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Commenti

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La storia
Barbara, una bimba di dieci mesi, è seduta sul seggiolone e sta lottando con la mamma che cerca di farle ingurgitare un piatto di minestrina con sciolto dentro un formaggino.
Le strategie che la madre mette in atto per far passare la minestra dal piatto allo stomaco della figlioletta devono essere continuamente variate perché Barbara, dopo due o tre bocconi, scopre il trucco e non apre più la bocca.
Il primo tentativo va quasi sempre a buon fine.
"Guarda l'uccellino -le dice la mamma indicandole un punto lontano in modo che la bimba non si accorga del cucchiaio di pappa che tiene in mano. Barbara, incuriosita, va alla ricerca dell'uccellino e la madre, con una scelta di tempo affinata in giorni e giorni di tentativi ed errori, centra la bocca che la figlia tiene aperta per la meraviglia e le versa dentro il cucchiaio di minestra. Poi pensa soddisfatta: "Il primo è andato!".
Il secondo tentativo è più complicato.
Barbara indirizza sì lo sguardo verso il punto indicato dalla mamma convinta di vedere l'uccellino ma, siccome ha ancora nel palato il sapore sgradevole della minestra, tiene preventivamente le labbra socchiuse. Intanto la madre, che è già partita con una seconda cucchiaiata, incappa in questa apertura troppo stretta della bocca e si trova costretta a forzarla per far entrare il cucchiaio. L'impatto fa schizzare il cibo da per tutto. Solamente alcune gocce arrivano a destinazione.
Il terzo tentativo è il più tragico.
Barbara finge di puntare lo sguardo verso la direzione indicatale ed invece con la coda dell'occhio segue la mano della madre che tiene il cucchiaio pieno di minestra. Nel momento stesso in cui la posata si avvia verso la bocca, la bimba fa partire la sua mano che, con un sincronismo perfetto, si scontra a metà strada con quella della mamma. Il cucchiaio vola per aria con tutta la minestrina. E' un disastro.
Occorre cambiare strategia e la fantasia di una madre che vuole far mangiare la minestrina alla figlia non ha limiti.
Il cucchiaio diventa infatti un aeroplano che vola davanti alla loro bocche. La mamma fa di tutto per mangiare il cibo che trasporta e lo insegue con la bocca aperta. Quando sta per prenderlo fa in modo che l'aereo vada a nascondersi dentro la bocca della figlia. E il cucchiaio esce vuoto.
Va a rifornirsi sul piatto di minestra e ricomincia la solita solfa. Dopo due o tre voli, però Barbara vuole essere lei a guidare l'aereo. La madre prima glielo impedisce e la bambina non le apre più la bocca, poi cerca di ovviare alla situazione prendendo un altro cucchiaio in modo che ci siano due aerei e la figlia non ci sta. Alla fine è costretta a cedere pur di far mangiare la bimba. Barbara però durante le evoluzioni da una bocca all'altra non solo semina da per tutto il carico del cucchiaio, ma quel poco che resta lo vuole far ingurgitare alla madre che lo rifiuta allontanandolo in malo modo con una mano. E così anche il resto va a finire per terra.
Il disastro diventa catastrofe. La bimba ha ingoiato in tutto due o tre cucchiai di minestra anche se il piatto è quasi vuoto.
"Bisognerebbe che arrivasse almeno a sette od otto" ragiona la mamma ed ha già pronta una terza strategia: seguire gli impulsi della bambina che vuole mangiare da sola e cercare di assecondarla.
All'inizio afferra la mano con la quale Barbara tiene il cucchiaio e l'aiuta a percorrere il tragitto dal piatto alla bocca e dalla bocca al piatto. Poi, di fronte ai tentativi della bimba di fare da sola, si ritrova priva di risorse e di forze e la lascia fare.
Si assicura che sia ben legata al seggiolone e se ne va, stremata, in un'altra stanza dicendo alla figlia: "So già cosa combinerai. E meglio che me ne vada per non buttarti dalla finestra!".
Ma non ce la fa a lasciare la bambina da sola. Dopo un attimo infatti ritorna per evitare guai peggiori. La cucina sembra un campo di battaglia. La minestrina che aveva preparato con tanto amore e che doveva finire nello stomaco della figlia è sparsa invece da per tutto. Sulla parete vicino al seggiolone si è appiccicata in modo tale da formare un quadro astratto.
Intanto Barbara, nel vedere il cucchiaio uscire vuoto dal piatto, piange disperata. Capisce che il gioco è finito. Ed era un gioco che la divertiva e la prendeva tutta non solo perchè si rinnovava di continuo, ma soprattutto perchè anche la mamma ne era piacevolmente coinvolta.
La madre, però, non lo sa, non lo intuisce. E' tutta impegnata a sfamare la figlia. Ed infatti le propone un vasetto di omogeneizzati.
Barbara smette subito di piangere e le invia una serie di sorrisi e lallazioni di soddisfazione e di consenso perchè crede sia l'offerta di un nuovo gioco. Ed impara prestissimo, dopo aver mandato giù due o tre cucchiaini di quella pappa, a giocarci. Infatti invece di deglutirla si diverte a trattenerla tra le labbra e a scioglierla con la saliva. Poi è grande il piacere di farsela colare giù per il mento ed il collo oppure di sputarla da per tutto. E mentre gioca pensa: "Chissà quanto contenta è la mamma di queste mie bravure!"
Se da un lato Barbara adora la sua mammina perchè, durante tutto il giorno, non si stanca mai di prepararle e di proporle continuamente.... giochi sempre nuovi da fare insieme, dall'altro però non vede anche l'ora che si stanchi di trastullarsi con il cibo. Aspetta quindi con impazienza ed avidità che arrivi la sera per potersi finalmente sfamare trangugiando un biberon di latte tiepido addolcito con del miele che le prepara la nonna. E mentre s'ingozza pensa: "Devo finirlo in fretta, prima che arrivi la mamma, altrimenti... mi costringe a giocare anche col biberon...!".

