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Commenti

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Scalari: raccontaci le tue esperienza come maestro

La memoria mi porta lontano nel tempo. Siamo negli anni '50.

Un'aula fredda e umida. Anzi era solo una stanza adiacente ad una stalla. La stufa a legna arde scoppiettando e produce tanto fumo e poco calore. La legna arriva con gli alunni. Ognuno con un ceppo in mano. Allora c'erano tanto freddo e tanta miseria nel polesine, ma la scuola cominciava a diventare un'opportunità per i bambini. Quasi tutti i genitori li facevano frequentare.

Era già una grande novità nell'Italia del dopoguerra ancora analfabeta.

Poi le prime supplenze lunghe. Agognate, ma anche temute. Ogni volta una classe diversa e la domanda: mi accetteranno?

Ogni settimana, o poco più, bambini sconosciuti con cui entrare in contatto e l'interrogativo: come farmi strada nel loro mondo?

Ogni cambio di classe gruppi di lavoro sempre diversi e la richiesta: cos'è per voi la scuola?

Errando, molto ho conosciuto e tanto ho capito.

La fatica di cambiare ogni volta classe è diventata la possibilità di fare tante esperienze diverse che non mi hanno mai permesso di adagiarmi in programmi prestabiliti, in esercizi pre-pensati, in lezioni programmate. Ho così imparato a partire dall'hic ed nunc. Ogni volta alla scoperta di un pianeta infanzia nuovo. Ogni volta io un maestro sempre diverso per alunni sempre differenti. Ogni volta per creare un pensiero che prima non c'era su di me, su di loro e sul bisogno di conoscere.

Scalari: qual è la classe che hai più in mente di quei primi tempi?

Siamo in Località la Botta di Cavarzere.

Seduti davanti a me, composti, disciplinati, intimoriti stanno tanti ragazzini di tutte le età.

Una pluriclasse vispa e complessa dove il fare gruppo implica tenere insieme bambini di sei anni con giovanette di più di tredici anni. E le ragazzine, poco più piccole di me, che all'epoca avevo venti anni, mi mandano affettuosi bigliettini d'invito ad uscire, mi chiedono di essere loro amico, mi sollecitano a disertare il mio ruolo.

Ed è Ulisse che mi viene in soccorso. Inizia la mia odissea come insegnate assieme alle epiche gesta di chi ha scoperto la vita andando per mari inesplorati. Vincendo tentazioni. Usando furbizie. Narrando se stesso.

I miei scolari mi ascoltano incantati ed io riesco a trasmette saperi e conoscenze, ma soprattutto un metodo per andare alla scoperta di ciò che non sanno.

Le loro menti si aprono alla cultura ed io mi apro ai loro mondi sconosciuti.

Scalari: è stata una scelta cambiare sempre sede di lavoro o una necessità?

Le scuole dove ho insegnato furono molte, sono sedi disseminate in tutta la provincia veneta.

In verità ho fatto una breve gavetta prima di avere il posto fisso nel mio comune di residenza. Posto che però non ho mai occupato. Lo lasciai a mia moglie in modo da renderle più agevole il viaggio e io invece continuai a passare da una scuola all'altra delle campagne venete. Volle dire alzarsi con il sole ancora sepolto nella notte, entrare in nebbie dense come panna, sopportare rientri a sera inoltrata e poi affrontare interminabili esodi in autobus, treno, bicicletta. Fu faticoso, ma anche arricchente perché incontrai una pluralità di culture, di dialetti, di stili di vita, di umanità.

Amavo la mia vita vagabonda perché mi portava sempre nuove sfide, nuovi interrogativi, nuovi bambini da conoscere, nuove colleghe da portare dalla mia parte, nuovi colleghi con cui passare il tempo, nuove famiglie da frequentare...

Scalari: ti ricordi anche gli alunni? E dove eri?

