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"Ma ti piace davvero studiare?"

Mattia annuì.

"E perché?"

"E' l'unica cosa che so fare" disse lui piano. Avrebbe voluto dirle che studiare gli piaceva perché puoi farlo da solo, perché tutte le cose che studi sono già morte, fredde e masticate. Avrebbe voluto dirle che le pagine dei libri di scuola hanno tutte la stessa temperatura..." (Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi, Mondatori, 2008 pag.91)

 

Compiti impossibili

Il piccolo Tommi ha iniziato da pochi giorni la scuola elementare. Prova quindi il primo grembiule bianco, si issa il primo zainetto pesante, vive il primo appello in classe, incontra il primo compagno di banco e gli viene assegnato il primo esercizio da eseguire a casa.

La sua mamma, nel luminoso cucinotto del minuscolo appartamento in cui vivono, gli siede accanto. Con orgoglio lo guarda aprire il suo album bianco e consegnarle un foglietto fotocopiato. E' tutto spiegazzato, ma il figlio glielo porge come fosse una reliquia sacra.

La madre lo legge attenta e fiduciosa dopo aver cercato gli occhiali da vista. La stampa è infatti minuscola. "Scritta per una madre giovane" pensa vergognandosi dei suoi 47 anni. Finalmente, sotto le piccole lenti a mezzaluna, decifra la comunicazione. C'è scritto di copiare cinque volte "Io mi chiamo Tommi Ricciarelli" e, con l'aiuto dei genitori, copiare nome e cognome di mamma e papà ponendo accanto a ciascun genitore un disegno che lo rappresenti mentre è affaccendato in casa.

La signora ha un sussulto.

Tommi non conosce suo padre poiché l'uomo con cui lo ha concepito non l'ha mai riconosciuto. "Tommi dovrà subito svelare a tutta la classe questa triste storia?" si chiede la donna dimenandosi sullo scomodo sgabello del tavolo, alzandosi quindi in fretta in cerca di un bicchier d'acqua e risentendosi poi pesantemente sull'unica sedia della piccolissima stanza.

"Come farà a disegnare un padre se non lo ha mai visto?" si chiede in silenzio la donna.

"La storia del papà di suo figlio è una vicenda complicata da spiegare anche a se stessa" si dice, non senza agitarsi.

"E come farà suo figlio a raccontarla a venti bimbetti di sei anni?" si domanda la signora sentendo una sottile scarica di panico attraversarle il corpo.

Una lacrima le scende sul viso.

Tommi le accarezza dolcemente una guancia. Asciuga con il ditino quella striscia umida e trasparente e le chiede: "Mamma sei preoccupata di non saper fare i compiti per casa?". La signora, con determinazione, nega la sua apprensione scuotendo vigorosamente la testa più volte. Il figlio aggiunge mestamente: "La maestra ha detto che erano compiti facili, facili...". La madre si rincuora. Lo sfiora con tenerezza sul capo e lo rassicura che anche questa volta ce la faranno.

Questa scenetta di vita quotidiana mostra la distanza tra il mondo scolastico e la vita familiare. Due mondi spesso separati. Due realtà segnate da importanti difficoltà di comunicazione. Due contesti educativi che, nei compiti per casa, si incontrano e si scontrano.

E si allontanano quando il bambino adottato deve portare a scuola la foto di quando era nella pancia della mamma e si trova spiazzato; quando il figlio di separati deve fare nel fine settimana una intervista a ciascun genitore e non sa come assolvere al suo dovere; quando l'orfano deve portare a casa il regalo per la festa del papà e si sente morire con quell'inutile oggetto tra le mani; quando il musulmano deve imparare la poesia su Gesù Bambino per Natale e non sa come rimanere fedele al suo dio...

In tante occasioni allora i compiti per casa diventano spazi dove s'insinua il dolore, la paura, la rabbia, l'incomprensione, l'angoscia, cioè la distanza incolmabile tra adulti educatori, tra vita familiare e vita sociale. E' allora necessario che si colmi urgentemente la lontananza che si è instaurata tra genitori e insegnanti poiché è arrivata ormai a dimensioni spaventose, inquietanti e preoccupanti. Disastrose.

Il dialogo, grazie a dei mediatori scolastici1 potrebbe trasformarsi in un conversare aperto al comprendersi e in un confronto avulso da ogni comando sia da parte dei docenti verso i genitori sia da parte di madri e padri nei confronti degli insegnanti.

