Cose che gli insegnanti non dicono.

Come i bambini imparano e si costruiscono la propria storia

Andrea Muni, Armando Roma 2009

Alle nuove generazioni di alunni deve corrispondere una nuova didattica. Il punto di svolta sta tra una didattica che privilegia la tecnica e duna didattica che privilegia il pensare, riflettere, ragionare, interrogarsi.
Muni sicuramente fa una scelta di campo. Privilegia un apprendere che sappia attraversare la persona e perciò entrare nel suo sistema di pensiero per modificarlo.
Insegnare a pensare diviene allora il compito centrale del suo far scuola. Andrea Muni descrive ed argomenta come egli promuova questo obiettivo all’interno della sua classe. Sceglie la storia come argomento attraverso il quale farci entrare nell’alchimia emotiva di un gruppo di bambini alle prese con la conoscenza.
Sceglie così il nesso identitario con l’umanità prima e con ogni persona poi. Noi siamo nella Storia e facciamo la Storia pare il senso dell’imparare dei suoi alunni.
E’ un salto epistemologico importante poiché rende partecipe ogni scolaro del suo apprendere. Il maestro lo istruisce come persona globale. Lo accompagna nella conoscenza come individuo pensante. Lo sollecita, lo asseconda, lo stimola come essere in divenire.
E’ infatti un’osservazione attenta e sapiente del micro cosmo emotivo che entra in scena nel processo relazionale che congiunge docente, classe e disciplina quella che guida questo audace insegnate.
E’ un narrare, come dice Muni, i – piccoli passaggi da un pensiero all’altro, da un apprendimento al successivo – che lo appassiona e lo coinvolge.
Lo strumento di questo processo è il dialogo gruppale.
Egli nel testo ne offre una minuziosa stesura.
Le voci si susseguono quasi in una “commedia” che ci porta non solo dentro al palcoscenico della vita di classe, ma anche dentro al Teatro della mente.
E’ un susseguirsi di voci fatto di parole, di emozioni e di sensazioni.
E’ un intreccio di idee intriso del desiderio di sapere, della curiosità di capire, dei tanti stimoli da accogliere.
E’ un discorso che dà forma alla relazione educativa prima ancora che quella istruttiva.
Vorrei tra i tanti dialoghi fermarmi alla lezione di educazione civica che il suo discorrere di guerre permette entrando nei sentimenti “guerrafondai” dei suoi alunni. E la gelosia, l’invidia, la rivalità escono allo scoperto segnando la storia e le storie di ognuno. E’ la correlazione tra sentimenti che crea nessi, che costruisce una conoscenza che è prima di sé e poi dell’altro.
Dell’umanità di questo maestro non vi è dubbio. Forse recuperando, più di quanto non creda, i modelli dei vecchi maestri da Mario Lodi a Francesco Berto. Maestri da cui si discosta implicitamente o esplicitamente quasi sentisse l’esigenza di dare maggior scientificità al procedere narrativo, al compito istruttivo, all’obiettivo curriculare. La sua ricerca didattica quindi si colloca tra un sapere esperenziale, dato dal contatto empatico, ed un sapere cognitivo, collegato al mondo accademico.
La metodologia del dubbio che Muni propone pare divenire la sintesi non solo della sua didattica che coniuga punti di vista teorici differenti, ma anche la rappresentazione dell’epoca storica a cui l’Autore stesso appartiene.
Fare del dubbio, oggi, la pista principale di lavoro che permette di entrare in sentieri mai esplorati diviene dunque la metodologia di base di un insegnare che evita la severità della cattedra, schiva inutili psicologismi, si tiene lontano da trasmissioni insignificanti.
Le nuove generazioni hanno bisogno di strumenti per capire, per interrogarsi, per scegliere.
Muni sembra riuscire ad offrirli con sensibilità e con sapienza a tutti i suoi alunni.

Paola Scalari

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