A cura di Laura d’Orsi, giornalista.

Sembrava un’iniziativa come tante altre del genere, voluta dal Comune di Venezia per favorire l’integrazione delle donne musulmane. Quella di aprire la piscina del Parco Bissuola al solo pubblico femminile, per tre domeniche mattina, consentendo così anche a loro l’accesso, ha suscitato invece molte polemiche.


Con tanto di picchetti di protesta fuori dall’impianto e intervento delle forze dell’ordine. Segno che il cammino verso l’accettazione della diversità è ancora molto lungo.

Dottoressa Scalari, che idea si è fatta della vicenda?

Ciò che mi ha colpito di più non è stata la discussione sull’efficacia o meno di questa iniziativa in funzione dell’integrazione culturale. Ma la reazione fortemente negativa di una buona parte della cittadinanza, evidente non solo dalle proteste organizzate in loco ma anche dai commenti in Rete. E’ una reazione che ci parla di incapacità di accettare la diversità, che diventa qualcosa di intollerabile, che viene vissuta come un attacco alla propria identità.

Cosa vuol dire?

Il diverso da sempre inquieta. E le persone più spaventate sono proprio quelle che alzano la voce, perché hanno paura che venga tolto loro qualcosa. Convivere con i migranti insomma suscita il timore di perdere la propria identità culturale, di essere invasi non solo territorialmente ma anche nel modo di pensare, nelle proprie abitudini. Per questo credo che siamo ben lontani dal poter parlare di integrazione, che richiede tempi lunghissimi, che attraversano diverse generazioni. Possiamo semmai parlare di educazione alla convivenza.

Come si può realizzare?

Comprendendo che i fenomeni migratori non si possono impedire e che vanno accettati perché nascono dalla necessità di trovare condizioni di vita migliori. E che accettarli non è facile per nessuno: né per chi lascia la propria Terra e si sente sradicato e privo di ogni riferimento culturale, né per chi, volente o nolente, si trova a convivere con persone il cui modo di pensare è distante dal suo. Stiamo vivendo una rivoluzione che ci porterà verso un nuovo mondo, dove la diversità sarà la normalità. Ora siamo solo agli albori, tante cose sono incomprensibili, stiamo procedendo per tentativi. L’iniziativa della piscina aperta alle donne è uno di questi, e non è detto che sia la strada giusta.

Chi ha polemizzato contro questa iniziativa ha parlato di discriminazione al contrario (gli uomini non avevano accesso alla piscina), di ritorno al passato… cosa ne pensa?

Che far convivere due culture, in questo caso la nostra e quella musulmana, è molto difficile. Da noi le donne hanno raggiunto un livello di emancipazione per loro inconcepibile, ma è stata una metamorfosi lenta e faticosa. Non possiamo pensare di cambiare in un giorno il loro modo di pensare. Non saprei dire se l’iniziativa della piscina sia stata davvero utile ai fini della convivenza o se sia stata invece un controsenso da questo punto di vista. Effettivamente precludere l’ingresso all’impianto agli uomini, per assecondare dei principi che per la nostra cultura sono difficili da mettere in discussione, non aiuta a comprendere i codici culturali islamici. Di sicuro, però, ha fatto emergere la fatica che il processo di integrazione comporta.

Per i nostri figli sarà diverso?

Loro sono abituati fin da bambini, a partire dall’asilo, a convivere con la diversità. Hanno certamente meno riserve degli adulti. Ma chi sta pagando di più il prezzo dell’integrazione, in questo momento, sono i figli dei migranti, che non sentono di appartenere a nessuna cultura: non più a quella di origine e non ancora alla nostra. Non sono né carne né pesce, non stanno più bene dentro la loro famiglia, ma non hanno assorbito del tutto la nostra mentalità. Un conflitto che è lacerante e comporta un fortissimo disagio. Sono tutti aspetti che non possiamo trascurare se vogliamo davvero occuparci di educazione alla convivenza.

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