Siamo a Rottanova. Una scuola da raggiungere in bicicletta qualsiasi fosse il tempo meteorologico. Allora la neve era alta, la bici scivolava, ma andavo avanti. Poi d'estate i sassi delle sterrate, il sudore che faceva grondare e la paura di forare. Non c'erano soldi per le camere d'aria, non c'erano giustificazioni se tardavi, non c'erano genitori a soccorrerti, non c'erano abiti per cambiarsi all'arrivo in classe. Ma la voglia di scherzare con gli alunni non mi mancava mai. I loro volti incantati ripagavano ogni sforzo. Le loro menti che sbocciavano erano una gratificazione impagabile. La bellezza dell'incontro con gli alunni non mi ha mai lasciato. Fu stupendo scoprire il gioco dei pensieri che germinavano. E lo fu fino all'ultimo giorno in classe.

Volti segnati da vite stentate si accavallano con visetti ben curati, guance solcate da tenere lentiggini si susseguono a fronti piene di cicatrici, maschi corpulenti sono mescolati a simpatici monelli, occhi piangenti stanno vicini a sguardi sfidanti... Tutti belli perché tutti veri. Pochi nomi invece sono rimasti impressi nella mia memoria. Solo quelli gridati milioni di volte perché appartenenti a scolari bisognosi di attenzioni. O quelli dei bambini speciali. Speciali perché più sfortunati e quindi per me sempre i più importanti perché li sapevo bisognosi di incontrare un vero adulto. Mi facevano spolmonare, ma li ho sempre amati di un affetto severo quanto comprensivo.

Scalari: hai sempre insegnato nel polesine o anche altrove?

Andai a Marghera, anzi nella sua periferia estrema. Siamo alla Rana località Ca' Emiliani. Un prefabbricato nato tra fabbriche intossicanti e case fatiscenti, tra povertà estreme e trascuratezze al limite della violenza. Con me in doppi turni quasi quaranta alunni di prima, ma con età dai sei ai dieci anni. Certo i ripetenti lì non mancavano. Intere fratrie tutte assieme nella stessa classe perché i fratelli grandi non progredivano e i piccoli li raggiungevano. Tutti stazionavano in prima. Inventarsi un modo per insegnare a realtà così estreme ha per me significato individualizzare l'insegnamento. Ad ogni bambino la richiesta di superare l'ostacolo che sarebbe stato in grado di affrontare. Uno sguardo alla classe come gruppo che doveva legare e uno ad ogni singolo alunno che doveva progredire. Uno sguardo, sia detto con ilarità, complesso. Uno sguardo ecografico visto che in mezzo all'aula sorgevano colonne granitiche che l'occhio doveva scansare per poter vedere oltre.

Il disegno ha sempre supportato il mio lavoro didattico. È espressione spontanea nel bambino. È mezzo per comunicare il suo mondo. È piacere di dare forma a ciò che prima non c'era. E allora disegno libero a volontà. E poi la parola da me scritta sotto affinché ognuno vedesse nella magia di quei strani segni il valore del suo lavoro.

E così ognuno volle poter imparare come descrivere da sé la sua istantanea di vita quotidiana. Comparvero sui quadernoni "mamma è felice con me" , "papà mi dà le botte perché ho detto una bugia", " questa è la mia casa che si chiama baracca".... La scrittura trovò il suo significato e divenne patrimonio cercato, voluto, appreso. Da tutti.

Scalari: sei rimasto molti anni a Ca' Emiliani?

No anche da lì migrai verso nuove sedi poiché diventai di ruolo e quindi dovetti allontanarmi molto di più da casa mia.

Fu la volta di Jesolo.

Da Cavarzere era impossibile raggiungere questa sede.

