IL GRUPPO E UNA ZATTERA NELLA BURRASCA:
QUALE ADULTO PUÒ TRARRE TUTII IN SALVO?
Comprendere quando gesti e parole dei preadolescenti sono cattiverie senza cattiveria
Paola Scalari
Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole. (Fabrizio De André)
In un angolo del maneggio un'amazzone se ne sta raggomitolata a terra. Rannicchiata, singhiozza mentre le amiche cercano di consolarla, portano una bottiglietta d'acqua, vanno a prenderle lo zaino. Una sorta di danza primordiale le si muove attorno. Solo Lucia la guarda da lontano con occhi sprezzanti.
Azzurra è stata disarcionata. Il suo Fuoco davanti alla rivera si è fermato, ha nitrito e si è impuntato. Lucia borbotta: "Azzurra non sa amare gli animali, anzi non sa amare nessuno presa da se stessa”. Si ricorda del suo primo istruttore: “L’equitazione non è solo tecnica, ma è soprattutto complicità tra un cavallo e chi lo monta. Bisogna amare l'animale ancor prima dello sport che si condivide con lui. Se non si è un tutt'uno con il cavallo si rimane fuori gioco”.
Lucia scruta Azzurra e un sorriso ebete le si stampa sul volto poiché l’”amazzone perfetta” che crede di essere la migliore perché ha la divisa all'ultimo grido, il cavallo selezionato, la sella di alta qualità, è caduta a terra. Si dirige verso le siepi per proteggersi dallo sguardo degli estranei. Teme le si legga in volto l'invidia. È gelosa di "Princess", come la chiama Maicol, l'istruttore americano. È invidiosa
per l'attrezzatura che Azzurra esibisce, mentre lei non riesce a farsi dare con regolarità nemmeno i soldi per le lezioni.
I cavalli però sono la sua passione fin da quando era piccina, li vive come delle bestie mitologiche, li guarda negli occhi e le pare di capirli. Sbuffano sempre, come lei. Fare il loro dovere è un imperativo
che, come a lei, non può essere imposto se non con amore. Ed è con amore che ogni giorno, finiti gli allenamenti, esce dal maneggio e si gode lunghe passeggiate a cavallo. Spesso sola, mai con le sue coetanee. Galoppare con Stella sui sentieri della pineta o trottare lungo la battigia è una gioia liberatoria.
Oggi Lucia sente che un po' di giustizia è fatta poiché "madamigella so fare tutto io" è finita gambe all'aria. Certo deve mandar giù che tutte le ragazze ronzino attorno ad Azzurra. Non solo loro. In un battibaleno sono arrivati anche Guglielmo e Pierpaolo, i due più "fighi" del maneggio. Da veri cavalieri l'hanno sorretta fino alla veranda del vecchio edificio. Alzandosi Azzurra ha fatto cadere lo zaino ed è stata subito aiutata a mettere tutto in ordine. A terra è rimasto il cellulare.
Lucia lo afferra, toglie la batteria e lo stringe tra le mani. Quasi senza accorgersene si trova l'iPhone in tasca. Sorpresa da questa sua azione si ritira nelle scuderie e, immusonita e si mette a strigliare Stella. Davanti agli occhi le si parano i diversi ostacoli della pista. E da vera cavallerizza si trova a scrutarli per superare barriere e pensieri. Vede la gabbia e non le pare giusto che tutte facciano le damigelle di Azzurra solo perché le invita nella sua villa. Si trova davanti al muro e non le pare giusto che ad Azzurra sia concessa una madre elegante mentre la sua porta da anni lo stesso cappotto. Sosta di fronte alla croce di Sant'Andrea e non le pare giusto che si occupino di Azzurra non solo i genitori, ma anche una giovane inglese che vive alla pari nell'antica villa. Lucia invece sta sempre a sola perché sua madre aiuta la sorella nel negozio di frutta e verdura e il padre fa straordinari ogni volta che può.
Mentre questi pensieri le si accavallano quasi senza accorgersene si trova tra le mani il cellulare e lo depone nella mangiatoia sotto il fieno. Poi riprende ad accarezzare Stella, l'unica che la capisce. Ed ecco arrivare le amiche di Azzurra. La strattonano accusandola di aver rubato il cellulare. La buttano a terra. Arriva l'istruttore. Si fa raccontare i fatti e apostrofa Lucia: "Sei senza cuore, sei una ladra, sei una bad girI': Poi intima alle altre di uscire e lasciar fare a lui. Il giovane uomo si guarda attorno in cerca di qualcuno che gli suggerisca cosa fare, ma non c'è nessuno. Solamente Stella cerca di dirgli qualcosa sbuffando a più non posso.
Non si possono misurare i comportamenti dei preadolescenti con il metro con cui si misurano quelli degli adolescenti e dei giovani. La preadolescenza è un'età convulsa e imprevedibile. Non solo perché è abitata da intense e contraddittorie emozioni, ma anche perché la mente non è ancora sufficientemente matura per avere il controllodi atteggiamenti e azioni.