L'indagine
ll passaggio del cibo dal piatto alla bocca e poi allo stomaco del figlio non solo viene vissuto da ogni madre come uno dei più importanti e sicuri indicatori della salute, della vitalità, della gioia di vivere e del senso di appagamento del suo bambino, ma viene anche interpretato come uno dei più sicuri ed importanti segnali che il bimbo le invia per farle sentire che l'accetta e l'approva.
Ogni mamma, infatti, è come se regalasse il cibo al figlio. Il bimbo però deve mangiarlo per potersi sentire soddisfatto di quanto ha ricevuto. Ed è proprio questo suo appagamento che il figlio trasmette alla madre permettendole di sentirsi, a propria volta, contenta e gratificata di averglielo offerto. Il continuo aumento di peso del bimbo diventa alla fine la prova inconfutabile che questo scambio è realmente avvenuto.
Ed è proprio perchè l'offerta del cibo da parte della madre e l'accettazione del regalo da parte del figlio vengono considerate manifestazioni di affetto, di dedizione e di fiducia che il mangiare diventa la matrice dello scambio umano, l'emblema della vitalità relazionale tra genitori e figli. L'atto del nutrirsi, allora, mettendo in scena la propria modalità di accettazione dell'altro (ciò che da fuori entra dentro) oltre che di sé (ciò che si tiene dentro) diventa espressione del desiderio di vivere, della voglia di crescere e della capacità di saper provare soddisfazione per quanto si riceve.
Tutto questo si sviluppa attorno al latte che la mamma dona al suo bimbo fin dalle prime ore della sua vita. L'offerta del seno al neonato è dunque per ogni mamma una comunicazione speciale che permette a lei di dare e al figlio di imparare a ricevere.
Ad un certo punto, però, arriva il momento che il bambino ha bisogno di altri alimenti per poter crescere. Inizia così lo svezzamento, comincia cioè quel periodo durante il quale mamma e bimbo devono imparare a rinunciare all'intimità profonda del seno, al piacere rassicurante del dolce, caldo e fluente latte che passa dall'una all'altro, alla soddisfazione del bastarsi reciprocamente.
Compaiono cucchiaini, cibi con molteplici gusti e consistenze, piatti e bicchieri. Freddi utensili e sapori sconosciuti invadono la scena e si mettono in mezzo tra mamma e bambino interrompendo la precedente unione.
Madre e figlio, delusi e mortificati, sembrano chiedersi: "Perché dobbiamo staccarci, allontanarci, separarci da ciò che ci piace tanto e che ci procura tanto godimento?" E, si sa, rinunciare al piacere non è mai cosa facile!
Le madri allora oscillano tra il desiderio di veder crescere il piccolo e il bisogno intenso di non perdere la soddisfazione che arreca loro l'allattarlo. I bimbi, a loro volta, oscillano tra il piacere di fare nuove esperienze e il dispiacere di rinunciare a quanto di soddisfacente e di piacevole abbiano mai provato.
E' attorno a questa ambivalenza che le mamme, magari sostenute dal confronto con i mariti, possono iniziare a riflettere per comprendere da che parte penda l'ago della bilancia emotiva.

