intervista di Paola Scalari al Maestro Francesco Berto
Scalari: Francesco, il tuo essere stata un alunno in che modo ha contribuito al tuo divenire un maestro?
Sono stato sia un alunno bravo che un alunno ritenuto incapace. Quindi ho vissuto sulla mia pelle sia la fatica del Lodevolissimo che l'angoscia del Sei un allievo senza nessuna competenza.
E ho capito che entrambe queste posizioni fanno stare male.
Così la mia scuola è una scuola senza giudizi. Ognuno dà per quel che è capace e tutto ciò che viene prodotto ha un suo valore.
Ho dunque combattuto per l'abolizione delle pagelle e di ogni qual si voglia giudizio perché le persone si aiutano non si umiliano con un numero alto o basso esso sia.
La valutazione poi la si può fare in molti modi al fine di aiutare l'alunno e anche di collaborare con la sua famiglia per capire quali siano gli ostacoli che il bambino vive.
La mia è una scuola del dialogo non della sentenza.
Scalari: perché ritieni necessario il saper comunicare, qual è la tua esperienza?
Il dialogo mi è sempre mancato.
Un po' per la mia timidezza, un po' per le mie esperienze, un po' perché mi chiudo di fronte a chi ha pregiudizi.
Aborrisco chi predica anziché parlare, chi vuole avere sempre ragione e non ammette le ragioni dell'altro, chi si arroga il diritto di sapere anche ciò che è e deve fare l'altro.
Perciò la mia scuola è basata sul sapersi parlare.
E non sul bla bla bla...
E se sai comunicare con passione e con schiettezza i ragazzi seguono il tuo discorso e imparano in diretta qualsiasi materia.
Scalari: cosa ti ricordi di te come alunno?
Ricordo i miei primi anni di vita dentro ad un edificio scolastico. Avevo solo due anni. E la Tata ogni mattina mi accompagnava in questo tetro luogo dagli odori inconfondibili.
Il mio cuore era triste. Lasciavo a casa una mamma con un bambino nuovo sulle braccia.
Mi sentivo esiliato... ma accettavo perché nient'altro mi era concesso.
Andavo dalle suore in un prestigioso istituto privato. Una particolarità: le altre alunne erano tutte femmine.
Suor Teresa mi teneva sempre in gran conto perché ero bravo e bello. Ero biondo con gli occhi azzurri, mi diceva che ero il suo Cherubino e mi stringeva tra due tette enormi e due braccia possenti. E lei che era divenuta Sposa di Cristo voleva che diventassi un sacerdote. Insisteva così tanto che all'esame di seconda elementare, dove si chiedeva di scrivere cosa farai da grande, mi suggerì, ma anzi mi ordinò di scrivere: il prete. Tutti lodarono il mio componimento, ma io stavo malissimo perché sapevo di aver detto una bugia. E quando anche mia nonna Maria si complimentò inventai un mal di pancia insopportabile mi infilai a letto per due giorni.
Con suor Teresa come maestra sono rimasto per tutte le scuole elementari. Mi sono abituato a considerare l'altro sesso con cameratismo mentre le scorribande sul ghiaccio del fiume, l'andare a pesca con i vermi, l'inventare mille giochi spericolati, erano attività relegate alla vita dopo la scuola. A casa le condividevo con i miei 4 fratelli e i tanti amici che avevo.
Così ho imparato nella mia scuola a trattare maschi e femmine nello stesso modo. A godere dell'amicizia degli uni e degli altri.
La miglior squadra di calcio che ho messo in piedi è stata negli anni 90 una squadra di sole femmine.
Battevano senza indugio gli ingenui maschi compagni di classe. Le pari opportunità mi erano entrare nel Dna...
Scalari: quali esperienze ricordi con più chiarezza, ora che hai uno sguardo lontano arrivato ai tuoi ottanta anni?
Tre esperienze mi hanno segnato profondamente.
La guerra, la guerra ha distrutto tutti i documenti del mio percorso scolastico. E ho dovuto rifare gli esami di ammissione. L'esame mi è rimasto associato ai bombardamenti, al peggior incubo della vita: il veder dissolvere tutto quello che hai fatto, il sentire di non essere esistito per la realtà esterna, seppur solo burocratica.
Allora ho odiato e forse sempre temuto l'esame. Qualsiasi esso fosse.
Ho così abolito a scuola gli esami come verifica e nella mia esperienza l'esame è una conversazione intelligente con lo scolaro.
Non un quiz.
L'altro fatto cruciale è stata l'ingiustizia dei professori.
L'altra esperienza che ha segnato la mia vita è stato il professor Scuria che dopo aver letto un mio tema al ginnasio ha sentenziato che non avevo potuto produrlo io tanto era ben scritto e profondo. Sentenziando che lo avevo copiato mi mette nell'ultimo banco e me lo fa rifare.
Esito disastroso. Nessuna idea mi viene in mente se non quella di uccidere il prof. E per non ucciderlo ho rinunciato al liceo classico passando al magistrale.
Ma quel prof che non credendomi mi ha votato a non capire la differenza tra il dire la verità o negarla mi ha fatto molto male.