Solo una volta avviato questo scambio di parole pensate, ponderate e soppesate2 si potranno individuare le migliori opportunità per insegnare agli alunni ad assolvere, anche tra le pareti di casa, a dei semplici compiti scolastici.

 

Uno spazio condiviso

Famiglia e scuola si incontrano quando i compiti assegnati rappresentano un ponte tra la vita scolastica e la realtà domestica. Quando le lezioni da svolgere a casa sono un naturale esercitarsi, infatti, vanno a rappresentare una possibilità di portare a domicilio il sapere e di evidenziare, a scuola, il lavoro compiuto tra le pareti domestiche. I compiti diventano così per i genitori il veicolo di una compartecipazione alla realtà vissuta dai figli nelle aule e, per i docenti, la possibilità di far sapere ai genitori cosa i figli stanno apprendendo. E se questo avviene in modo significativo nei primi anni di scuola via via il dover fare i compiti scolastici a casa accompagna i ragazzi nella loro evoluzione divenendo sempre più un mondo separato da mamma e papà per quanto riguarda i contenuti dell'apprendimento e rimanendo invece, per sempre, significativo in famiglia per quanto riguarda l'impegno dei figli a leggere i libri, a riempire i quaderni, ad effettuare le ricerche.

Il papà di Tobia, quattordici anni appena compiuti, richiamato dalla moglie ai suoi doveri di padre di un adolescente ribelle, ha deciso di controllare a sorpresa il figlio, facendo incursioni improvvise nella cameretta, per vedere se Tobia sta chino sui quaderni degli esercizi di matematica, di inglese, di latino, di chimica... Tutti i professori, all'ultimo colloquio, hanno infatti dichiarato: "Sarà di sicuro bocciato se non si impegna di più... potrebbe farcela se ci mettesse più volontà... ha la testa per capire, ma non si applica abbastanza..., dovete controllare che faccia i compiti per casa... dovete seguirlo di più.., dovete sorvegliarlo...". La madre allora ha chiamato in causa il marito. Ha sentenziato, con cipiglio perentorio,: "Bisogna che ti si metta a svolgere il tuo ruolo di padre! Non puoi pensare solo ai soldi e al negozio... Adesso tocca a te occuparti dei suoi compiti per casa! Io sono anni che lo faccio... ".

L'uomo allora, dopo ogni cena, controlla le lezioni che il ragazzo ha preparato per il giorno dopo, compila una scaletta dei lavori e dei tempi per eseguire i compiti per casa della giornata successiva e la consegna al figlio. L'indomani, a sorpresa, rientra a casa per vedere se tutto funziona.

Si apre così uno scontro tra furbizie, azioni leste, capacità di simulazione che mette a confronto l'abilità di due generazioni.

Il padre s'ingegna per sorprendere il figlio distratto e il figlio si adopera per farsi vedere impegnato dal padre.

Il tempo dei compiti per casa viene allora trascorso da Tobia per studiare le strategie migliori che gli permettano di nascondere i fumetti che legge, per ore ed ore, nella sua cameretta. Nel frattempo il padre studia il modo migliore per non farsi sorprendere mentre apre improvvisamente la porta della camera-studio del figlio.

Nella mente di Tobia cresce il desiderio di vincere il padre e, da adolescente normale qual è, lo vuole a tutti i costi superare mentre il padre, essendosi sentito mortificato dalla moglie, vuole dimostrarle che lui è in grado di far studiare il figlio e che non è quindi una nullità come lei afferma.

La dinamica nella famiglia diventa sempre più contrassegnata dalla competizione ed è su questa rivalità che il gruppo familiare si misura. Ognuno perde di vista il senso dei compiti per casa ed entra nell'utilizzo di un espediente, come le lezioni, per giocare ai vinti e ai vincitori. In realtà tutti i componenti perderanno perché, prima o poi, i docenti denunceranno lo scarso rendimento dell'allievo dando la stura ad una lotta ancora più ostinata tra madre, padre e figlio o il ragazzo apprenderà a meraviglia l'arte della dissimulazione e non sappiamo con quali conseguenze evolutive. Non sono pochi infatti i giovani che all'Università non riescono ad organizzarsi lo studio poiché lo hanno sempre eseguito per o contro qualcuno. Qualche giovane non riuscendo ad affrontarle gli esami bara i risultati poiché non ce la fa proprio a vedere negli occhi di mamma la mesta delusione e nello sguardo di papà il mal celato disprezzo. E poi, nel fatidico giorno della proclamazione a dottore, nel migliore dei casi scappa da casa e nel peggiore si uccide.

