Ninna nanna ninna oh, questo bimbo a chi lo do…

La storia

E’ notte fonda.
Alessandro, un bambino di dodici chili, si sveglia per l’ennesima volta.
Padre e madre, sfiniti, aspettano entrambi che sia l’altro ad alzarsi e a tentare di riaddormentare il figlio.
Visto che nessuno si muove, è il padre che si trova costretto ad occuparsi del bambino.
Con uno sforzo enorme si alza dal letto imprecando: “Stanotte è la quinta volta che mi alzo. Ho le spalle che mi dolgono a furia di tenerlo in braccio e di ninnarlo ed ho la gola secca a furia di cantargli filastrocche, ninne nanne, canzoni e, da ultimo, monotoni cori alpini per farlo addormentare!”
“Anch’io mi sono alzata tre volte e con il mal di schiena che ho -risponde con sofferenza la madre- temo di bloccami e di non potermi più muovere! Domani mattina poi devo alzarmi alle cinque per prendere il pullman se voglio arrivare a scuola in orario! Se avessi la patente potrei dormire due ore in più, ma tu non mi hai mai incoraggiata a prenderla! Una soluzione però dobbiamo pur trovarla, a costo di somministrargli un sonnifero! E’ impossibile continuare così!”
Il padre prende in braccio il figlio e comincia a canticchiare : “La montanara oè, si seente cantaare, cantiam la montanara a chii non la sa…”
Alessandro lo ascolta estasiato fissandolo con i suoi occhioni celesti.
Ad un certo punto il papà, sfinito, smette di cantare ed il figlio ricomincia immediatamente a piangere. Ed il povero uomo, non sapendo più a che santo votarsi, si aggrappa a Celentano e, sebbene assonnato e stanco, ritraduce così la canzone -Azzurro-: “Bi-an-ca/ la nottata e troppo bianca e lunga per me/ mi accorgo di non avere più risorse da dare a te/ e allora io quasi quasi prendo il treno e fuggo, scappo da te/ ma il treno è nei desideri e i miei pensieri all’incontrario van…”
Alessandro, o perché è particolarmente toccato dalla emotività del testo e soddisfatto della performance canora del padre oppure perché è finalmente rassicurato dalla luce dell’alba che filtra dalle tapparelle, avverte che il genitore non ha più risorse da offrirgli oppure che la notte è ormai passata e può così addormentarsi.
Dormirà fino alle dieci di mattina.
Una sera madre e padre decidono di comune accordo l’ultimo attacco all’insonnia del figlio e si dicono: “Proviamo a tenerlo alzato fino a costringerlo a dirci che ha sonno” Arrivano le nove, le dieci, le undici, mezzanotte, l’una ed Alessandro, seduto sul tappeto del salotto, è felice e contento come una pasqua e non dà segni di stanchezza.
La madre invece ronfa sprofondata sulla poltrona ed il padre, come un automa, cerca inutilmente di fare stare dritta una costruzione di lego fatta dal figlio.
Arrivano le due di notte.
Alessandro piange. Non accetta che i genitori dormano, siano cioè meno resistenti e meno forti di lui!
Il pianto costringe la madre ed il padre a riemergere dal torpore e dalla sonnolenza dove erano precipitati.
Sono stralunati e disorientati.
Devono infatti lasciar passare qualche minuto prima di rendersi conto di cosa sta succedendo.
Poi, avviliti e preoccupati, si guardano cercando uno nell’altro la soluzione del problema, ma tutto è silenzio, solitudine e delusione.