Io ho sempre creduto ai miei alunni anche quando inventavano storielle per giustificarsi o per salvarsi. Erano storie intelligenti che nel loro essere narrate dicevano molte verità su quell'alunno.
Infine ricordo ancora con timore i compagni che ti escludono dal gruppo.
Il polesine subisce negli anni 50 una imponente alluvione. Cavarzere, dove sono nato, va sotto acqua. Adria dove studiavo chiude tutte le scuole.
Mi trasferiscono a studiare dai padri Scolopi a Firenze. Li' scopro la mia ottima preparazione che mi fa emergere sugli altri alunni. Ricevo encomi, approvazione, stima. Ma ricevo anche l'invidia dei miei compagni.
Accettare uno "straniero" e pure bravo deve esser stato troppo per loro.
Mi escludono dalla squadra di calcio. E il non giocare a calcio, che era la mia vera passione, diventa una insanabile umiliazione. Mi rifaccio con le ragazze. Ma non mi basta. Voglio una palla tra i piedi. Chiedo e richiedo. Nulla di fatto. Finché un giorno per necessità tra insulti e minacce mi fanno entrare. Faccio vincere, anzi stravincere la mia squadra. E un po' il bullismo scema.
Ma da sempre non ho mai tenuto fuori squadra nessun allievo. Anzi chi era una schiappa con me diventava bravo a forza di allenamenti. E i ragazzi ma anche le ragazze me le sono sempre conquistate sporcandomi con loro in campo... Non li ho mai guardati giocare dai bordi del campo, ma ho sempre giocato da portiere o da attaccante o ancora più spesso da arbitro mescolando il mio con il loro sudore, fatica, gioia, delusione.
E il fare gruppo, il lavorare con la classe, l'apprendimento come processo a cui tutti compartecipano sono i capi saldi del mio lavoro di insegnante.
Scalari: e dopo cosa è successo?
Poi la strada è stata in discesa: diploma, concorso, posto in ruolo sono arrivati con facilità.
Ero pronto a fare una scuola che stesse dalla parte dei bambini. Era questo principio che mi guidava nel voler fare il maestro. Far fare agli scolari un'esperienza dove non ci fossero inique valutazioni che creano umiliazione, differenze che emarginano, opinioni che attirano odio...
Ricordo Marcello che veniva picchiato con la verga sulle mani e a me invece attaccavano una coccarda di merito. Sentivo fin da piccolo che non era giusto... E poi Marcello era più bravo di me a prendere le rane e a scuoiarle per mangiarle.. Ma alla scuola della vita non dà il voto nessuno.
Scalari: hai qualche ricordo particolare dei tuoi insegnanti? Qualcuno a cui tu ti sia ispirato?
Non mi pare che nessun insegnante mi possa essere stato di vero esempio.
Apprezzavo il prof Bolzan che aveva una cultura affascinante, che recitava e spiegava Dante e la Divina commedia come fossimo a teatro. Erano lezioni indimenticabili... certo ho appreso lì che se si era dei bravi insegnati, competenti, si amava ciò che si spiegava, gli alunni amavano e capivano la materia di scuola.
Ma ho imparato più al negativo.
A non esser come quel prof che mi ha umiliato perché ero troppo bravo a scrivere, ma lui non ci poteva credere!!.
Una insegnante delle magistrali è rimasta nel mio scenario interiore: la prof. Lidia Mariani.
Bella e giovane si era innamorata di me. Oggi che sono anziano posso dirlo senza troppo pudore.
E non era facile gestire sensualità, paura e cultura. E' stata una storia complicata che ha lasciato un segno nella mia paura di non essere all'altezza, ma non so se dell'interesse di quella prof o delle domande a trabocchetto che mi faceva o delle interrogazioni che si protraevo sempre più a lungo del dovuto...
So che Lidia ha segnato la mia confusione tra sapere e dimostrare di sapere. Dimostrare che so mi ha fatto sempre sentire esposto e in uno stato di ansia per un rischio non meglio definibile...
Credo di aver saputo trasformare questa ansia diffusa in desiderio di capire l'altro, i bambini, chi è piccolo e fragile, chi è messo in scacco, chi ha meno risorse.
Se sono sempre stato e sempre sarò dalla parte dei PICCOLI lo devo anche ai suoi modi di fare scorretti.
Chi soffre se ha la fortuna di salvarsi credo possa capire di più come non far soffrire.
E io i mie alunni ho sempre voluto che non soffrissero, che venissero a scuola con gioia, che a loro piacesse stare con me. E soprattutto che non avessero timori ma rispetto, considerazione, ammirazione per quel che proponevo loro.
Io ho visto negli occhi dei miei alunni la gioia di capire, ho avuto il privilegio di vedere la loro mente aprirsi stupefatta...
Ed anch'io non vedevo l'ora che venisse il giorno dopo per incontrarli e scoprire le loro menti in evoluzione, la loro capacità di imparare, pensare e di sognare.
Questo è per me fare scuola.
| |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
| ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
© 2010-2020 MdR per Paola Scalari - p.iva 03025800271 - c.f. SCLPLA52L49L736X | Cookies e Privacy Policy