Quando una fiaba racconta la diversità

A cura di Laura d’Orsi, giornalista.

Sono sempre più numerose le famiglie con bambini adottati o stranieri, oppure cresciuti con genitori separati o dello stesso sesso, in nuclei familiari allargati, ricomposti o monogenitoriali.


Su questo presupposto si basa la decisione del Comune di Venezia, per iniziativa della consigliera comunale Camilla Seibezzi, di dotare 36 scuole materne e 18 asili nido di libretti di favole che spiegano, con un linguaggio adatto ai più piccoli, che la realtà è molto varia e non esistono solo le famiglie con una mamma un papà e i loro figli. Ed è scoppiata, puntuale, la polemica.

Dottoressa Scalari, trova che sia utile spiegare ai bambini così piccoli, in quanti modi si può coniugare una famiglia?

Assolutamente sì. Certo, bisogna usare uno strumento adatto, e quello più indicato è senza dubbio la fiaba, che da sempre è il mezzo per raccontare ai bambini il mondo e le sue complessità. Queste fiabe quindi sono un primo “seme” che viene gettato per far crescere nei piccoli una cultura della non discriminazione e dell’accoglienza.

Qualcuno ha parlato di provocazione, addirittura di propaganda gay…

Non c’è nulla di provocatorio in tutto questo. C’è la sacrosanta esigenza di educare i bambini alla pluralità, alla conoscenza delle diversità. Che ci sono e ci saranno sempre di più. Perché negarle? Non sarà peggio se una volta cresciuti, i bambini non avranno gli strumenti per capirle? La tolleranza inizia dalla conoscenza.

Le reazioni di molti sembrano riportare ai tempi in cui si discuteva dei diritti degli immigrati.

Ciò che si scatena davvero dentro molte persone è la paura del diverso. E di essere defraudati di qualcosa: la casa, il lavoro, la cultura, le proprie certezze. Si dimentica che si tratta di minoranze e che il mondo non è più “semplice” come un tempo. E’ la realtà, inutile nascondersi dietro a un dito.

Il fronte dei contrari sostiene che così si ledono i diritti di chi ritiene che la normalità sia avere una famiglia “regolare”. Cosa ne pensa?

L’equivoco più grande sta in questo: un conto è l’educazione, un altro è trasmettere dei valori ai propri figli. Chi crede che sia giusto crescere un bambino solo all’interno di una famiglia tradizionale, ha tutto il diritto di trasmetterlo ai suoi figli. Ma questo rientra nel piano dell’etica, non dell’educazione. Ritengo quindi sia corretto mostrare al bambino le diverse sfaccettature della realtà, abituarlo all’idea che esiste una pluralità. Poi ci sono le scelte e sta agli adulti guidare i figli verso quelle che loro ritengono più giuste.

Come accoglieranno i piccoli queste fiabe?

Come solo i piccoli sanno fare, con apertura, senza pregiudizi. Qualcuno sarà più incuriosito, qualcun altro non ne comprenderà il significato. Di sicuro non saranno lasciati soli con le loro domande: le fiabe verranno lette dalle insegnanti.

Le fiabe in questione sono state approvate anche da studiosi dell’Università, che le ritengono idonee ai più piccoli. Perché allora tutta questa polemica?

Il polverone è solo un pretesto per scatenare una discussione politica. I bambini non possono essere usati per questi scopi. E’ la cosa che dovrebbe indignare di più in questa vicenda.

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