Sarebbe quindi auspicabile che i compiti per casa rappresentassero solamente un graduale apprendimento al senso della responsabilità. Responsabilità che viene esercitata a casa nello studio individuale. Sarebbe quindi utile evitare con cura che i compiti diventino un campo di battaglia che vede gli insegnanti contrapporsi ai genitori e i genitori litigare con i figli ed infine i ragazzi arrabbiarsi con tutto il mondo.

Affinché i compiti per casa assumano questo significato debbono possedere alcuni requisiti di base che li rendano eseguibili.

Quando le lezioni da fare non sono proporzionate alle capacità dell'alunno lo scontro tra ciò che gli insegnanti si aspettano dai compiti eseguiti a casa dagli allievi e quello che vivono le famiglie a causa di quelle lezioni sfibranti da far svolgere ai figli, alimenta incomprensioni, giudizi negativi, espressioni di svalutazioni che affossano il valore dell'apprendimento.

 

Compiti per tutti

I compiti per casa devono essere il frutto di una lezione fatta in classe che va ripassata a casa3. Troppe volte invece la lezione non è ben correlata ai compiti assegnati poiché questi ultimi sono tratti da libri e testi che vengono semplicemente fotocopiati e che quindi, ovviamente, non usano né lo stesso linguaggio né lo stesso stile del docente.

L'esercitarsi a casa deve essere eseguibile in tempi limitati poiché il tempo delle famiglie, oggi, prevede una moltitudine di impegni e non è pensabile che tutti i familiari si blocchino e rinuncino a momenti di svago perché ci sono i compiti da eseguire. Questo sovraccarico, che per il docente rappresenta il rafforzare specifiche abilità nell'alunno, per i genitori significa invece dover rinunciare a una gita, a una passeggiata, a una visita a amici e a parenti per via dei compiti per casa del figlio mentre per i bambini assume spesso il valore di una punizione.

Le lezioni eseguite a casa devono essere inoltre sempre corrette dai docenti. Ogni alunno è chiamato a svolgere i suoi compiti per casa per impratichirsi, per fare esercizio, per memorizzare dei fatti, per allargare gli orizzonti delle sue conoscenze, per cimentarsi da solo di fronte al sapere. Quindi, mentre ogni alunno deve svolgere in piena autonomia questi esercizi poiché deve dimostrare all'insegnante cosa ha capito, ogni docente deve controllare come l'alunno li ha eseguiti per poter gratificare chi ha fatto il suo dovere, sollecitare chi non l'ha assolto e rispiegare se la lezione non è stata capita da nessuno. Questo principio implica che i compiti per casa vanno fatti dagli allievi e non dai genitori perché sono gli studenti che devono essere valutati e non i familiari!

Questa prospettiva, che valuta anche l'efficacia delle spiegazioni tenute in classe dai docenti, comporta che questi ultimi facciano i loro compiti per casa. E che li eseguano bene e con impegno. Forse solo così facendo si potrebbe trovare una strada per far fare con piacere i compiti ai bambini e ai ragazzi. Le nuove generazioni hanno bisogno di essere viste e allora esigono che se durante l'estate tengono un diario da consegnare al professore al rientro a scuola il docente lo legga e dia loro una restituzione di come è stato eseguito. E questo significa per gli insegnanti tanto e tanto lavoro da svolgere a casa! I compiti non basta quindi assegnarli bisogna anche correggerli con attenzione.

Ai docenti è allora chiesto di preparare le esercitazioni senza fotocopiarle, controllare le lezioni eseguite a casa, rilevare le incertezze in alcuni allievi, riscontrare le lacune e colmarle. E per eseguire con abilità questi compiti è evidente che gli insegnati devono prepararsi, studiare strategie per meglio far apprendere, trovare innovative modalità per offrire esercitazioni sensate. Se la classe non ha capito non è la scolaresca zuccona, ma è la spiegazione dell'insegnante ad essere stata inadeguata!4 E questa visone non è certo semplice per nessun professore preso da classi numerose ed impegnative che lo sfibrano e che gli rendono ostico dedicare il tempo libero alla scuola. Ma, se per il docente è pesante essere occupato a casa, lo è altrettanto per l'allievo e lo è ancor più per il genitore. E di questo la scuola ne deve tener conto.

