«Vorrei che mia madre mi volesse di nuovo a casa con lei perché altrimenti non saprà mai cosa vuoi dire avere un figlio.» (da La voce dei bambini, in Berto F., /I bambino in pezzi, la meridiana, Molfetta 2014)
«Non si tratta di capire tutto, ma di intendersi all'ascolto di una polifonia alla quale prendiamo parte. Come in una corale.»
(René Kaes, La parole e il legame. Processi associativi nei gruppi, Boria, Roma 1996)
La famiglia determina la salute e la malattia a partire dai legami che s'intrecciano tra i suoi diversi componenti. Sono le emozioni che transitano dentro ai rapporti tra coniugi a trasmettere il senso della vita. E sono altresì gli affetti della coppia, sia nei confronti dei suoi discendenti che dei suoi ascendenti, a determinare la realtà psichica di ogni figlio. Questo mixer emotivo veicolato dai corpi, dai gesti e dalle parole è talmente forte che trasuda dentro alle pareti domestiche creando un'atmosfera respirabile o irrespirabile.
Quando nell' aria si disperdono stati d'animo caotici, distruttivi, psicotici che divengono pericolosi per i piccoli, è necessario che gli operatori che si occupano della tutela minori intervengano. I diritti di crescere dei bambini si trovano, infatti, in una situazione di rischio.
I servizi sociali, inserendosi nella relazione tra genitori e figli, spezzano la cornice che contiene le sicure abitudini del mondo domestico. Questa penetrazione nella vita privata e intima del nucleo fa deflagrare le parti in differenziate e simbiotiche che costituiscono il non detto di ogni contesto familiare (I).
Quando un' istituzione per la tutela del minore spezza la parte connivente tra piccoli e grandi, sgretola la totalità arcaica che condensa i tempi della vita tra le due generazioni e scompone il legame intimo che tiene insieme genitori e figli, fa deflagrare gli aspetti psicotici che scorrono dentro ai vincoli familiari.
L'intervento dei servizi è come un ordigno intelligente, ma non per questo esplode senza creare panico, angoscia, paura, senso di irrealtà. Poco importa se il missile è fatto deflagrare per aprire un varco nell'isolamento dispotico e oppressivo del contesto familiare, molto importa invece che l'esplosione frammenti il nucleo identitario della famiglia lasciando dietro di sé una scia di pezzi di Sé sconnessi, slegati e indecifrabili. Consapevoli della forza esplosiva in campo, gli operatori sanno che solamente l'aver preventivamente creato alleanze tra servizi permette di far fronte al fuoco incrociato delle identificazioni proiettive che si producono quando lo spazio simbiotico della famiglia viene invaso e spezzato.
Lo scudo per non soccombere a causa dei pezzettini d'identità che vorticano nell' aria torbida della famiglia offesa è offerto dall'appartenere a un gruppo di lavoro. Esso permette di entrare nel mondo familiare squilibrato sia con un saldo punto di riferimento dato dal progetto condiviso sia con un pensiero regolare dato dal pensare assieme ad altri.
Riferirsi internamente e operativamente a un gruppo di lavoro a cui si sente di appartenere evita tutti quegli agiti inconsulti che andrebbero altrimenti a colpire delle vittime innocenti. Gli alleati, intesi come i partner del progetto di tutela del minore, creano infatti un sistema di controllo e di sostegno reciproco.
Proprio per questo, appena si intercettano le vittime innocenti di un sistema familiare privo di capacità protettive nei confronti della prole, si deve avviare un contesto collettivo di lavoro. Nel gruppo si spera di poter costruire una serie di strategie condivise che tengano conto dei sentimenti che scorrono tra i grandi e i piccoli senza che la spinta a parteggiare per gli uni o per gli altri disintegri il legame, la relazione, l'invisibile cordone ombelicale che unisce le generazioni.
In un gruppo di lavoro non si tratta di spartirsi compiti e azioni, ma di creare un sistema sociale collettivo capace di contenere, promuovere e verificare delle azioni pensate affinché a ingiustizia non si aggiunga ingiustizia.
