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REPRIMERE GENERA SOLO ULTERIORI PENSIERI CATTIVI,
MA ASSOLVERE CON NONCURANZA ABBANDONA AI MOSTRI INTERIORI.

Lo sport può andare controvento per vivere un'esperienza diversa da quella dove è nata la propria sofferenza.

Paola Scalari

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Alcuni ragazzi e ragazze arrivano allo sport, spesso in modo silenzioso, carichi di una sofferenza anche pesante, che ha preso forme nell'età infantile in famiglia o a scuola o nel tempo libero delle amicizie. Storie di solitudine relazionale, ansia da prestazione e successo, rifiuto di se stessi, scatenata aggressività. Se non è attenti tale sofferenza, quando questa irrompe nello sport può aggravarsi in modo drammatico fino a bloccare ogni interesse per lo sport, ogni apertura al fare squadra con conseguente aumento dell'aggressività, ma anche ogni disponibilità a pensare, immaginare, desiderare. Allo sport queste situazioni chiedono di inventarsi come "esperienza alternativa", in modo che i ragazzi e ragazze possano trovare le forze per andare controvento rispetto alloro vissuto di sofferenza.

Mi permetto di partire da una frase che ho trovato sul web: "L'orizzonte cambia ogni volta che lo si vuol far cambiare. Basta issare le vele e puntare verso il largo per trovarsi ogni volta di fronte alla libertà più bella e più grande di tutte: quella di scegliere una rotta tra le mille possibili che il mare mette a disposizione. E in fondo alla rotta c'è sempre un posto nuovo, un paese nuovo, nuova gente".
C'è molto da riflettere per chi svolge un compito educativo nello sport a fianco di ragazzi segnati da una profonda sofferenza, alimentata anche da non pochi fallimenti educativi. Il compito diventa sostenere questi ragazzi nell' andare controvento.

