La storia

Mi ricordo che è un sabato e che ritorno a casa dall’ospedale dopo aver partorito un amore di bambino. So che ci sono parenti ed amici ad aspettarmi per festeggiare Cesare, il nuovo arrivato. Intorno a me c’è allegria e gioia e mi sento una mamma felice.
Arriva la sera. Sono stanca morta. Recupero le ultime energie che mi sono rimaste per cambiare il bambino, allattarlo e metterlo nella culla sistemata in una cameretta che sembra una nuvola d’azzurro.
Mio marito intanto se ne sta sprofondato sulla poltrona del salotto a seguire una partita di calcio alla TV.
Lo invito a partecipare alla “inaugurazione”, ma non mi sente.
Non insisto anche perché sono contenta di non averlo tra i piedi mentre mi occupo del mio bambino.
Dopo essermi rassicurata che Cesare dorma di fianco in modo da non soffocarsi per un eventuale rigurgito, me ne vado a letto anch’io continuando ad ignorare mio marito.
Ma non riesco ad addormentarmi perché il pensiero che il bimbo abbia preso da suo padre che dorme supino e si sia quindi girato sul dorso mi frulla per la testa tanto che mi alzo e vado a controllarlo.
Tutto è a posto. Cesare dorme come un angioletto steso su di un fianco.
Ritorno a letto rassicurata e sto per infilarmi sotto le coperte quando sento i vagiti del bimbo. Mi precipito nella sua cameretta, lo prendo in braccio, lo esamino da cima a fondo e tutto mi sembra a posto. Gli dò il ciuccio e lo ninnolo un po’.
Cesare si calma quasi subito e si riaddormenta. Sto alcuni minuti ad osservarlo quando sento le urla dei tifosi ed il parlare monocorde del telecronista che provengono dalla TV. Sono convinta che sono state queste voci a svegliare Cesare. Mi premuro quindi di proteggerlo dai rumori esterni chiudendo la porta della cameretta e ritorno a dormire.
Nonostante la stanchezza, però, non riesco a prendere sonno perché il timore di non sentirlo se piange o peggio se si soffoca mi fa stare con l’orecchio sempre teso e vigile.
Ad un certo punto mi alzo ancora una volta per andare ad aprire la porta e facilitarmi così l’ascolto e, dato che ci sono, anche per dare l’ultima controllata al bambino.
Non faccio in tempo ad uscire dalla cameretta che Cesare si sveglia piangendo. Lo riprendo in braccio, gli rimetto il ciuccio in bocca e gli sussurro una filastrocca.
Il bimbo si calma e dorme.
Sono arrabbiata con mio marito perché tiene il volume della TV come quando eravamo soli e non c’era un neonato che dormiva. Vado in salotto a ricordargli che le cose sono cambiate e a metterlo di fronte alle sue responsabilità di padre. Poichè tarda ad abbassare il volume, gli tolgo di mano il telecomando per eseguire io l’operazione e, nervosa come sono, sbaglio manovra e lo alzo al massimo. Per fortuna che Cesare non si sveglia.
E’ però questione di secondi. Lo sento vagire come un disperato. Corro da lui.
Lo prendo in braccio e mi sembra che dal pannolino esca l’odore della cacca. Lo cambio e mi accorgo che era pulito ed asciutto e che la mia supposizione era errata.
Allora penso il suo pianto sia originato dal mal di pancia e gliela massaggio delicatamente, senza però risultati apprezzabili.
Alla fine non mi resta che attribuire il suo pianto alla fame e, presa dalla disperazione, lo allatto anche se è passata solamente poco più di un’ora dall’ultima poppata.
Cesare continua a piangere.
Sono stanca morta. Non trovo più soluzioni al suo pianto se non quella che mi era stata sconsigliata, addirittura proibita, dal pediatra dell’ospedale, di portarmelo nel lettone.
Cesare però, accanto a me, si addormenta beato e rassicurato e non si sveglia più.
Sto per prendere sonno anch’io quando…..sento la voce lagnosa di mio marito che mi dice sottovoce: “Cominciamo bene!”
Non gli rispondo.
Evidentemente crede che non l’abbia sentito perché mi chiede: “Ed io dove dormo?”
Sono inferocita e gli urlo: ” Sul divano letto!”
Cesare si sveglia e piange.