Se anche la guerra è dichiarata al fantasma sterminatore che annienta il legame tra le generazioni, la conflittualità insensata rappresenta un gioco perverso che può produrre visioni distorte degli utenti e in azioni inconsulte tra operatori.
È dunque importante che il gruppo di lavoro sia allenato a riconoscere sia ogni vissuto paranoico dovuto al sentirsi giudicati dagli altri sia ogni vissuto depressivo dovuto al sentirsi limitati nella possibilità di dare aiuto.
Se anche la ricostruzione del contesto di vita familiare - grazie al lavoro di tutti i partecipanti al gruppo di lavoro - sarà positiva, i segni del cambiamento catastrofico vissuti con l'entrata nel campo familiare dei servizi e dell' autorità giudiziaria non spariranno mai.
Gli operatori, pur creando un trauma evolutivo, una frattura liberatoria, un prima e un dopo di diversa qualità relazionale per svincolare figli schiacciati, sopraffatti, spezzati, non devono mai dimenticare che hanno rotto in mille schegge la sicurezza nella bontà dei rapporti familiari.
Il gruppo di riferimento sul caso serve allora per rammentare a ciascun professionista come solo impegno, fatica, dedizione, intelligenza, creatività, competenza possano rammendare lo squarcio che l'entrata del sistema di tutela ha creato.
Il buco si ricopre attraverso l'esercizio costante dell' etica della giustizia. Professionisti onestamente impegnati e leggi equamente applicate ridanno ai bambini il senso della speranza di poter avere adulti competenti in grado di occuparsi di loro. Per far questo si interrogano ripetutamente sul senso di fare famiglia oggi con tutte le sue varianti, che sono il risultato di un mondo in trasformazione che però tiene fermo il diritto del bambino di avere le cure a lui necessarie per crescere.
I genitori fragili, smarriti, confusi diventano facilmente madri e padri trascuranti, maltrattanti, alienanti.
Nel mondo attuale esercitare le funzioni di cura sembra davvero complesso poiché le identità di ogni persona sono fiaccate da repentini cambiamenti sociali e da crisi globali che non risparmiano nessuno. Le capacità narrative, per offrire un' educazione che formi e non addestri, richiedono di lasciare spazio a kairos, allento incedere del costruire storie. Ma una società che divora il tempo, inevitabilmente, azzera le ore da dedicare alla cura del figlio 121.
Così l'altro, anche quando è figlio, può divenire motivo di insoddisfazione, rabbia, delusione, collera, rifiuto. L'altro, anche se carne della propria carne, può diventare un oggetto da usare anziché un essere da accudire, al punto da poterlo umiliare per i propri fini abusandolo senza pietà.
I piccoli di casa dimostrano la loro sofferenza mostrando le loro insofferenze, irrequietezze, ansietà. Alcuni le nascondono attraverso la passività, l'a patia, l'adesività e altri le esibiscono attraverso comportamenti prepotenti, dispotici, tiranni. Ma sia gli uni che gli altri, con i loro modi di fare, ci dicono che stanno crescendo in famiglie difficili. Quando i segnali che questi bambini mettono in scena non vengono colti e decifrati, i genitori possono liberamente scaricare sulla prole la loro insoddisfazione, paura, incompetenza e poi dire che il figlio è intrattabile, deludente, impossibile.
Fermarsi a comprendere i segni del disagio familiare diventa allora sempre più necessario. Dare voce alle sofferenze dei legami familiari diviene la strada che insegnanti, educatori, operatori sociali e sanitari possono impegnarsi a percorrere affinché non venga perpetrata un'ingiustizia sociale verso le nuove generazioni. Per poter mettere in parole la sofferenza dei piccoli 131 è necessario saper dare senso ai legami tra i due coniugi che hanno generato il bambino, e tra ciascuno di loro e la sua famiglia d'origine, poiché la sofferenza del piccolo viene trasmessa a causa delle carenze, disfunzionalità e trascuratezze che hanno contraddistinto questo intreccio di relazioni. E poiché si tratta di rappresentare l'invisibile agli occhi, i vari attori che entrano in scena per la protezione del minore possono distorcere l'immagine del bambino sofferente a causa delle difettosità del loro sguardo.