A volte si tratta di educare ad andare controvento.
Ludovico fruga nella scrivania, quando gli capita in mano una foto. Lo ritrae su una piccola imbarcazione, infagottato nella muta acquistata su internet da suo padre. Guarda con nostalgia al suo amato Optimist, comperato con una colletta tra parenti. Sorride a quel bimbetto grassottello e imbronciato.
Osserva i lunghi capelli biondi sparsi in modo da coprirgli il viso mentre lo sguardo è fisso, basso e torvo. Rivede sullo sfondo della vecchia istantanea il suo istruttore. Ora Tito non c'è più. Il suo mentore, il suo salvatore, il suo maestro lo ha lasciato da poco per navigare nei cieli infiniti. Uomo di altri tempi, fu proprio la sua mano ferma a condurlo fuori da un'infanzia inquieta.
Ricorda le emozioni provate quando quella pelle coriacea lo toccava. Rivive una torrida giornata di giugno mentre il corpo del suo istruttore grondava di sudore. Gli serrò la mano in una stretta amichevole e maschia. Si sentì al sicuro. Erano le otto in punto di quel mattino nel quale partecipò alla prima lezione di vela.
E così Il bambino maleducato sempre in panchina per punizione, espulso dalla squadra di calcio perché indomabile, indesiderato nella squadra di basket per il continuo tirare calci sugli stinchi diventò il frequentatore più assiduo e ricercato del Circolo.
Ripensa all'umiliazione peggiore: la doccia in spogliatoio. Deriso perché i suoi genitali sparivano dentro alle pieghe della pancia. Offeso perché, per rimediare, esibiva il pene eretto. Femminuccia o finocchio erano gli epiteti più gentili. Aveva provato a non lavarsi in palestra, ma così era divenuto lo Sporco, il Lurido, il Puzzone.
Mamma, per consolarlo, lo portava con sé nel lettone e lo cullava, pur vergognandosi - lui lo sentiva - di quel figlio. Papà intanto la minacciava di andarsene da casa sottraendole quel figlio rammollito.
Babbo, per spronarlo, lo incitava a seguire i suoi consigli di uomo tutto d'un pezzo, pur spazientendosi -lui lo capiva - di quell'imbranato di figlio. Mamma interveniva affermando che Ludovico non era insensibile come quel buzzurro di marito che si ritrovava e da cui diceva di voler divorziare.
In quella fine primavera pertanto i genitori, non senza discussioni, avevano scelto un ennesimo sport, esasperati dal sentirsi dire:
"Ludovico si comporta male, non collabora con i compagni, fa falli cattivi, provi a fargli cambiare attività...”.
Ancora adesso gli si stringe lo stomaco, gli si chiude la gola come se fosse ostruita da macigni, se torna a pensare a quanto sia stato difficile sopportare critiche, prese in giro, rimbrotti perché la sua stazza non era proprio atletica. Qualche volta non poteva che sturarsi con un po' di urla a casaccio. Ma queste grida gli venivano ficcate di nuovo in gola con un lapidario: "Sei proprio cattivo!':
La sua barca, battezzata con il nome "Riscossa", segnò l'epoca della liberazione. Ogni giorno un vento soffiava amico e lo portava altrove, fuori, lontano da tutti. Poi vennero le regate, ma non c'era nessuna pressione. Ognuno faceva fronte al libeccio o alla tramontana, al grecale o al maestrale come poteva, sapeva, riusciva. Lui arrivava sempre ultimo, ma nessuno lo sgridava, lo riprendeva e gli rinfacciava le sue presunte o reali incapacità. Con la bora si eccitava a risalire di bolina. Era il vento preferito perché forte, deciso, minaccioso. Contrastarlo gli dava pace.
Ludovico sente uscire, improwiso, un evento dall'archivio della sua memoria. È una mattina di primavera che fa seguito a un temporale notturno. Le onde sembrano voler travolgere chiunque osi solcarle. Tito gli ordina di rinforzare gli ancoraggi delle barche dei compagni ancora assenti. Lui risponde con un sibilante: "Vaff...': Tito lo guarda con quel suo modo burbero e comprensivo. Si ferma un attimo. Poi gli fa cenno di scendere in acqua. Lui accetta la sfida. Entra nel suo guscio e va. Il vento sibila dispettoso e travolgente.
Bisogna stringere il timone con forza. È necessario regolare le vele con destrezza. Si lascia trasportare senza timori. Dapprima dal suo cuore sgorgano parole aspre contro tutti, come gli schizzi dell'acqua che entrano in barca. Finché, a poco a poco, sente una gran calma.
"In barca non puoi prendertela con nessuno", si dice, "sei solo con te stesso': L'ira prepotente contro chi lo vuole umiliare, giudicare, condannare evapora. Si sente forte in quella solitudine esaltante. In cuor suo ringrazia mamma e papà di essersi accordati per portarlo al Circolo della vela.
Ludovico si ricorda come da quel giorno si mise a dieta ordinando alla nonna di ridurre dosi e condimenti nei suoi pasti. Voleva uscire dal guscio di ciccia che lo nascondeva al mondo per paura del giudizio della gente. E Tito fu sempre più contento di vederlo divenire un vero navigante.
Un sorriso si stampa nel volto di Ludovico mentre cerca nel cassetto la sua carta d'identità perché domani parte per Trieste. Lo spettacolo grandioso e gioioso della Barcolana lo aspetta.

Riconoscere il bisogno di rompere una rete opprimente.

I comportamenti sregolati dei bambini e dei ragazzi provengono da pensieri inquietanti che le loro giovani menti non riescono a formulare. Sono queste immagini interiori confuse, frammentate e innominabili che li rendono degli implacabili provocatori. A volte i ragazzi urlano per liberarsene. Altre volte agiscono in maniera sconsiderata affinché qualcuno si accorga dei loro stati emotivi. Il più delle volte tormentano tutti perché sono tormentati. Sono oppressi da distorte costruzioni mentali che si sono andate edificando dentro di loro a causa di storie familiari complesse, di insegnanti stigmatizzanti, di coetanei insensibili.
I genitori possono sbagliare atteggiamento con la loro condiscendenza a causa di una tribolata eredità familiare o di una cronica infelicità coniugale. Madri e padri allora travasano i loro problemi irrisolti nella mente dei figli. Quelli trasmessi sono dei dilemmi, dei dolori e delle disperazioni che, nel mondo interno del piccolo, si trasformano in idee inquietanti e persecutorie. L'agire in modo dissennato, quindi, diventa la strategia privilegiata per scrollarle fuori di sé liberando la mente.
Docenti, educatori e istruttori deboli professionalmente possono usare le maniere forti con il giovanetto che li fa sfigurare in modo da nascondere l'inconsistenza personale e sociale che li fa vergognare. Un alunno designato allora può assumere il ruolo del disturbatore.
Coetanei in difficoltà con loro stessi possono individuare tra i pari un capro espiatorio sul quale proiettare tutto ciò che temono sia di essere sia di non essere. Il compagno bersaglio rimane schiacciato pur cercando, a modo suo, di ribellarsi.
Un bambino irrequieto, furioso, provocante e violento è espressione di un contesto relazionale vulnerabile, Poiché è lui che s'incarica di portare a galla la malattia dei vincoli a cui è esposto è lui il primo ad avere bisogno di un aiuto che lo faccia uscire dal posto nel quale si è lasciato ficcare.