L’indagine
Madri e padri per lunghi anni sognano di diventare genitori. Ma aspettano di sistemarsi un po’. Mamma e papà, dopo averlo concepito, attendono per “lunghi” nove mesi che il bambino diventi presenza. I genitori infine affrontano con consapevolezza e preparazione l’evento del parto. Ed eccoli finalmente in tre pronti a tornare a casa per vivere quell’esperienza a lungo immaginata, desiderata e fantasticata.
Tornare a casa con un piccolissimo neonato può essere però un’esperienza davvero difficile. Il senso di solitudine può presentarsi ripetutamente nella mamma soprattutto se, oltre che il compito di allevare il bimbo la aspetta anche il compito di presentarlo all’uomo con cui l’ha generato affinché questi, oltre che padre biologico, diventi padre affettivo.
La prima consapevolezza che mamma e papà devono allora avere è che li aspetta un tempo di adattamento nel quale non mancheranno di certo difficoltà, delusioni e tensioni. Tutti devono trovare una nuova identità e scoprire come interpretarla. Ed ognuno in questo percorso ha i suoi tempi, le sue paure e le sue difese.
Insinuante nella mente del genitore rimane l’interrogativo: “Starò facendo la cosa giusta per il mio bambino?”. E a questa domanda si può rispondere facendo troppo o facendo troppo poco.
E se il fare giusto della madre si scontra con il fare giusto del padre il neonato diventa il padrone della scena riuscendo a non essere mai contento di nulla poiché percepisce continuamente che se con lui si fosse fatto diversamente sarebbe stato più soddisfatto.
Forse la prima operazione mentale è proprio quella di rassegnarsi che, mai e poi mai si potrà fare tutto giusto con il figlio e che, alle volte, non si può proprio accontentarlo così come ciascun coniuge, forse, non può mai accontentare del tutto l’altro.
E’ su questo desiderio che l’altro soddisfi le proprie aspettative che i genitori possono allora fermarsi per comprendere come possano tollerare le delusioni senza spaventarsi delle imperfezioni.
Bisogna perciò procedere per tentativi riadattandosi continuamente rispetto alle risposte che il figlioletto dà. E’ un adattamento reciproco, unico e non governabile in modo preventivo. Lo si può percorrere solo per approssimazione!

La scoperta
E’ impossibile ritrovare dentro di sé le emozioni di quando si era neonati e perciò, pur avendola all’interno di se stessi, questa è un’esperienza a cui mamma e papà non possono accedere direttamente. I genitori allora possono chiedersi: “Se identificarsi con il neonato è impossibile come comportarsi correttamente con lui?”. Forse basta ascoltarlo, osservarlo e non avere fretta. Ed è mamma, che conosce il figlio da più tempo, che può aiutare papà ad osservarlo, a scoprirlo a vederlo.
Per operare in questo senso bisogna proprio accettare di non avere la risposta magica che risolve ogni difficoltà.
E’ perciò inevitabile che mamma e papà facciano anche soffrire il neonato, ma la sofferenza se non prolungata e se non data di proposito, aiuta il piccolo a scoprire, a propria volta, che nulla nella vita è perfetto e perciò lo accompagna, fin dall’inizio della vita, ad accettare la sua umana imperfezione.
Ecco allora che il rivisitare con tolleranza da parte di mamma e papà le proprie imperfezioni diviene non solo strada per non arrabbiarsi di fronte a quelle del partner, ma anche via per educare il figlio a sopportare che il mondo non è esattamente come lo desidera. Sarà questa convinzione che porterà ciascun componente della famiglia allora a vivere in un clima familiare maggiormente improntato a considerare la rinuncia dei propri desideri come una matura modalità di rapporto anziché come un umiliante sopruso perpetrato nei propri confronti.

Il suggerimento
Abbandonata l’idea che ci sia una -ricetta- di sapore pediatrico o psicologico che indichi come diventare madri o padri il poter credere nella propria originale capacità di inventarsi il mestiere del genitore diviene per madre e padre la possibilità di ritrovare il piacere della ricerca, la passione della scoperta e l’investimento necessario per la realizzazione in proprio del progetto famiglia. E mamme a papà tengano a mente che nessuno intraprende un nuovo ed impegnativo percorso se viene sgridato, se vive la sfiducia dell’altro, se non viene ritenuto all’altezza. Quindi ogni idea di inadeguatezza propria, del partner o del figlio deve risuonare come un campanello d’allarme per fermarsi e ritrovare la fiducia reciproca e la soddisfazione insita nel procedere insieme.

In collaborazione con Francesco Berto

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