Ognuno infatti osserva il minore attraverso una lente che si è andata formando a partire dal suo essere stato figlio. Ciascuno immette nell'immagine che va costruendosi dei rapporti tra quei genitori e quei figli dei pezzi della sua storia personale.
Quando queste visioni riguardano una pluralità di soggetti lo sguardo può confondersi, annebbiarsi e perdere di lucidità 141. Ex coniugi in lotta dopo una separazione si strappano dalle braccia il figlio a suon di accuse. Genitori arrabbiati e arroganti affermano che insegnanti e assistenti sociali non capiscono nulla. Professionisti con il «camice bianco» fanno pesare i loro ruoli nei servizi al fine di vantare maggiori competenze nelle decisioni in tutela del minore. Avvocati, giudici togati, giudici ordinari, periti di parte e d'ufficio, chiamati a dirimere il groviglio che si è venuto a creare attorno alle competenze genitoriali di una coppia parentale, accampano il benessere del figlio cercando asettiche applicazioni della legge, della testistica, della scienza.
Nel frattempo, il bambino fatto vorticare a casaccio in questo caleidoscopio dalle mille sfaccettature si rompe, va a pezzi, si smarrisce. I frammenti in cui viene ridotto indeboliscono la sua ancor fragile identità. Diventa allora sempre più urgente trovare una via comune per comprendere come leggere e come sostenere le genitoriali difficili.
I genitori sono innanzitutto mariti e mogli che hanno costituito una coppia basata su pensieri illusori e che, persi nelle loro vane chimere, vivono eternamente arrabbiati e insoddisfatti. Boicottano chiunque voglia far loro comprendere che la vita non è come la credono. Rifuggono la ricerca della verità e rimangono sempre degli infanti privi delle parole per narrarsi la vita. Evitano la presa di coscienza scansando ogni processo di crescita che richiede di abbandonare la posizione precedente per far propria, attraverso delle inevitabili crisi, la trasformazione necessaria allo sviluppo identitario.
Lo smarrimento di un genitore negligente, trascurante, maltrattante e incompetente è perciò dovuto all'impossibilità di poter vivere il lutto depressivo che lo porrebbe di fronte ai suoi limiti. La consapevolezza dei propri errori viene costantemente oscurata da una paranoia dilagante che colpisce figli, coniuge, parenti, operatori, società. Un persistente senso di ingiustizia copre la tristezza che l'utente avvertirebbe se lasciasse le proprie fantasie di eterna vittima sofferente e innocente. Parole infantili come «voglio questo o quello», «lei non mi può impedire», «so io, perciò decido io», «quel ragazzo mi fa dannare», «è un figlio nato cattivo» ... colpiscono spesso gli operatori che lavorano con genitori che stanno creando disagio all'interno della loro famiglia. I professionisti si chiedono da dove venga così tanta cecità capace di oscurare la verità dei fatti.
Genitori incompetenti si dipingono come solleciti, dediti, amorevoli senza alcuna consapevolezza di ciò che stanno patendo i loro figli. Solamente dei pezzi della loro vita, infatti, sono evoluti mentre tanti altri aspetti della loro personalità sono arroccati in un narcisismo maligno che distorce le relazioni e pretende di avere la verità in tasca senza nulla concedere alla realtà.
I genitori fragili ritengono quindi che il figlio debba adeguarsi a loro e sono convinti che il loro modo di fare vada bene. Non ammettono discussioni, critiche, appunti. Infantilmente egocentrici non vedono nulla che esca dalla loro visuale puerile. Questo sguardo abbagliato da un'unica visione di se stessi impedisce loro di mettere in campo una qualsiasi azione protettiva nei confronti del figlio.