Fare spazio a un'esperienza di riscossa

Spesso ai ragazzi indomabili si consiglia un'attività sportiva sperando che possa divenire un'esperienza trasformativa. E lo è davvero se non segue le logiche punitive e correttive o lassiste e impotenti di coloro che hanno generato così tanta agitazione nel bambino. 10 sport pertanto è occasione di sviluppo individuale se permette al ragazzo di fare un'esperienza di gruppo diversa da quella dei contesti dove finora è vissuto.
La posizione mentale che guida gli allenatori che si occupano di ragazzi oppositivi, di conseguenza, evita di cercare strategie per domarli. All'idea di raddrizzarli fa posto il bisogno di leggere dentro ai loro comportamenti irriducibili. Qualsiasi espediente repressivo è infatti destinato a fallire, visto che premi e punizioni non modificano la vita interiore. Reprimere con forza genera solo ulteriori pensieri cattivi. Assolvere con noncuranza abbandona il bambino di fronte ai suoi mostri interiori.
La terza via consiste nel dare un significato al modo di comportarsi del ragazzo e, senza parole ma con appropriate azioni pensate, aiutarlo a modificare i sentimenti che lo opprimono. L'educatore è chiamato a proporre delle attività che permettano al ragazzo di
sentire che sta facendo un'esperienza differente da quella dove è nata la sua sofferenza. L'istruttore evita quindi con cura di giocare allo "psicologo fai da te".

Liberare la capacità di riflettere

Quando l'azione atletica voglia formare, dare una nuova chance, essere occasione evolutiva diviene dunque necessario esporre il bambino a rapporti dove predomini un agire che faccia seguito al pensare. La funzione pensante della mente viene così trasmessa al ragazzo che, attraverso questo dono prezioso, diviene capace di contenere il suo agire insensato.
Sono allora le proposte sapientemente dosate da un allenatore competente a far sì che i piccoli monelli modifichino le loro idee su se stessi andando a riordinare paure e ansie di non valere. E saranno poi queste nuove rappresentazioni che porteranno i ragazzi a sentirsi meno spaventati per quel che provano, pensano e credono.
10 sport può dunque essere luogo educativo per eccellenza se riesce a educare ciascun partecipante a gareggiare con se stesso e non con gli altri.
Misurarsi con i propri limiti rende orgogliosi di poterli superare. Misurarsi con gli altri rende sofferenti perché c'è sempre chi è in grado di fare meglio.

 

UN LIBRO PER SAPERNE DI PIU’

FILI SPEZZATI
Francesco Berto, Paola Scalari
Genitori in crisi, separati, divorziati la Meridiana, Molfetta 2016

Francesco Berto, offrono validi strumenti dati dalla loro esperienza e pratica terapeutica per supporta re non solo gli "addetti ai lavori" ma anche i genitori e tutti coloro che sono interessati, nell'impegnativo viaggio che parte dal conflitto coniugale, attraversa la crisi della famiglia vedendone la destrutturazione per poi individuare gli strumenti volti alla costruzione di nuovi assetti gruppali.
Il lettore verrà coinvolto da un appassionante alternarsi di narrazioni di storie vissute accompagnate da riflessioni di carattere psicologico, frutto della grande esperienza degli autori e della loro abile capacità di espressione e fluidità della forma con cui riescono a traghettare il lettore dentro a contenuti di forte intensità emotiva, offrendogli una duplice prospettiva: quella cognitiva di trasmissione di teoria e tecnica e quella emotiva che consente di sintonizzarsi immediatamente con i vissuti sia degli immaginari protagonisti del libro che con la voce narrante degli autori.
(Daniela Cassago, psicoterapeuta socia Ariele Psicoterapia)

Incontri

Novembre 2024
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Dicembre 2024
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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.