Mi fermo a Venezia in una angusta stanzetta a casa di conoscenti. Fu un errore. Non avevo un momento di pace, di privatezza, di libertà. E poi mi sentii in obbligo con loro per il resto della vita. Proprio per questo l'edificio scolastico divenne rifugio, ma anche occasione per confrontarmi a lungo con i colleghi, per preparare materiali didattici per gli alunni, per leggere testi pedagogici, per amare sempre più quel luogo e quei bambini che mi davano affetto e mi mostravano rispetto. Intravedo le loro sagome, una ad una. Vedo me stesso che cerco in loro la sicurezza di potermi sentire importante. Ero triste e loro mi rendevano felice. Ero solo e loro mi tenevano compagnia. Ero incompreso e con loro mi sentivo a mio agio. Devo molto ai bambini proprio per la serenità che il contatto con loro mi ha sempre donato.

I miei scolari mi hanno fatto sentire capito. Con loro mi sono avvertito essenziale, insostituibile, vero.

Io che vivevo sempre appesantito da sensi di colpa, da accuse gratuite, da incomprensioni dilaniati, da ricatti interminabili, sono stato graziato dalla possibilità di condividere con loro la gioia per la Libertà.

Subito dopo approdo a Prozzolo. Qui mi fermo un po' di anni.

Piccola scuola di campagna. Bambini poco scolarizzati. Siamo negli anni settanta. L'aria di cambiamento attraversa il mondo della scuola. Sperimentazione, cambiamento, giustizia sociale stanno serpeggiando nel clima culturale.

C'è da battersi per i comitati scuola-famiglia. C'è da ottenere la pagella con il voto unico. C'è da sperimentare l'apertura delle classi, i laboratori creativi, l'abolizione dei libri di testo... C'è da lottare!

Don Lorenzo Milani ci parla della scuola della legalità sociale. Mi ci butto con tutta la mia professionalità e passione.

Sono anni in cui inizio il processo che mi porterà a mettere a punto il metodo della Ricerca.

Pongo ai bambini domande sulla loro vita quotidiana.

Riflettiamo sulla Bugia, sulla Colpa, sulle Punizioni, sulla Libertà, sull'Amicizia... Ognuno scrive quel che pensa, ognuno viene valutato a partire da quel che può fare, ognuno è invitato ad essere se stesso. E inizia la necessità dentro di me di presentare quei bambini sofferenti, arrabbiati, soli, invisibili ai loro genitori.

Mi faccio invitare a casa. Vado da ognuno attraversando campi melmosi e percorrendo strade polverose.

Con ogni mamma e papà parlo del loro figlio. Ascolto con partecipazione le difficoltà di queste famiglie. Partecipo a vicende di soprusi.

Cerco di coinvolgere nel progetto scuola donne dal volto scavato e uomini abbruttiti dalla fatica affinché diano un destino diverso ai loro figli.

Amore e rispetto non sono un binomio conosciuto da queste famiglie e cerco di mostrar loro la possibilità di uscire dai modelli educativi dominati dalla sopraffazione del grande sul piccolo.

Conosco così per la prima volta la forza della catena generazionale.

E provo a spezzarla.

Scalari: e i colleghi come ti vedevano?

Mi hanno sempre stimato, apprezzato, rispettato anche se guardavano al mio fare scuola con una certa perplessità.

Io avevo alunni sempre molto competenti, amanti della lettura, capaci di una buona scrittura e svelti nel far di conto. Bambini molto educati e incredibilmente disciplinati. E andavo a metter calma anche nelle altre classi se mi chiamavano. Così godevo di uno statuto speciale. Un maestro maschio, poi, tra tante insegnati donne lo statuto speciale lo ha per genere di appartenenza! E i miei occhi azzurri, il mio fisico atletico e la mia passione per la vita facevano da apripista.

Arrivano quindi anche le prime soddisfazioni.

Con i colleghi psicologi Alberto Regini e Annalisa Busato ci chiudiamo in un albergo in montagna durante le vacanze estive e ricopiamo tutte le frasi dai quaderni dei miei scolari commentandole. Il materiale c'è ancora a testimoniare come il processo di messa a punto del metodo della Ricerca abbia richiesto tempo e impegno. Penso che ho trovato la mia scuola. Ma la vita non mi consente di fermarmi.