Ma un bambino non contenuto da uno sguardo amorevole e non accompagnato con determinazione dal mondo dei desideri al mondo reale è in pericolo. La sua crescita viene segnata da un più o meno alto rischio evolutivo. Qualcuno deve pertanto preoccuparsi per lui. La mancanza di protezione rende difficile, se non impossibile, a qualsiasi ragazzo sviluppare la sua identità riuscendo a separarsi in maniera matura dalle figure parentali e andando a definire il suo Sé. Un figlio allora diventa un individuo immaturo che porta avanti un legame generazionale fragile e confuso.
I servizi sociali intervengono quindi tempestivamente, cioè prima che la fragilità diventi malvagità. Lo fanno per aumentare le chance del bambino e del ragazzo in modo che sia possibile prefigurare, almeno nel trascorrere di alcune generazioni, la possibilità di modificare la situazione che presenta gravi carenze educative, importanti situazioni di trascuratezza, dolorosi maltrattamenti e abusi psichici. L'autorità giudiziaria in questi frangenti, se ritiene necessario risvegliare la coscienza etica del genitore, interviene con un dettame indiscutibile. Lo fa per interrompere la trasmissione degli atteggiamenti irresponsabili che, come un fiume carsico, scorrono sotto la catena generazionale.
Sono dunque gli operatori di più servizi che, su mandato o meno del Tribunale per i minorenni, vanno ad assumere la funzione di regolare le istanze puerili dei genitori fragili. I servizi, attraverso il sostegno delle madri e dei padri, si propongono di dare al bambino un genitore capace di ragionare e agire come un adulto.
Nel prospettarsi questa meta tutti i professionisti che entrano in campo sanno però che dovranno incontrare il terrore catastrofico. Il genitore fragile, quando deve cambiare, crescere e maturare, vive una terribile angoscia poiché teme di non esserne capace. È quindi la paura di essere un imberbe pasticcione quella che blocca le madri vulnerabili e i padri insensibili. Entrambi temono vengano scoperti i loro difetti. Pensano di non poter affrontare il dolore insito nel processo di contatto con la realtà. La visione delle loro incapacità, riportando a galla la terribile umiliazione di quel bambino in fasce che furono e che, pieno di bisogni, fu ben poco visto, li fa sentire amaramente mortificati.
La loro immaturità cronica si struttura quindi proprio per evitare di sapere di aver avuto, a propria volta, un genitore incompetente. Se invece la giovane mamma e il giovane papà riescono a narrarsi ciò che hanno subito a causa delle carenti cure parentali, possono desiderare di non far patire nello stesso modo il loro piccolino.
Il passaggio fondante per dare sostegno alla famiglia fragile è quello che fa transitare una madre e un padre dall'identificazione massiccia con il figlio alla possibilità di mettersi nei suoi panni. È quindi il dolore per il mancato sostegno genitoriale a carico delle generazioni precedenti che può far maturare una mamma debole e un papà silente facendo loro affrontare la tristezza per quello che non hanno avuto e per quello che non riescono a dare.
Gli operatori sanno che il processo che avviano sarà intriso della sofferenza umana di chi, non potendo crescere, si difende come può. Sono consapevoli quindi che, a loro volta, non possono «pretendere» maturità là dove non si è potuta formare, ma che il loro operare deve poter generare quel clima relazionale dove l'abbandono di ogni illusione non spaventi, non sia vissuto come colpa, non schiacci inesorabilmente. Il genitore fragile deve evolvere e, per far questo, ha bisogno di un contenitore mentale formato da coloro che seguono la sua situazione familiare. Tutti quindi cercano un modo per avviare, sostenere e portare a termine questo aiuto arrivando in tempo a tutelare il bambino in crescita. Ogni ritardo compromette, infatti, la formazione dell'identità del piccolo.
Tener conto dell'inesorabile scorrere del tempo è un elemento cruciale di ogni progetto di sostegno alla genitorialità incompetente, poiché il bambino ha bisogno della sua mamma e del suo papà ora, subito, nel presente. Ma anche il tempo della narrazione è cruciale poiché, senza una storia raccontabile, nessuno esiste per davvero e per connettere fatti, osservare evoluzioni, dare tonalità emotive agli eventi non ci vuole fretta.
