Il clima della famiglia è sempre più attraversato da una silente o manifesta conflittualità. Quella a cui assistiamo è una vera lotta intestina che, spesso, si trasforma in una letale guerriglia tra generi e generazioni.
Ogni membro vuole “comandare” all’altro congiunto. Ciascuno pensa di sapere cosa sia giusto per tutti. Troppi coniugi sovrappongono quindi continuamente il loro modo di vedere a quello di chi vive accanto a loro. Tanti genitori vogliono pensare per i figli anziché con i loro bambini e ragazzi.


In realtà, alla fine, ognuno vede solo sè stesso.

Chiusi in questi arroccamenti narcisistici l’uomo, la donna e i piccoli di casa si sentono terribilmente soli, disperatamente isolati, dolorosamente trafitti dalla mancanza di rapporti umani.


Martedì 20 marzo a Venezia parleremo di Mal d’amore. Lo faremo a partire dal testo “Mal d’amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative“. Cercheremo di sviscerare perché stiamo perdendo la forza e il coraggio del vivere in relazione arrivando a confondere l’amore con il possesso, l’uso, l’abuso e la violenza.
Mariti e mogli si cercano senza trovarsi.
Genitori indaffarati cercano di dare ai figli cose materiali anziché legami umani.
Figli confusi non sanno come divenire se stessi e reclamano con silenzi ammutinati o urla strazianti il loro diritto ad esistere.


Come ridare voce alla relazione che rappresenta l’incontro con l’Alterità, il diverso, lo sconosciuto, il Non Sé?

La crisi dell’Alterità la incontriamo là dove l’altro non esiste come soggetto unico, originale e pensante da scoprire, conoscere, ascoltare, con cui dialogare.

Perché non amiamo il prossimo?
In un interessante piccolo testo Enzo Bianchi assieme a Massimo Cacciari ci parlano proprio di questa negazione dell’amore verso il prossimo che impedisce l’approssimarsi a chi ci è estraneo, straniero, nemico.
Credo che la criticità dell’incontro con il diverso segni anche la vita familiare poiché il bambino non è aiutato a divenire se stesso, ma gli è chiesto di  compiacere i bisogni dell’adulto. Primo fra tutti quello di non ritrovarsi da solo e quindi separato dal figlio.
Il tema della separatezza negata è dunque lo snodo centrale della difficoltà di alimentare la vita affettiva del mondo familiare.
Ma non è solo nella realtà domestica che il vivere confusi con gli altri è divenuto dramma, tragedia, impossibilità di convivere, ma anche nei luoghi di lavoro, nel mondo scolastico, nella comunità tutta.
Ci si lega all’altro, infatti, solo se divisi. Ma se nessuno può sostenere la sua identità senza parassitare quella dell’altro, nessuno lascia esistere il partner o il figlio, il collega o il vicino di casa, poiché lo vuole fuso e confuso con se stesso. Addomesticato al suo volere. Imbrigliato nei suoi comandi. Posseduto in quanto privato di ogni volontà.


Si potrebbe dire che siamo abitati dall’angoscia della differenza?
E quali motivi sociali, individuali e gruppali possiamo individuare per far emergere questo sintomo psicopatologico che contraddistingue i nostri giorni?

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