Francesco Berto e Paola Scalari sono docenti presso l’Associazione Ariele rispettivamente di Milano e di Brescia, autori di numerose pubblicazioni in ambito psico-sociale, e da anni si occupano di consulenza, formazione e prevenzione in contesti socio-sanitari ed educativi. Cogliamo l’occasione con la pubblicazione di Mal d’amore per descrivere le idee di questi Autori, e per esprimere alcune considerazioni sulla rilevanza del loro contributo.
Il libro qui presentato è rivolto alla vasta comunità di operatori che lavorano con le coppie e i bambini per promuovere il benessere delle persone. L’obiettivo, dichiarato dagli Autori nell’Introduzione, è quello di voler proporre supporti teorici per gestire la sofferenza mentale intesa come difficoltà sul piano relazionale. Al centro della riflessione di questo lavoro troviamo la patologia della coppia, in particolare l’attenzione è posta al “vincolo coniugale” di tipo “narcisistico”. Con questo termine si intende descrivere una particolare condizione caratterizzata dall’aspettativa che il coniuge possa curare una ferita dell’infanzia. Nella “coppia narcisistica”, descritta dagli Autori come confusa, negligente, incompetente e abusante, i coniugi si troverebbero a sperimentare rancore reciproco e mancanza di appagamento, senza che ci sia la percezione di un’evoluzione né si riesca a dare avvio ad un cambiamento. E sarebbe proprio l'”involucro narcisistico”, nel quale sono rinchiusi i coniugi, a determinare la rabbia e la prepotenza che inevitabilmente si ripercuotono sullo sviluppo psichico dei figli.
Nei primi dieci capitoli gli Autori analizzano le qualità emotive che intercorrono tra due coniugi infelici e la conseguente sofferenza manifestata dai figli. E’ la parte più corposa del libro ed è una descrizione fenomenologica di trame familiari, utile in prima battuta a chi vi si trova coinvolto o ha il compito di comprenderle. Le coppie stesse, grazie all’immediatezza propria del racconto, potrebbero aver modo di rivedersi e avviare una prima riflessione sulle proprie stereotipie. Molteplici sono le patologie relazionali esaminate e descritte lungo un continuum, dal più lieve al più grave dei disturbi che le coppie odierne si trovano a vivere, e che possono portare fino al suicidio o all’omicidio di uno o più membri della famiglia (anche se possiamo dire che questa non è una peculiarità della famiglia della sola nostra epoca).
La teoria psicoanalitica costituirebbe, secondo gli Autori, il supporto teorico per cercare le motivazioni alla condizione di dolore vissuto dalla coppia, e per provare a formulare alcune ipotesi che correlano la patologia dei figli al rapporto sofferto dei genitori. Con questa operazione gli Autori non cercano di dare solo importanza alla dimensione della psicoterapia di coppia. La loro proposta è quella di prevenire la malattia mentale, immettendo buone relazioni nel territorio, e intervenendo nei contesti familiari, educativi e sociali che plasmano la capacità o impossibilità di stare al mondo. Nell’impostare l’intervento partono dall’attenzione al disagio dei piccoli, certi del fatto che, per interrompere la trasmissione intergenerazionale del trauma e della patologia narcisistica, occorre sostenere i bambini nell’arco evolutivo insieme con i genitori, attraverso interventi preventivi sul piano educativo. In condizioni di grave sofferenza, sostengono gli Autori, i minori devono essere tutelati, ma anche i genitori multiproblematici devono poter essere sostenuti. Quindi non può esserci allontanamento di minore se non c’è progetto di riavvicinamento. Come lavorare in questa direzione? Gli Autori sottolineano l’importanza di apprendere dall’esperienza, e imparare a pensare. Questi sarebbero gli ingredienti necessari per articolare un intervento antecedente al disagio conclamato e per porsi in un’ottica progettuale. L’attenzione alla prevenzione è fondamentale, perché dovrebbe permettere di generare nella comunità programmi per contrastare il disagio relazionale, contenere la devianza e elaborare la sofferenza mentale. Considerando il piano operativo, l’azione progettuale dovrebbe prevedere presidi educativi a partire dal percorso nascita, al sostegno alla genitorialità, fino alla mediazione familiare per madri e padri divorziati. Da questo punto di vista gli ultimi due capitoli sono quelli che contengono le proposte più operative per promuovere la solidarietà nella comunità, la tenuta dei vincoli familiari e sociali, il valore della cura e del prendersi cura dell’altro. Secondo gli Autori curare la vita psichica potrebbe concretizzarsi, ad esempio, con la presenza di un “educatore domiciliare”, che avrebbe il compito di mediare nelle relazioni tra genitori e figli. Tale figura sarebbe deputata a tutelare e presidiare nella quotidianità i bisogni dei bambini e allo stesso tempo a riconoscere e sostenere i genitori nelle loro espressioni e fragilità. Si tratta di un compito complesso in cui è richiesta l’abilità di leggere i bisogni dell’altro, darne voce e lavorare nel conflitto.
Come nota conclusiva possiamo osservare quanto l’impegno per la prevenzione della malattia mentale e l’attenzione alla dimensione progettuale degli interventi psico-sociali costituiscono le prospettive più fertili del pensiero di questi Autori, costantemente protesi alla lotta culturale e politica per la tutela del tessuto sociale. Berto e Scalari aiutano a dare senso al concetto di prevenzione, perché prestano attenzione agli indicatori di disagio sociale prima che diventino patologia conclamata. A questo proposito essi ritengono che la famiglia occupi un posto chiave come istituzione sociale, per il fatto che un gruppo familiare sano può consentire un processo di differenziazione e personificazione. Pertanto si può comprendere l’intento dichiarato da Berto e Scalari di voler fornire strumenti teorici per chi si trova a sostenere la famiglia, attingendo dalla teoria psicoanalitica per cercare chiavi di lettura allo scopo di comprendere la patologia della coppia. L’attenzione qui è rivolta al giovane clinico impegnato nel lavoro di consultazione familiare e all’educatore che opera in campo socio sanitario.
Peccato che, se questa è la prospettiva perseguita dagli Autori, ogni proposta sul piano tecnico non sia anche maggiormente connessa ad un approfondimento del retroterra teorico. A questo proposito sarebbe stata utile una più ampia esplicitazione e attenzione alla prospettiva storica degli insegnamenti e delle esperienze provenienti dagli autori che prima di Berto e Scalari si sono occupati di problemi simili. Invece gli esponenti del pensiero psicoanalitico, citati e brevemente ripresi nell’Introduzione, sono posti in modo equivalente l’uno all’altro, come sullo stesso piano, privati della loro contestualizzazione culturale, e quindi scollegati dai dibattiti che hanno animato la storia della nostra disciplina. Ad esempio c’è solo un breve cenno ai contributi di Kohut e Kernberg sul problema del narcisismo, nonostante che la questione dell'”involucro narcisistico” sta al centro delle riflessioni degli Autori riguardo alla patologia della coppia. Inoltre, i riferimenti al pensiero degli psicoanalisti argentini che come caratteristica specifica si sono riferiti, similmente a Berto e Scalari, alla psicoanalisi come fatto sociale unitamente alla vita intrapsichica si limitano a poche pagine introduttive. Quindi l’osservazione che ci sentiamo di proporre è alla lente teorica, che avrebbe potuto essere più spessa per favorire una visione prospettica più alta.