Gli operatori lottano allora per non perdere tempo, ma anche per non divenire vittime dell' assenza di tempo per riflettere, capire, confrontarsi. La strategia vincente, infatti, sta nel programmare un intreccio di interventi che abbiano, nel loro insieme, degli effetti terapeutici. Ed è terapeutico tutto ciò che fa evolvere, cambiare e trasformare le situazioni.
L'intento è allora quello di avviare processi di cambiamento che, modificando le situazioni di devianza, permettano a genitori e figli di uscire da situazioni di stallo. Viene chiesto alla famiglia in difficoltà di divenire flessibile rimodellandosi sui bisogni del bambino. Mentre lo si chiede però si offre - come insieme di operatori che sostengono unanime mente che cambiare non è pericoloso anche se doloroso - un processo gruppale tra servizi che mostra come si possa cambiare idea, trasformare il progetto, rimodellarsi sulla realtà senza aggrapparsi a presunte verità incontrovertibili.
Nulla è esigibile dall'altro se non lo si testimonia. E se questo è vero per tutti, è ancor più necessario nella relazione tra operatore e utente affinché lo diventi tra genitore e figlio.
Non si privilegia quindi il susseguirsi di azioni a contrasto del disagio, ma si studia attentamente una concentrazione di dispositivi che, attivati tutti insieme e in dose massiccia, devono creare uno scossone alla parte bizzarra del genitore per farla crollare erigendo, dopo la scossa sismica, una nuova identità maggiormente competente e salda.
Un progetto di sostegno alla famiglia fragile non si può quindi basare sulla psicoterapia classica. Se si vuole creare un cordone protettivo attorno al bambino in un lasso di tempo che sia consono al ritmo del suo sviluppo psichico, bisogna intrecciare più saperi.
È perciò il progetto psicosocioeducativo che diviene strategia per far evolvere la situazione.
Il programma di cura della famiglia fragile prevede tre funzioni intrecciate: la funzione psicoterapeutica, la funzione sociale, la funzione educativa.
La funzione psicoterapeutica viene attivata come opportunità per scavare nelle trame familiari che hanno lasciato ferite da riparare e cerca di connettere passato e presente, sofferenze del genitore e disagi sia nel bambino di un tempo sia in quello che si è generato.
Non basta per ogni singolo membro una psicoterapia individuale, non è sufficiente un intervento sulla coppia, non si hanno grandi risultati operando solo sul bambino; è invece necessario attivare tutte queste forme di psicoterapia affinché ogni membro rafforzi se stesso, i suoi legami con l'altro e soprattutto la sua capacità di costruire dei rapporti con i componenti del suo nucleo familiare.
Il lavoro individuale, quindi, può favorire la possibilità di parlarsi insieme come coppia parentale - e quindi il sentirsi genitore -e facilita l'accesso a una psicoterapia familiare. L'attivare contemporaneamente questi dispositivi permette anche il percorso psichico inverso, vale a dire, sviluppando il senso di appartenenza al proprio gruppo familiare, ogni componente della famiglia può ritrovare la motivazione a cambiare se stesso intraprendendo percorsi individuali.
La funzione sociale osserva e interviene nei vincoli tra i componenti del gruppo familiare sollecitando l'incremento dei legami comunitari attraverso la partecipazione a eventi collettivi e l'accettazione di una famiglia di supporto, di buon vicinato o affidataria. Per mamma e papà il moltiplicarsi dei vincoli diviene via maestra per la comprensione degli stili relazionali e per il bambino diviene opportunità di crescere in un «villaggio» che lo ama, accudisce e aiuta. Ogni componente della famiglia può così arrivare a trasformare la sua idea di rapporto con l'altro così come l'ha assorbita nella sua lunga o breve storia di vita.
