A cura di Laura d’Orsi, giornalista.

Dall’inizio del 2012, in Italia, sono morte più di cento donne per femminicidio. Una ogni due giorni. Uccise dalla mano prima amorosa e poi assassina di un marito, un amante, un fidanzato, un compagno. Vittime dell’amore criminale. Domenica 25 novembre è la Giornata mondiale contro questa terribile violenza, che dal 2005 ad oggi è in costante aumento e ci pone tanti interrogativi.


Dottoressa Scalari perché l’amore può diventare un crimine? Cosa scatta nella mente di un uomo che dice di amare la sua compagna e poi la uccide?

Un uomo capace di compiere un gesto del genere è un uomo che ha perso il significato di se stesso. Sente di non avere più un ruolo, capisce che la sua compagna può fare a meno di lui, non è alle sue dipendenze, è autonoma, psicologicamente e spesso economicamente. Si sente svalutato, peggio ancora, umiliato. E quando la compagna fa capire che preferisce rinunciare al loro rapporto non trova altra strada che quella della violenza, della superiorità fisica. Che vuol dire percosse e, talvolta, la morte. Quella che mette in atto è una vendetta estrema: se non ti posso possedere, allora ti tolgo la libertà uccidendoti.

Cosa si può fare per contrastare questa orribile violenza?

Si può agire su vari livelli. Innanzitutto le donne devono avere la forza di denunciare, di chiedere aiuto. Di non pensare “io lo cambierò”. Un uomo prepotente e violento va lasciato, subito. C’è poi un problema sociale: molte donne quando raccontano di essere vittime di abusi da parte del proprio compagno non vengono credute. Spesso parenti e amici sottovalutano il problema. E a volte anche le forze dell’ordine a cui si rivolge la donna. Le leggi ci sono ma non vengono applicate. Se anche viene imposto all’uomo un decreto di allontanamento, non c’è chi controlla. Spesso le donne sporgono denuncia una, due, tre volte prima che si muova qualcosa. Invece occorre prendere sul serio questo fenomeno. Bisogna pensare che le minacce possono diventare azioni, gli impulsi possono essere agiti da un momento all’altro. Anche l’ONU ha sollecitato più volte l’Italia a mettere in atto misure più efficaci. La mancanza di fermezza si traduce per un uomo violento nella libertà di femminicidio.

C’è bisogno quindi di un cambiamento culturale, innanzitutto.

Sì: le istituzioni devono prendere finalmente sul serio e agire con urgenza per non dare l’impressione che ci sia reticenza intorno a questo fenomeno. Ma il lavoro più importante deve avvenire a livello educativo. Occorre una riflessione sul ruolo maschile e femminile, soprattutto con le nuove generazioni. Alla base dell’amore criminale c’è sempre una mancata educazione ai sentimenti, al rispetto delle differenze, a gestire le proprie emozioni. Bisogna insegnare ai propri figli che si può chiudere un rapporto senza annientare l’altro. L’amore non si può mai coniugare con la violenza fisica e psicologica, per nessuna ragione.

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