La parola ci rende umani. Ma il nostro essere persone apre le porte alla complessità del mondo simbolico. Le parole non sono le cose. Oggetti e fatti per avere un significato hanno bisogno di un lessico per venir nominati. La condivisione della lingua è dunque uno dei passaggi che rendono umano un individuo. Lo rendono civile perché soggetto sociale, cioè in grado di comunicare con gli altri sapendo che nulla è certo, sicuro, evidente nel discorrere tra più persone.
La comunicazione è dunque sempre incompleta, incerta, procede per ipotesi, ama la complessità, cerca la semplicità.
La competenza linguistica la si acquisisce a pochi mesi di vita e la si perfeziona per tutta l’esistenza.
La crisi contemporanea sembra essere dovuta proprio alla caduta del senso etico del nominare.
Tutto è dicibile, ma senza che questo libero affermare assuma il significato di spazio e luogo dell’interazione.
Ognuno profetizza il suo verbo e nessuno ascolta il pensiero altrui.
L’educare mette invece in campo proprio questo senso etico del dare nome ai fatti, alle emozioni, ai sentimenti della vita.
Educare diviene pertanto poter narrare l’invisibile sentire che attraversa i rapporti.
Di quest’arte si fanno garanti i genitori che prestano non solo l’orecchio esterno ai figli, ma anche sintonizzano l’orecchio interiore sulle tante voci che risuonano nel mondo interno dei loro ragazzi.
Incontriamo anche docenti capaci di ascoltare la “melodia” prodotta da una classe che, nel suo costante interagire, diviene un corpo unico che produce un unico discorso su di sé, sulla sua voglia di apprendere, sulla sua capacità di far stare dentro al cerchio ogni compagno.
Apprezziamo altresì psicoterapeuti capaci di dare ascolto al sentire emotivo che colora i racconti di vita quotidiana del contesto attuale e della storia remota di ogni persona in modo che il mondo affettivo riesca a dare forma ai suoi vissuti.
C’imbattiamo anche in tante persone che non essendo state ascoltate non sono in grado di ascoltare né figli, né allievi né tanto meno le persone sofferenti.
Qual è la vostra esperienza?
I genitori dedicano tempo all’ascolto che nel silenzio si fa racconto?
I docenti hanno la capacità di parlare, spiegare, raccontare ma anche di comprendere che cosa la classe comprenda di ciò che vanno insegnando?
Gli psicoterapeuti sanno rinunciare all’impartire comandi per lasciare che ognuno scelga come vivere libero dagli ostacoli emotivi che glielo impediscono?
Quanto la fretta rende possibile una parola che comunica anziché aprire una voragine sulla parola che non lascia segni?
Di tutto questo stiamo parlando in diversi Luoghi a partire dal libro – Il codice psicosocioeducativo, prendersi cura della crescita emotiva.
Venerdì 25 ottobre alle ore 20,30 affrontiamo questo discorso a San Donà di Piave (Ve) e il 9 novembre mattina a Lavagno (Vr).