L’indagine
Mamma e papà, di fronte alla tenacia con cui il figlio non si lascia andare nel mondo del sonno, possono iniziare a chiedersi cosa induca il bimbo a strillare per tutta la notte invece di accanirsi, con altrettanta ostinazione, in mille espedienti tecnici per addormentarlo. A nulla valgono sciroppi calmanti o nottate che mettono a dura prova la resistenza di tutti!
La prima azione che mamma e papà possono mettere in atto per porre fine alla sofferenza di tutti è allora quella di non continuare la lotta.
Certo non è cosa facile mentre si sta cadendo dal sonno cercare di pensare e tanto meno è possibile scoprire i propri sentimenti se si è irritati e si desidera solo sopprimere quel pianto che costringe a rimanere svegli,
E’ allora necessario che i genitori si ricavino un tempo per dialogare tra loro e uno spazio per riflettere con se stessi. Queste azioni richiedono un momento di tregua che possono madre e padre possono ricavarsi solamente distanziandosi dal piccolo.
Se mamma e papà si sentono “cattivi” nel concederselo, genitori “poco capaci” nell’averne bisogno, adulti “insufficientemente amorevoli” nell’imporlo al piccino avranno a disposizione una prima pista attraverso la quale indagare i motivi che inducono il bambino a rimanere sveglio, ad invertire il ritmo giorno e notte, a tenere in ostaggio i genitori con il suo pretendere la loro continua attenzione. Essi possono chiedersi allora: “Perché abbiamo tanto timore di allontanarci dal piccino? Cosa sentiamo quando stiamo distanti da lui? Come viviamo la lontananza da chi amiamo?”.
I genitori infatti possono essere i primi a temere eccessivamente ogni allontanamento dal bambino o sentirsi in colpa per ogni distanza che frappongono tra loro e lui poiché la loro stessa capacità di essere autonomi nella vita è ancora fragile e perciò è vissuta sempre con apprensione. Essi possono così scoprire quanto sia vulnerabile la loro sensazione di essere importanti, stimati ed indipendenti se non c’è chi li rassicura in questo.
Il bambino può così, a sua volta, sentire che ogni mancanza di presenza, attenzione conferma che lo si sta guardando mette a rischio il suo esistere.
Ecco allora che il piccino vive come drammatica la perdita della vigile attenzione dei genitori ed ha la sensazione che se si separa e sta per conto suo attraverso il sonno potranno succedergli cose catastrofiche. Egli allora dorme quando loro sono svegli e non dorme quando anche loro potrebbero staccarsi da lui attraverso l’addormentarsi.
Il controllo reciproco diviene costante. A vicenda genitore e figlio si assumono il compito di non stare ciascuno per conto proprio! E se tutti dormono è proprio questo che succede. Nessuno allora si fida di entrare in un mondo separato dall’altro. Tutti si tengono a turno svegli per rassicurarsi che nessuno si allontani poiché la propria immagine per essere valida deve essere costantemente rispecchiata dall’altro.
Ecco allora per mamma e papà, a partire da questa consapevolezza, iniziare la possibilità di scoprire i propri sentimenti.

La scoperta
Guardando dentro di sé mamma scopre di sentirsi meno gratificata delle moine del piccolo quando egli dorme. In fondo il gorgogliare del piccino, i suoi sorrisi e il suo bisogno di mamma sono la continua conferma che egli la ama, che egli l’apprezza, che c’è finalmente nella vita qualcuno per cui ella conta.
Pensando a sé papà scopre che è molto orgoglioso di avere un piccino capace di grande ostinazione e che, a differenza di lui, pensa non cederà facilmente alle pressioni e agli obblighi della vita. Papà scopre così che uno dei comportamenti che egli tema manchino a lui stesso, e che desidera che suo figlio possieda, è la capacità di -non cedere-mai-.
Mamma e papà, magari camminando piacevolmente, soli, in un parco potranno così riscoprire i sentimenti più profondi che il figlio suscita in loro. Potranno inoltre ritrovare uno spazio personale nel quale, anziché contendersi la soddisfazione attraverso il bambino, possono darsela reciprocamente. Ritrovano così uno spazio di coppia che altrimenti non solo viene eroso dal bambino, ma addirittura può diventare motivo di screzi, incomprensioni, accuse e rotture.
Questi genitori, ritrovandosi come uomo e donna, possono reciprocamente donarsi la sensazione d’importanza e soddisfare il desiderio di autonomia senza chiedere al piccolo di essere funzionale a queste loro inquietudini.
Ritrovata la solidarietà di coppia, ritirati dal piccino bisogni propri, mamma e papà possono tornare a casa disponibili a fronteggiare insieme l’incapacità del figlio ad addormentarsi.

Il suggerimento
Il bambino ha bisogno della presenza dei genitori, ma ogni bambino cresce anche grazie alle loro assenze. Esse gli permettono di sentire che può sopravvivere, farsi compagnia, esistere anche se loro non ci sono. Sono separazioni che, se proporzionali, all’età del piccino, lo portano a maturare.
Madri e padri allora non sono -buoni genitori- se vivono a totale disposizione del figlio, ma possono essere maggiormente di aiuto alla sua crescita se sanno -allontanarsi- con gradualità da lui. La prima separazione è lasciare il bebè nella sua culla senza sensi di colpa per l’abbandono e senza confusione tra i propri bisogni e i suoi. E’ perciò opportuno che la dolcezza delle parole, la rassicurante ninna nanna e la tonalità emotiva con cui gli vengono raccontate le favole lo accompagnino dalla veglia al sonno per donargli quel rifornimento di presenza che gli permette di affrontare il vuoto della notte. Ma, forse, quel rito ripetuto a fine giornata, quel cantilenare che si ripete sicuro ad ogni
separazione importante dona sia ai genitori che ai figli la forza di stare per un po’ lontani.

In collaborazione con Francesco Berto

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