Adolescenti che comunicano, dialogano, urlano con il corpo

Sappiamo che la malattia somatica
non ha un’esistenza indipendente dalle vicissitudini
dello psichismo inconscio

Luis Chiozza

In principio era il corpo.
Il corpo dice quel che la Parola non sa o non può esprimere.

La comunicazione tra sensazioni corporee e modi di agire preserva i giovani da comportamenti inadeguati, antisociali, autolesionisti.

I ragazzi che non sanno attivare questo dialogo agiscono d’impulso e si fanno male e fanno del male.

Il corpo sente, urla, esige, chiede di scaricare emozioni agendo, immediatamente; la mente invece offre una mediazione ragionevole e una possibilità di spostare la scarica motoria, nel tempo.

Come gli adulti educatori forniscono il bambino – negli anni della formazione – di uno zainetto narrativo?

Questo bagaglio accompagna ogni nuovo nato durante l’adolescenza, epoca nella quale perde peso la Parola rivelata dell’adulto e il ragazzo va alla ricerca di Parole sue per raccontare se stesso.

Un’educazione capace di trasmettere il senso del porsi domande, avere dubbi, sostare nell’incertezza rende quindi l’adolescente capace di affrontare i sommovimenti emotivi che la pubertà mette in moto.

La crisi adolescenziale, con la discontinuità iscritta nel corpo che si trasforma, non investe allora un bambino sprovveduto che credeva di saper tutto se l’educazione ha trasmesso il senso del limite.

La crisi, che si apre di fronte alla scelta di genere, quindi, ha uno sfondo nella capacità di sopportare la frustrazione, la perdita, il lutto che solo la capacità narrativa riesce a mediare e rendere sopportabile.

Le domande principali alle quali il ragazzo deve rispondere è: Chi sono io? Da dove vengo e dove vado? Come scegliere tra le tante opzioni possibili la mia strada?

Se non vi riesce usa il corpo dialogante.
La malattia mostra il conflitto tra mente e corpo.

Come i ragazzi dicono: Non voglio crescere?
Forse abbuffandosi o affamandosi?

Come gli adolescenti affermano: Non voglio sentirmi limitato?
Forse con l’uso di sostanze tossiche e di smodate dosi di alcool?

Come i giovani urlano: Voglio che mi vediate?
Forse con creste in testa, pircing che li bucano e tatuaggi che li rendono un manifesto mobile?

Come le nuove generazioni denunciamo: Mi sento invisibile?
Forse sparendo, scappando da se stessi, fallendo a scuola e – qualche volta, ma sempre troppo frequentemente – anche uccidendosi?

La possibilità dei giovani tra un agire d’impulso e un riflettere consapevole sta certamente dentro alle loro storie di vita, alla risorse familiari e scolastiche che la vita ha donato loro nell’infanzia, alla resilienza d’origine.

Le loro scelte però hanno anche a che fare con le testimonianze e i comportamenti degli adulti educatori?

I ragazzi ci chiedono nuove strategie educative. Quali riteniamo esse debbano essere?

A partire dal testo Il codice psicosocioeducativo, la meridiana 2012 ne parliamo venerdì 4 settembre a Padova durante il convegno “In carne ed ossa”

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