Questi due ambiti sono sostenuti e resi possibili dalla funzione educativa che si pone a modeling nella quotidianità puntando sulla possibilità di apprendimento a partire dalle risorse di ognuno. Ed educare diviene sostenere, capire, accompagnare, difendere, spronare in una condivisione empatica che sa mantenere, in contemporanea, la capacità di immedesimazione regressiva e di distanziamento adulto. All' educatore è demandata quindi anche la funzione di sostegno dell'Io fragile, con l'obiettivo di sostenere i soggetti destinatari del progetto a utilizzarlo. Nessuna risoluzione dunque può essere demandata a un singolo professionista, ma è possibile quando più operatori psico-socio-educativi intervengono concertando un intreccio di azioni in grado di interrompere atteggiamenti stereotipati, ripetitivi, fissi e perciò malati.
Si tratta di accompagnare tutti i componenti del nucleo familiare in un processo di de-idealizzazione, senza alimentare o colludere con fantasie mitiche di poter far divenire magicamente un uomo e una donna dei genitori competenti grazie a un atto di buona volontà. Le intenzioni non c'entrano nello sviluppo identitario. Questa evoluzione è infatti iscritta in una dimensione emotiva inconscia che è fortemente segnata dal non senso del tempo cronologico e narrativo. La cura è dunque ridare una trama e un ordito alla storia individuale dei genitori e dei figli e alla storia collettiva di tutto il nucleo familiare.
L'unico atto volontario del genitore sta perciò nella sua adesione al progetto. Tutto il resto lo sostiene il gruppo degli operatori che, con sapienza e perseveranza, dà nomi alle emozioni che attraversano gli eventi.
Durante questo processo di messa in rete della famiglia fragile è necessario prestare continuamente ascolto al bambino poiché egli è il primo sensore di quanto si sta modificando o di quanto si sta ripetendo.
Quando nulla è mutabile bisogna anche arrivare a definire l'impossibilità di dare un sostegno al genitore in difficoltà. In questo caso il nucleo va aiutato a lasciar andare altrove il piccolo al fine di dargli una vita migliore.
Qualche volta è necessario accompagnare il genitore a maturare la capacità di rinunciare parzialmente o totalmente alla sua funzione parentale. Lasciare spazio ai bisogni del figlio è un gesto che gli operatori possono promuovere, sostenere e accompagnare. Il bene del minore deve essere posto al centro della scelta. Ed esso, il più delle volte, corrisponde al bene della coppia che lo ha generato.
Madri e padri incompetenti, se non sono aiutati a rinunciare al figlio, entrano in un vortice dove all'illusione riparatrice segue la disperazione devastatrice causata dal vedersi incapaci, smarriti e confusi. Amano i figli come avrebbero voluto essere amati, ma non essendo stati affettuosamente curati non sanno dare ai loro piccini l'affetto necessario a farli stare bene.
L'unica via di salvezza di un genitore che è rimasto un bambino irresponsabile rimane quella di negare la realtà. Una madre e un padre allora diventano sempre più bizzarri, inconcludenti, confusi e il loro figlio sta sempre più male nella vana attesa di incontrare un adulto capace di riconoscere la sua identità specifica, senza confonderlo con la propria visione illusoria della vita.
Le mamme infantili non possono lasciar andare i figli altrove perché il piccolo è una parte di sé e perciò non possono mutilarsi. I papà puerili rincorrono i figli anche quando non sanno occuparsene dimostrando di non considerarli dei soggetti, ma solo delle proprietà.
Il bambino che non è ritenuto una persona dotata di una sua personalità racconta il suo dramma di figlio che non è mai esistito. Spesso si fa vedere con atti inconsulti. Ritiene che sia meglio essere considerato cattivo che inesistente. È a questa narrazione che la comunità educativa deve prestare orecchio e dare voce. Se si guarda, si ascolta e si comprende il bambino si sa che direzione prendere poiché egli, seppure in modo indiretto (quindi alcune volte con il corpo, quasi sempre con i suoi comportamenti, spesso con la narrazione delle sue storie), racconta sempre come sta e di cosa ha bisogno.
