al bambino il messaggio che siamo in difficoltà e in questa situazione di incertezza lui ne approfitta per aprirsi un varco e tentare ancora di soddisfare il suo desiderio”.
  3. Aver fiducia nella propria competenza di genitore. Il più delle volte mamma e papà perdono la pazienza e alzano la voce perché si sentono vulnerabili e impotenti di fronte ai capricci del bambino. Il genitore deve invece avere ben chiari quali sono i principi e le regole che vuole far rispettare a suo figlio e avere il comportamento di una guida sicura e rassicurante. “Il messaggio che deve passare è ‘io so come si fa questa cosa e so come condurti; e la mia parola pacata ha talmente tanta forza che non c’è bisogno di urlare per affermarla’. Di fronte a questo atteggiamento di convinzione profonda, il bambino sente che l’adulto è competente e si lascia condurre, interrompendo il suo capriccio” dice scalari.
  4. Mostrare di comprendere i suoi sentimenti. Quando diciamo un no, mostriamo al bambino che comprendiamo la sua rabbia. Basta dirgli semplicemente: ‘Ti vedo che sei arrabbiato, ma adesso questa cosa non la possiamo fare.’ “Sembra una frase banale, ma fa la differenza” commenta Rosanna Schiralli: “comunica al bambino che non è intrappolato nella sua rabbia, ma qualcuno lo ha visto, qualcuno che sa che la sua rabbia si può contenere e gestire senza farsi travolgere. Se al contrario vede che il genitore per primo perde la ragione, avrà paura anche lui delle sue reazioni, che percepisce come qualcosa di tremendo e incontrollabile”.

Prevenire è meglio che curare, quindi:

  1. Dedicargli attenzioni nei momenti di calma. Spesso dietro un capriccio si nasconde il bisogno di attirare l’attenzione e del genitore, che sembra sempre distratto e intento a fare altro, salvo quando deve rispondere alle sue intemperanze. Per questo bisogna dedicare tempo ai bambini quando si è ‘in stato di grazia’: giocare un po’ insieme, condividere emozioni, senza cellulari e senza tv. Sembra una magia, ma quando si vede curato il bambino diventa un angioletto ed è meno propenso ad arrivare a certi estremi.
  2. Gratificarlo quando ha dei comportamenti corretti. Non sarà sempre e solo capriccioso: quando si comporta bene, allora, il genitore deve complimentarsi con lui e gratificarlo. In questo modo si sente incoraggiato a proseguire sulla buona strada ed è anche meglio disposto ad accettare dei no.
  3. Anticipare il capriccio. Altro segreto è non aspettare che il bambino ci abbia esasperato, ma fermarlo per tempo. “A volte per comodità si accontenta il capriccio del bambino, sperando che finisca lì, invece si entra in una spirale che non finisce più” dice Scalari. Se al supermercato guarda con occhio voglioso l’ovetto di cioccolata, già prima che inizi il lamento diciamogli qualcosa tipo ‘oggi niente ovetto, abbiamo stabilito che si compra solo il sabato’. E basta. Se lui è convinto di poterlo ottenere o capisce che insistendo la mamma cede, il suo desiderio aumenta e poi è molto più difficile farlo tornare indietro. Un altro esempio? Se arriva a casa da scuola affamato, la mamma per comodità gli dà un pezzo di focaccia, poi ne vuole un altro e un altro ancora finché arriva a tavola che e non tocca cibo, con conseguenti battibecchi. Meglio non cedere dall’inizio, coinvolgerlo semmai nei preparativi del pranzo così sono tutti ansiosi di sedersi insieme a mangiare.
  4. Essere coerenti. Il modo migliore per prevenire capricci? Una volta stabilita una regola, va rispettata. “Se si decide che si va a letto alle 21, devono essere le 21” spiega Paola Scalari. “Se il genitore è coerente, il bambino sente che non può manipolarlo a suo piacimento. Viceversa, se un giorno lo mettiamo a letto alle 21, il giorno dopo vogliamo vedere un film e ci fa comodo mandarlo a nanna prima, il giorno successivo si va in pizzeria e si fa più tardi, il bambino capisce che la regola può essere rinegoziata ogni giorno. Certo, quando il bambino diventa più grandicello, a partire dai 9-10 anni, un po’ di negoziazione ci può stare, ma il messaggio che deve passare è che le redini in mano le ha l’adulto e la negoziazione può essere fatta dall’adulto, non essere pretesa dal bambino”.

In ogni caso no allo schiaffo perché:

  • E’ una prevaricazione fisica. Dare uno schiaffo al bambino è un atto umiliante e aggressivo, una prevaricazione e anche una dimostrazione di debolezza di un genitore che ha perso il posto di guida e non riesce a risolvere la questione in alcun altro modo se non con la forza fisica, che è ovviamente superiore a quella del bambino.
  • Incute paura. “Quando un genitore alza la voce e le mani cambia anche l’espressione del volto, che incute paura al bambino e gli fa credere di non essere più amato. Ed aver paura dell’oggetto d’amore è una cosa che traumatizza” dice la Schiralli.
  • A violenza corrisponde violenza. Alzare le mani non è mai educativo, perché a violenza fisica corrisponde rabbia e violenza. “Più un bambino è picchiato, più sarà rabbioso, violento e cattivo nei suoi rapporti con gli altri. commenta la Scalari. “Non per niente un genitore che alza le mani è spesso stato un bambino sul quale sono state alzate le mani”.
  • Provoca sensi di colpa che ci fanno passare all’eccesso opposto. Urlare e alzare le mani provoca sensi di colpa nel genitore, che per rimediare rischia di passare da un estremo all’altro, diventando di colpo iper-permissivo. “Questa incoerenza confonde il bambino, che non capisce né il comportamento del genitore né il senso di quel che ha fatto” sottolinea Rosanna Schiralli.
  • E’ completamente inefficace. Usare le mani può portare ad un risultato immediato, ma obbedire per paura non porta a comprendere l’errore: al contrario, determina un senso di sottomissione dal quale, appena possibile, ci si svincola di nuovo e si disobbedisce” conclude la Scalari.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.