L'anno successivo riparto vagabondo affinché mia moglie, che ancora non guida, non si trovi nella condizione di non poter tornare a casa in tempo utile per occuparsi dei nostri due figli.

Emigro, si può dire proprio così, a Porto Santa Margherita di Caorle.

Il mare che lambisce la scuola mi induce a far giocare e studiare i miei scolari all'aria aperta.

E l'ambiente diventa lo scenario del nostro scoprire il mondo, lo sfondo per dare nomi alle emozioni che sa suscitarci la vita, lo spazio aperto che fa nascere la forza delle domande che non si esauriscono mai.

La scuola è Laboratorio di Ricerca sul proprio essere persone in questo mondo.

I quaderni si riempiono di dolci poesie, di colorate illustrazioni, di istantanee scattate qua e là, di componimenti a tema, di commenti su libri letti, di storie raccolte...

L'Ispettore, durante la visita di valutazione del mio lavoro, rimane affascinato dalla competenza curriculare e dalla ricchezza emotiva delle Ricerche.

Ed è proprio il suo incoraggiamento che mi permette di pensare di mettere a punto il metodo della Ricerca che vuole poter coniugare la vita vera con la conoscenza scolastica, il mondo dell'apprendimento con il vissuto emotivo, il sapere sugli altri con il conoscere se stessi.

I bambini imparano a giocare con i pensieri, con le parole, con i numeri.

I bambini imparano a creare il loro sapere.

Nella mia classe dunque non si ripete, ma si scopre. I miei scolari non sono passivi esecutori, ma sono esploratori nel tempo e nello spazio esterno ed interno.

E questo avventurarsi alla scoperta dell'ignoto rende piacevole l'apprendimento.

Scalari: so che hai promosso le prime scuole a tempo pieno. Cosa ti ricordi?

Apro la sperimentazione nella scuola di Camponogara. Esperienza innovativa. E dove c'era la speranza di cambiare, io c'ero.

Lì l'anno successivo incontro te. Non eri ancora laureata. Avevi appena vent'anni, ma sapevi già il fatto tuo e volevi imparare.

La giovane collega Paola Scalari guarda quel che faccio. Silenziosamente. Capisco che cerca di capire. E' la prima volta che non incontro "imitatori", bensì una collega che ascolta, pone domande, cerca di farmi dare una forma comunicabile a come insegno.

E per narrarglielo lo narro a me stesso. Il fare, con lei, diventa teoria. La pratica metodo. L'intuizione teoria.

L'anno dopo mi trasferisco per mia scelta. Sono convinto che l'utopia di modificare il mondo modificando la scuola sta finendo. Mantengo viva allora l'idea di aiutare chi incontro siano essi alunni o genitori. Chi sta assieme a me vorrei facesse un'esperienza che gli fosse utile per la vita.

La Don Milani di Campalto diventa la sede di questa impresa. Quartiere degradato della periferia veneziana è luogo di ingiustizia sociale, di piccola malavita, di spaccio al dettaglio, di droga e promiscuità, di abuso sui minori e fragilità familiare.

E lì è naturale avviare la Ricerca sulla sessualità. La Direttrice, spaventata dalle oscenità che i bambini conoscono, strappa le pagine del quadernone davanti a me e alla mia classe. Paola mi soccorre incontrando bambini e genitori.

La Ricerca quindi continua nonostante le minacce istituzionali.

Disobbedienza civile?

La Ricerca sulla droga mi vede invece minacciato da dei genitori che, preoccupati che facendo scrivere ai figli quel che sapevano, potessero imparare quel che non sapevano.

Anche qui grazie al collega Nerio Bellemo, che mi appoggia curioso e paziente, arrivo in fondo e avrò la soddisfazione di vedere pubblicate più volte le due Ricerche come buone prassi per la prevenzione del disagio minorile.

