A cura di Laura d’Orsi, giornalista.
L’immagine, emblematica, è rimbalzata su tutti i mass media. Quella di un bambino strattonato, portato via con la forza, sollevato di peso. Un figlio rabbiosamente conteso tra una madre e un padre. Così il piccolo di Cittadella, sottratto alla custodia materna mentre era scuola, è diventato il simbolo di tutti i bambini oggetto di scontro tra genitori, pretesto per liti furibonde a suon di carte bollate e tribunali. Ma come sempre, a rimetterci, sono proprio i più piccoli.
Dottoressa Scalari, cosa l’ha colpita di più della vicenda di Cittadella?
Senza dubbio la risonanza mediatica. In fondo noi che lavoriamo per la tutela dei minori, vediamo tutti i giorni casi del genere. Ma questa volta è stato diverso perché volutamente sono stati puntati i riflettori sulla vicenda. E a farlo è stata la famiglia materna. La zia del bambino aveva la telecamera accesa e ha ripreso il momento della sottrazione del bambino. Un’abile strumentalizzazione, per creare dissenso intorno al padre e uno schieramento a favore della madre. Ma in tutto questo, dov’è l’interesse del bambino?
Che conseguenze ci saranno per il piccolo e quelli come lui che subiscono esperienze simili?
Per quanto abbia suscitato scalpore e aumentato l’audience, non sarà certo l’episodio dello strattonamento da parte dagli agenti di polizia a provocare un trauma al bambino. A creare i veri problemi è il contesto che lo circonda e in particolare la dimensione genitoriale e non bigenitoriale, come invece dovrebbe essere. Non è un caso che il Tribunale dei minori abbia stabilito che il piccolo debba vedere anche il padre.
Spesso si sente dire, in casi come questo, che è il bambino a non voler vedere l’altro genitore…
Il più delle volte il piccolo è costretto a dire così perché è spaventato. Quando un genitore (nel caso di Cittadella, la mamma) gli dice continuamente di non fidarsi dell’altro perché è malvagio e gli impedisce di vederlo, lui ha paura di rimanere solo. Se contraddice il genitore con cui vive pensa che non lo amerà più, ma allo stesso tempo non potrà andare dall’altro perché è cattivo. Questo è il vero dramma dei bambini contesi. Ma c’è un altro passaggio psichico molto difficile da superare. Il piccolo pensa: se uno dei miei genitori è così cattivo che è meglio non vederlo, allora io, che sono suo figlio, ho dentro di me una parte cattiva. Tutto ciò può portare a una grande fragilità interiore o a problemi psichiatrici di non facile superamento. Ecco perché la bigenitorialità è un diritto e i minori devono essere tutelati in questo.
La decisione di affidare il bambino di Cittadella a una comunità la trova d’accordo?
Sì. Perché all’interno di un ambiente protetto potrà rivedere suo padre e iniziare a riappacificarsi con l’immagine negativa di lui che porta dentro di sé. Lo strappo a volte è necessario: non c’è niente di più doloroso per un figlio che dover “uccidere”, anche se simbolicamente, uno dei due genitori. Ora non resta che spegnere le luci su questa vicenda, lasciare che gli operatori facciano il loro lavoro e sperare che madre e padre non usino più il loro bambino come terreno di scontro per conflitti che riguardano solo loro.
Un’ultima domanda: perché questa storia ha avuto così tanto seguito tra l’opinione pubblica?
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un fenomeno inquietante, che ha a che fare con la degenerazione della nostra comunità sociale. Sempre di più si sente il bisogno di schierarsi, di prendere le parti del più forte per sentirsi vincenti. E’ un modo, un po’ malato, per superare le proprie frustrazioni. Riflettiamo invece che quanto viene riportato a proposito di questa come di altre vicende, è solo una parte. Le notizie non sono mai neutre. Evitiamo di schierarci perché così facciamo solo il gioco di chi, alla fine, non tutela i bambini.