La scoperta
Ogni madre, esasperata dalla battaglia con il suo bebè per la pappa, può spostare la sua attenzione dalla contesa sul piatto di cibo al conflitto relazionale che il suo bambino mette in scena per non staccarsi da lei.
E' infatti l'avventurarsi sulla strada che prende in considerazione l'ansia della separazione, e non invece l'accanirsi alla ricerca del menù più adatto al figlio, che permette ad ogni mamma ed ad ogni papà di acquisire una maggiore consapevolezza di quanto il loro bimbo sta vivendo durante lo svezzamento..
E' allora guardando alla capacità del figlio di accettare che le cose possono finire, è cioè valutando la determinazione con la quale il bimbo affronta i passaggi verso una nuova situazione, che madri e padri possono individuare il modo migliore con il quale proporgli gradualmente il cambio di alimentazione.
Ed è anche soffermandosi sul significato che la madre dà all'interruzione di una fase così intensa come quella dell'allattamento che i genitori possono scoprire quanto ella stessa tema questa nuova distanza tra sé e il bambino.
La rinuncia al seno e la relativa distanza dalla madre sono accettate dal bambino senza eccessivi contrasti e senza inenarrabili capricci solo se egli, precedentemente, si è sentito appagato da quanto gli veniva offerto e se ha acquisito, sempre precedentemente, la fiducia che mamma e papà sono comunque in grado di dargli quello di cui ha bisogno. Sono queste sensazioni di appagamento e di fiducia che, fungendo da base sicura, permettono al figlio di avventurarsi in nuove esperienze.
Il bimbo, però, oltre che procedere può anche retrocedere. Ed è quello che spesso capita a coloro che si trovano in difficoltà ad andare avanti nella vita quando, ad esempio, si trovano a dover affrontare delle situazioni cariche di incognite o a doversi esporre ad eventi difficili.
Lo svezzamento è allora un momento di distacco tra madre e figlio che si realizza con fasi di avanzamento e fasi di arretramento. Alla fine il bimbo ce la farà a rinunciare del tutto al rassicurante e caldo latte materno. Tutti i bimbi ce l'hanno sempre fatta prima o poi! Il quando ed il come però dipendono dal clima che circola in famiglia, derivano cioè dalla maggiore o minore fiducia con la quale i genitori rimangono in attesa e dalla loro minore o maggiore accettazione e comprensione della fatica e dell'impegno che richiedono al figlioletto per far propria questa conquista.
La madre deve infatti fidarsi, e quindi accettare, che il figlio rimane il suo bambino anche se non è più lei a nutrirlo ed il figlio può così fidarsi, e quindi accettare a propria volta, che la sua mamma continua a stargli vicino anche se non gli offre più il seno.
E' sul senso di fiducia reciproca che madre e figlio possono accettare quella nuova relazione che, proprio perchè impedisce loro di rimanere ancorati al passato, li proietta entrambi verso il futuro.

Il suggerimento
Tutte le mamme sono consapevoli di dover ingaggiare una lotta con il figlio nel momento in cui gli chiedono di modificare la relazione che c'è tra loro.
Ogni figlio, a sua volta, avendo paura dell'ignoto che lo aspetta, resiste con tutte le forze a questo cambiamento.
Le madri, però, non solo continuano ad imporglielo, ma sostengono anche il figlio ad affrontare la sua paura di andare verso ciò che non conosce poichè sanno benissimo che è proprio attraverso questo loro aiuto che gli permettono di crescere.
Nei momenti più aspri della contesa diventa importante la presenza del padre.
Il papà, infatti, può mettersi in mezzo tra la mamma e il bambino aiutandoli così a rinunciare al piacere derivato dal loro viversi intensamente uniti.
Il padre, inoltre, può vigilare facendo in modo che la lotta tra madre e figlio per il cucchiaino di minestra non divenga terreno di ricatti reciproci, E' infatti impedendo alla mamma e al bambino di contrassegnare l'alimentazione come il campo di battaglia privilegiato del reciproco desiderio di avvinghiarsi che si può evitare di far diventare il cibo una fonte di dispute che non avrà mai fine!
Il figlio che si oppone al cibo che la madre gli mette davanti non la tiene forse strettamente vincolata a sè?
La mamma preoccupata perchè il figlio non mangia niente non continua forse a rimanere a sua disposizione?
Il legame tra madre e figlio non s'interrompe, si sposta solamente dal flusso continuo del latte al flusso continuo dell'apprensione per la sua salute.
La madre allora deve essere rassicurata che difficilmente i bambini si lasciano volontariamente morire di fame poiché è proprio questa sua certezza che l'aiuta a lasciar invece morire un'epoca della sua relazione con il bimbo per inoltrarsi in una di nuova.

In collaborazione con Francesco Berto

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.