I docenti allora evitano con cura di riprendere i genitori perché il figlio non ha fatto i compiti per casa. E' infatti compito della scuola motivarlo all'impegno e alla responsabilità. Al massimo si potrà chiedere a mamma e papà di essere in casa del tempo utile affinché il figlio lavori sapendo che non è solo. Ma guai a chiedere ai genitori di fare i compiti con i figli (dove finirebbe l'autonomia?) e giammai l'insegnante deve pretendere che i genitori facciano apprendere agli allievi ciò che questi non sanno (perché mai i genitori dovrebbero cimentarsi in tecniche di apprendimento che non competono loro?). I compiti per casa non hanno lo scopo di far apprendere agli allievi ciò che non sanno, ma solo di farglielo ripetere in modo da renderlo piacevolmente automatico. Con una metafora si potrebbe dire che sono delle parole crociate facilitate dove il piacere di completare lo schema deve essere assicurato poiché è questa soddisfazione che apre la strada al desiderio di farne ancora, di cimentarsi con esercizi più complessi, di raggiungere il traguardo in minor tempo.

E' quindi il successo e non la difficoltà a far apprendere!

 

Osservazioni dubbiose

Il percorso scolastico è sufficientemente lineare per i ragazzi che stanno bene con se stessi, con i genitori e con gli altri. La scuola però diventa un campo minato per chi non ha questa opportunità. Oggi star male, essere fragili, provare disagio relazionale, avere paura provoca infatti vergogna. Nella società della felicità è quasi impossibile denunciare questa sensazione di inadeguatezza. Perciò i genitori intervistati mostrano, forse, più la facciata vincente, adeguata, competente di quella perdente, marginale, insoddisfatta. Ma anche mamme e papà coinvolti dalla Scuola genitori possono essere più alla ricerca di questa approvazione, adeguatezza, competenza che disposti a mostrare il lato oscuro della questione.

Quindi l'alta approvazione dei compiti per casa può essere dettata dal desiderio di fare "bella figura" più che dalla possibilità di denunciare le giornate passate al telefono per capire quali compiti deve fare per casa il figlio poiché il diario è pasticciato, la pagina del libro da leggere è inesistente, la scheda da comporre non ha soluzione, il problema manca di un dato... o per denunciare la rabbia provata per una vacanza saltata in quanto i debiti del figlio, contratti a fine anno, hanno costretto tutti in città. Tutti puniti. Tutti a fare compiti, corsi di recupero, esercitazioni in attesa della prova di riparazione. Come dire ufficialmente, seppur più o meno anonimamente che noia, fatica, rabbia, inutilità... questi compiti! Come vincere il timore di sentirsi dire che si è genitori incompetenti, poco disponibili, inadeguati, colpevoli? Meglio allora dire, così come la scuola si aspetta, "Tutto bene" al fine di salvaguardare l'immagine del figlio. I genitori sanno infatti che se il loro ragazzo non è ben visto a scuola il prezzo da pagare è alto e quindi gli adeguati, compiacenti, funzionali al sistema dicono che sono contenti che i ragazzi studino molto a casa. Qualcuno timidamente dissente (l'esiguo numero rappresenta una parte coraggiosa?) mentre la maggioranza dissidente preferisce tacere (c'è chi non compila il questionario per non trovarsi nei guai o chi non lo compila per mostrare - in diretta - che non fa compiti per casa in più!). Ma non dimentichiamo chi non viene alla Scuola genitori che presumibilmente fa parte di quella schiera di famiglie che non ha tempo non solo per venire ad una conferenza, ma nemmeno per stare dietro ai figli o per tener conto dei loro bisogni. Insomma se i genitori che incontriamo sono quelli che ci tengono di più a far crescere bene i figli, va di conseguenza che siano anche quelli che si adeguano di più alle richieste della scuola mentre chi spera che siano gli insegnanti ad occuparsi dei figli non solo non dedica tempo e danaro per formarsi, ma pensa che i figli siano un peso con i loro compiti per casa. Non che questi ultimi genitori non vorrebbero un figlio competente a scuola, ma vorrebbero che ogni insegnante si arrangiasse a renderlo studioso senza che loro debbano sfibrarsi in ramanzine, svenarsi per pagare ripetizioni costose, sfibrarsi in lotte serrate con i loro rampolli svogliati.