Scalari: come finisce questa carriera errante tra la profonda campagna del polesine, la periferia degradata di Venezia, i posti più sperduti del litorale Veneto?

E' ora di riposare un po'. Il Cep Campalto è bonificato. I bambini ormai cresciuti vanno a vivere altrove. Le classi si dimezzano. Il quartiere è abitato per lo più da anziani.

Ultima sede allora in Centro Mestre. Per conoscere il disagio della vita frenetica delle famiglie "bene". Nuova frontiera per sottrarre i figli da genitori ambiziosi, impauriti che i loro rampolli non abbiano un'istruzione adeguata, che non siano preparati per i licei che li attendono.

Incontro per la prima volta scolari prepotenti, presuntuosi, sfidanti.

Bambini irrequieti e agitati. Alunni bravi, ma senza pensieri autonomi. Scolari ripetitivi e poco creativi. Classi rumorose, bambini con certificazione, alunni provenienti da Comunità educative. Oggi si direbbe iperattivi. Io ho sempre pensato scolari in ansia perché non capivano chi erano.

Come ridare dignità alle loro menti?

Mi devo quindi conquistare la stima delle loro famiglie o degli operatori dei servizi per poter ottenere l'attenzione dei piccoli.

E un po' alla volta spiegando e rispiegando che non s'impara senza collegare ciò che si studia a ciò che interessa, che si sente, che si desidera, conquisto al metodo della Ricerca grandi e piccini.

Le menti dei bambini sono dotate di fervida intelligenza e una volta superato l'ostacolo della stereotipia si liberano in alto, molto in alto. Nei componimenti assegnati finiscono le frasi fatte, nei genitori terminano le aspettative codificate, vengono di comune accordo abolite le programmazioni precostituite.

Tutto il lavoro scolastico diventa Ricerca.

E queste classi abitate da bambini vivaci e impegnati mi offrono tutto il materiale che poi, custodito nei loro quadernoni, diventerà la miniera dalla quale attingo il pensiero dei piccoli sia per le mie pubblicazioni sia per le conferenze a cui partecipo.

Scalari: eri arrivato alla tua meta?

Si', ma come arrivai la vidi sfuggirmi.

Un giorno mi accorgo della fatica a scendere in campo con i ragazzi e le ragazze per giocare al calcio con loro. Le gambe non mi obbediscono.

La coordinazione appare incerta.

Il mio corpo mi sta tradendo.

Mi sto ammalando.

Capisco che è ora di lasciare la scuola.

La storia finisce con una canna da pesca dono dei miei colleghi e con un archivio dei quaderni dei miei alunni.

Ma termina lì nell'aula. Non s'arresta invece la mia voglia di capire come educare, insegnare, formare che continua applicata a genitori, operatori, docenti.

Perché il metodo della Ricerca non muore una volta che lo hai appreso infatti non puoi che insegnare attraverso questa strategia.

Passo il mio sapere a chi lavora nei Centri età evolutiva del comune di Venezia che mi vede prima estensore del progetto per il contrasto al disagio minorile e poi operatore con bambini e adulti.

Cerco confronti, suggerimenti, idee da professionisti come Armando Bauleo, Franca Olivetti Manoukian, Gino Pagliarani che sempre hanno valorizzato il mio lavoro.

In tempi diversi ottengo conferme da docenti universitari come Guido Petter, e Paola Milani, Renzo Viinello. Ricevo pubblico plauso da Daniele Novara che mi nomina tra i Maestri del novecento.

La casa editrice la meridiana mi vuole tra i suoi Autori.

Trovo condivisioni nel modo di intendere l'apprendimento nell'Associazione psico-socio-analitica Ariele a cui negli anni novanta mi associo.

Intanto continuo a mettere a punto la metodologia, grazie a te Paola.

Grazie per la tua paziente vicinanza sempre attenta e curiosa e per il tuo generoso sostegno senza mai invidia né rivalità.

Incontri

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Dicembre 2024
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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.