Una volta intuito il «discorso» del bambino si rivela urgente agire con tempestività. La decisione di allontanare temporaneamente da casa un piccolo o ancor più dolorosamente pensare che sia per lui preferibile staccarsi completamente dalla sua famiglia richiede grande forza d'animo. Non sembrano infatti azioni naturali poiché sarebbe nell'inclinazione fisiologica che un cucciolo trovasse nell' ambiente materno tutto quello di cui ha bisogno. Per questo non possono che essere decisioni condivise e suggellate dalla legge.
Genitori irrimediabilmente difficili non possono garantire cure, educazione, sogni per il futuro. E il figlio ha diritto a poter intravedere un domani migliore.
Sperare è già qualcosa quando la realtà familiare non genera più speranza. Auspicare per il bambino una vita più regolata, giusta, sicura. Ma confidare non è ottenere e quindi questo atto che solleva i genitori in estrema difficoltà dai loro compiti quotidiani non garantisce che i bambini avranno tutto ciò di cui sentiranno bisogno, poiché il primo bisogno è quello di avere una mamma che ti tiene con lei.
Questa ingiustizia quindi segna, temporaneamente o definitivamente, la storia dei bambini collocati fuori casa. E che si tratti di una ferita che sanguina lo sappiamo dai bambini che mal si adattano a qualsiasi comunità educativa o che si fanno rifiutare dalle famiglie affidatarie. Bambini che non sentono di poter vivere, esistere, essere persone fuori dal nucleo familiare. Bambini perciò che è necessario preparare al distacco offrendo ciò di cui la famiglia non ha potuto fornirli: la capacità di disagglutinarsi.
Caratterizza infatti la genitorialità difficile il suo produrre, all'interno della vita psichica del gruppo familiare, un magma in differenziato. Melassa che rende indifferenziate le generazioni; bava appiccicosa che impedisce al figlio di nascere come individuo separato. Per questo tutto il lavoro dei servizi prima di collocare fuori casa un bambino va nella direzione di fornirlo di un minimo di pelle psichica affinché essa lo contenga nel momento del distacco da mamma e papà.
I bambini adottati invece possono aver avuto più o meno un mandato a trovare in un' altra famiglia ciò che i loro genitori naturali non potevano offrire. Spesso aver avuto questo viatico rende meno terrificante l'abbandono subito. Eppure le domande «chi sono, da dove vengo, perché mi hanno abbandonato» possono non solo far tribolare oltre misura i genitori adottivi, ma rendere impossibile una reale crescita emotiva.
Per questo le genitorialità sociali, come quella affidataria e quella adottiva, possono risultare molto molto difficili portando non solo scompensi nella coppia parentale, ma anche nella vita dei bambini che sono stati accolti. Ancora una volta la soluzione è che queste famiglie rimangano - per tutta la durata dell' affido o per sempre- delle famiglie di cui la comunità degli operatori si occupa con benevolenza, comprensione e affetto.
Fare da genitore a un figlio ferito è davvero un compito arduo di riparazione di molteplici dolori che però da innominabili, grazie a loro, potranno divenire nominabili.
Nominare al figlio ciò che è invisibile agli occhi è, per ogni donna e per ogni uomo che lo desideri, assumere funzioni genitoriali.
Mamme e papà in difficoltà vengono muniti di questa funzione grazie al lavoro di una pluralità di operatori che donano alla famiglia in difficoltà delle parole affinché ogni componente si racconti collegando fatti ed emozioni, eventi e storie di vita, idee e sensazioni.
I genitori sociali invece le mettono a disposizione quotidianamente per offrire al bambino un vocabolario che lo aiuti a dare una collocazione a eventi impensabili come quello di una madre che non ti ha tenuto con sé o di un padre che ti ha violato nel corpo e nello spirito.
I bambini raccontati anziché giudicati hanno dunque una chance nella vita. Di questo si fa carico tutta la comunità composta da famiglie competenti, operatori solleciti ed educatori professionali.
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