Sofia fa la seconda liceo scientifico. E, nonostante ripetizioni private e corsi di recupero frequentati a scuola, si è presa a fine anno un cinque in matematica. Forse non ci ha dato dentro abbastanza, forse le basi sono così scarse che deve davvero recuperare, forse non è così furba da ottenere un bonus... Fin qui nulla di male. A scuola si va per imparare. Quindi ben venga anche il debito. Il corso di recupero della scuola (obbligatorio in quanto il preside ha fatto capire che chi non lo frequenta sarà tartassato come se fosse un privatista) viene tenuto al martedì pomeriggio e al sabato mattina dalle 10,00 alle 13,00. A questo punto pare proprio che la scuola voglia punire non solo Sofia, ma anche tutta la famiglia che, dopo aver rinunciato alla vacanza prenotata in Croazia, aver costretto Nicolò, il fratello di dieci anni, ad andare ad un Centro estivo poiché la famiglia non poteva più partire per il mare, costringe tutti a rinunciare anche ad un week end libero. E questo da giugno a luglio. Ma l'esame sarà ai primi di settembre. E quindi compiti per casa tutta l'estate!

Ma la mamma e il papà di Sofia e Nicolò sanno che per insegnare ai figli il senso della vita bisogna fare delle rinunce. E con la loro scelta di sospendere la vacanza sperano di poter insegnare proprio questo ai figli.

Non tutti i genitori sono però in grado di elaborare queste mortificazioni. Quelli più fragili non sanno come affrontarle. Troviamo allora ai due estremi i genitori che vogliono i figli geni, primi in tutto, sicuramente bravi5 e che quindi vorrebbero tante lezioni per casa nell'assurda convinzione che a tanto lavoro corrisponda un risultato eccellente sul piano della vita. Ma così non è. Il sapere si apprende sia perché il docente sa affascinare con le sue spiegazioni, sia perché un tranquillo stato emotivo aiuta ad avere la mente sgombra, sia perché la scuola è una parte, seppur importante, di altre cose altrettanto importanti da sperimentare nella vita.

E sicuramente i tanti giovani che faticano a trovare una stabilità emotiva poco possono apprendere a scuola, ma ancor meno possono imparare attraverso i compiti per casa.

Le esercitazioni a casa comportano il saper stare da soli e concentrarsi in assenza di uno sguardo contenitivo. E se questo sguardo che sostiene è possibile darlo ai piccoli attraverso una mamma che stira accanto al figlio che studia, un papà che legge il giornale seduto nella stessa stanza del ragazzo che ripete a voce alta la lezione, non è facile darlo a degli adolescenti che vogliono svincolarsi dagli adulti.

Qualche volte i ragazzi provano a cercare questo contenimento attraverso una radio accesa (la voce umana che da lì esce li rassicura di una presenza), una musica di sottofondo (le canzoni con il loro ritmo fanno da contenitore vocale poiché toccano la pelle) o una Tv sempre accesa che rappresenta una compagnia di sfondo (anche se distrae richiedendo attenzione).

Alle volte questi piccoli espedienti non sono sufficienti e l'ansia dello stare con se stessi attanaglia il ragazzo che sta facendo i compiti. Egli allora si alza e mangia. E il cibo diventa un altro antidepressivo che colma il senso di vuoto esistenziale. Qualcun altro prova anche ad andare in biblioteca a studiare. Il gruppo di studenti, chino sui diversi testi, crea quella atmosfera che dà vita ad una mente collettiva concentrata. Non solo in biblioteca mancano le distrazioni di casa, ma anche l'essere con gli altri favorisce la creazione di uno spirito di emulazione. Se anche questo non funziona alle volte il genitore o i servizi pubblici offrono l'opportunità di avere un adulto competente a fianco. Le ripetizioni private e i doposcuola rappresentano quindi l'opportunità di far sentire emotivamente più sicuro lo studente. Sicuro di non essere lasciato da solo a misurarsi con le sue capacità, sicuro di non sbagliare perché un adulto vigila sui suoi prodotti, sicuro di avere una relazione importante che gli veicola il senso dell'apprendere.

