Mal d’Amore – Noemi Tomasoni

Questo non è un libro, è un incontro. Come prima di un incontro, la curiosità di fronte a questo libro è tanta. Leggendo il titolo, mille domande affiorano alla mente. Che cos‘è questo mal d‘amore? Come si cura? Il mal d‘amore è di tutti? Come in un incontro, le aspettative e i desideri orientano le prime mosse.

Allora la mano sfiora la copertina lucida del libro per accarezzarne la consistenza, gli occhi si intrufolano tra le righe dei capitoli a cercare un primo approccio. La “presentazione” offre consigli rispetto a come fare colpo sul libro. È un incontro di sguardi, nel quale, in principio, ci si muove eccitati e guardinghi. Però, in fondo, si pensa di avere il controllo delle proprie reazioni e dei propri comportamenti; il libro è lì, inerte e noi abbiamo facoltà di spiarlo a nostro piacimento o di richiuderlo. Poi, come accade in alcuni sguardi e in alcune passioni, finisce che ci si confonde e che inevitabilmente si perde un po’ di controllo. Allora i primi dieci capitoli filano via veloci e improvvisamente, nelle descrizioni di coppie incartocciate, nello sguardo di figli inquieti e soli, è impossibile non riconoscersi almeno un po’. L’incontro diventa un gioco di specchi. Ci si rivede nell’intreccio relazionale di coppie narcisisticamente investite, nell’aspettativa di colmare ferite e vuoti affettivi, nel disperato tentativo di rompere la catena delle stereotipie transgenerazionali. Si ravvisa il volto di una società. Ci si riconosce come operatori e psicologi spesso incapaci di accogliere la fragilità, anche la propria. In ogni descrizione ci si rispecchia, almeno un po’. Si gioca a nascondino tra le pagine, ma si finisce per essere scoperti. Ciò genera vissuti ambivalenti: da un lato sentirsi scoperti è rassicurante, dall’altro è doloroso. La descrizione appare fedele e racconta di tutti noi, psicologi e pazienti, genitori e figli, coppie e famiglie, felici e sofferenti, nessuno escluso. La dura realtà non rispetta mai le aspettative e si finisce per provare, nei confronti del libro, emozioni scomode: paura, rabbia, senso di colpa, vissuti di impotenza e slanci di onnipotenza. Si cerca la linea che separa patologia e normalità, come un porto sicuro che ci differenzi. Come accade nelle coppie che il libro racconta, ci si ritrova intrecciati al libro, ingaggiati nella fatica di individuarsi. Si corre il rischio di incolpare gli autori, che hanno illuso, tradito le aspettative, confuso. Si cercava un aiuto per lavorare con le coppie, da psicologi, e invece ci si ritrova fastidiosamente invischiati. Sembra lo stesso dolore che attanaglia coppie deluse e arrabbiate, oppure confuse e fragili. In questo gioco di proiezioni, appare difficile assumere una posizione adulta, responsabile, capace di interdipendenza e di una giusta distanza. Gli ultimi due capitoli vengono in aiuto e schiodano dall’impotenza. Ci si ritrova insieme a pensare a delle possibilità per prevenire, curare, ascoltare il mal d’amore. La prevenzione, intesa come un intervento profondo e complesso teso a “rompere l’isolamento” potrebbe configurarsi anche come intervento domiciliare. Ciò che sembra importante riconoscere è quanto il mal d‘amore sia difficile da affrontare anche per gli operatori dei servizi; essi si trovano spesso a sperimentare speculari vissuti di solitudine, maltrattamento, rabbia, pseudo indifferenza. Forse solo riconoscendo quanto il mal d’amore ci riguardi, ci interessi, ci appartenga a più livelli, potremo, come individui, come cittadini, come professionisti assumerci la responsabilità di un cambiamento. “Mal d’amore” è dunque un incontro e il mal d’amore lo fa sperimentare, poiché si apprende dall’esperienza. È perciò anche un libro dal quale, come nella vita, ci si deve separare. Al pari delle coppie che il libro così bene racconta, di fronte alla separazione ognuno fa i conti con il proprio ombelico. La conclusione, neanche a dirlo, è sofferta. Giunti all’ultima riga, si ha la sensazione di perdere molto, si mantiene qualche dubbio in sospeso, si è tentati di rileggere tutto dall’inizio e, però, si è anche commossi. Si fa il conto delle perdite, dei guadagni e, in fondo, ci si sente grati. “E’ stato meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati” canta De Andrè. Ripongo il libro sullo scaffale e, in fondo, lo porto un po’ con me.

Noemi Tomasoni, Psicologa

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