Molte volte si tratta più di aiutare il ragazzo a creare una stima verso se stesso che di far fare esercizi. Chi è a disagio nella sua pelle deve prima trovare un contenitore adeguato a rassicurarlo e solo successivamente può imparare le lezioni. Di questo malessere relazionale la scuola sta divenendo sempre più consapevole anche se poi si sente sempre più inadeguata a farvi fronte. E allora capisce che non sa assolvere ai suoi compiti. Qualche volte questa amara realtà la tollera con tristezza e malinconia pensando a quante menti sta sprecando perché non riesce a sciogliere i complessi nodi emotivi che bloccano i ragazzi di oggi. Qualche altra volta espelle con prepotenza questo senso di fallimento facendo sentire le famiglie fallimentari, incapaci, inadeguate. Allora rincara i compiti per casa durante la settimana, li rende imponenti durante le vacanze, li moltiplica all'infinito durante la pausa estiva. Senza nulla ottenere poiché s'impara solo se si è amati e si incontra chi ama trasmetterci le sue conoscenze.

Non è la ripetizione che giova, ma la passione.

Annachiara primo anno di Università conduce, in qualità di volontaria, il doposcuola per un gruppo di bambini del campo nomadi. I ragazzini arrivano di corsa, alle due in punto, nella roulotte divenuta sede della scuola del campo con una lista di cose da apprendere. Annachiara le legge e rilegge. Alle volte lei stessa fatica a capire cosa deve far fare ai ragazzi. Se li siede attorno e cerca di sapere come si sia svolta la mattinata in classe. Il racconto è ricco di episodi dove un compagno li ha derisi, una bidella li ha offesi, un insegnante li ha cacciati fuori dell'aula. Poi tutti si ritrovano a raccontare di Domenico, il docente che fa con loro il giornalino. Ogni mattino alle 10,00 vanno con lui in redazione i ragazzi che nessuno vuole in aula perché nessuno li capisce.

I racconti sulle urla di Domenico, ma anche sulle sue idee geniali per comporre il palinsesto, sono infiniti e colmi di riconoscenza, passione e soddisfazione. E Domenico, pur essendo l'unico che con l'espediente della redazione li fa scrivere articoli, leggere testi, disegnare per illustrare gli eventi, contare per pianificare le spese e le copie da distribuire, è anche l'unico che non chiede loro di fare compiti per casa!

"Sarà questa la strada perché la scuola sia davvero opportunità di apprendimento per tutti?" si chiede Annachiara mentre tenta di far leggere Foscolo ora a questo ora a quello, tenta di far fare delle divisioni e moltiplicazioni ad una bambina che ce la sta mettendo tutta per frequentare la scuola media e per non doversi allontanare dai banchi di scuola e tenta di far stare fermi tutti.

Annachiara sente che vogliono imparare. Ma non trova la strada.

Mancano di ogni cognizione. Nessuno di loro ha giocato abbastanza con i simboli grafici per saper astrarre. I loro genitori, pur mandandoli regolarmente a scuola, sanno che così verrà distrutta la loro cultura orale e quindi se ne stanno alla larga da compiti scritti e da edifici scolastici. Insomma fare le lezioni è davvero un salto nel vuoto per questi scolari. Il futuro è inimmaginabile per i loro genitori e quindi anche per loro.

Annachiara pensa alle parole di sua zia, maestra e psicologa. Fa chiudere i libri e li porta a giocare nel campo. "Bisogna che imparino alto e basso giocando a piera alta e non facendo schede" si dice. "Giocando a carte con nonna io ho imparato la matematica, tagliando figurine con papà ho appreso la geometria, facendo torte con mamma ho sperimentato le proporzioni... Giocando formeranno quindi il pensiero simbolico e non ripetendo cose incomprensibili. E poi impareranno ciò che vorranno" si dice mentre corre con loro, libera e serena, nel prato verde che sta attorno al campo.

 

1. cfr Berto F. Scalari P., CONTATTO. La consulenza educativa ai genitori, la meridiana , Molfetta 2008

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2. cfr Berto F. Scalari P., Divieto di transito. Adolescenti da rimettere in corsa, la meridiana Molfetta 2002

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3. cfr. a cura di Scalari P., A scuola con le emozioni, la meridiana, Molfetta, 2012

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4. cfr Berto F. Scalari P. Parola di bambino, Pagus Treviso, 1992

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5. cfr Berto F. Scalari P., Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola, la meridiana, Molfetta 2005

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.