Se gli adulti ignorano questo, è facile confondere la possibili cattiverie con la cattiveria. È facile cioè etichettare sotto un giudizio morale di cattiveria una manifestazione di cui il preadolescente non ha del tutto padronanza. Non vuoI dire non essere critici quanto basta nei loro confronti, ma chiedersi come fare un pezzo di strada con loro, sapendo che il luogo in cui si emancipano da pensieri e gesti infantili è l'esperienza di gruppo.
Un gruppo di preadolescenti non è mai facile da contenere. Come un' onda anomala si infrange contro gli altri in modo caotico, confuso e disordinato. Improvvisi picchi di rabbia lasciano il posto a tristezze sconfinate, mentre momenti d'ira anticipano sentimenti melanconici. Azioni sconsiderate fanno seguito ad atteggiamenti generosi. Brutte maniere si alternano a modi di fare composti. TI "meteo" delle emozioni è così imprevedibile da lasciare sempre di stucco gli adulti che si occupano dei ragazzi.
Un disordine che parte da una mente in piena evoluzione
Spesso i preadolescenti si scagliano contro gli adulti, ma qualche volta anche contro qualche compagno o qualche sottogruppo. TI contrapporsi è un modo per imporre la loro volontà e misurare la loro unicità. Molta strada deve essere percorsa prima di poterlo definire bullismo. È essenziale quindi astenersi dal definire in modo negativo la ricerca dei confini identitari che ogni preadolescente deve compiere tra prove ed errori.
I modi di comportarsi dei bambini non ancora adolescenti possono sembrare cattivi, in realtà sono disordinati tanto quanto è disorganizzata la loro mente in evoluzione. Mancano loro le parole per dirsi cosa sentono e per comunicarlo, perciò non riescono a mediare l'agire con il riflettere.
Come alunni sono indisciplinati e provocanti quando, seppur "sorvegliati" dagli insegnanti, passano da comportamenti da asilo dell'infanzia ad atteggiamenti da teppisti incalliti. In classe, se non si lavora a far diventare un gruppo coeso l'agglomerato di individui che all'interno dell'aula, si rischia la nascita di un numero imprecisabile di gruppuscoli che si fronteggiano.
L'ambiente sportivo luogo di scoperta del senso di appartenenza
Nessun minore si salva in questa lotta tra pari poiché ciascuno ha ben poca capacità di controllare i suoi modi di fare.
Sgarrano anche i ragazzini maggiormente composti, con famiglie serie e severe alle spalle, solitamente generosi e gentili con i coetanei. E lo fanno ancor di più durante le attività sportive, poiché in questi luoghi si sentono maggiormente autorizzati a lasciarsi andare verso chi detestano e a provocare chi li inquieta. L'ambiente sportivo, soprattutto se più che su un principio cooperativo si sviluppa su un'esasperata competitività, rischia di sedimentare nella loro mente una netta divisione tra alleati e nemici.
La strada per contenere l'immaturità dei ragazzi consiste nel creare uno spirito di squadra. Non tutti gli sport però facilitano questa coesione, complicità e solidarietà.
Se la classe scolastica può lavorare solo se diventa un "gruppo pensante", anche le attività sportive possono reggere l'impatto con i contrastanti vissuti preadolescenziali solo se il club, la società, l'organizzazione sportiva trovano un modo per far sviluppare un orgoglioso "senso di appartenenza". I ragazzi che acquisiscono questa competenza poi possono trasferirla anche tra i banchi di scuola.
È per questo che molte volte si iscrive un "piccolo ribelle" a un'attività sportiva. Si spera che impari il piacere del sentirsi parte di un gruppo. La violenza si contiene infatti attraverso il senso di appartenenza al genere umano, al gruppo amicale, al contesto comunitario, al nucleo familiare.
Per gli sport maggiormente individuali, allora, è necessario che le ore di apprendimento teorico, i momenti di pausa, le trasferte, i colori del club siano una scuola di vita che aiuta ognuno a "sentirsi parte" di un insieme coeso. Per gli sport di squadra ogni allenatore invece sa bene che, se non ha un gruppo compatto e collaborante, non avrà mai la possibilità di farlo emergere.
Il gruppo dei pari è una zattera in un mare burrascoso
Se non li si fa vivere lo spirito di gruppo gli adolescenti diventano ingovernabili e la loro irrequietezza apre la strada a rivalità incontrollabili che facilmente degenerano in azioni insensate. Sono agiti non pensati e involontari. Tanto che se si domanda a un ragazzo la motivazione delle sue malefatte, non sa cosa dire poiché sottostante al suo modo di comportarsi non vi è un ragionamento preciso, una malafede coltivata o un piano strategico criminale. Si potrebbe dire che è uno sfogo a una tensione non meglio nominabile. I preadolescenti possono agire in modo scriteriato senza neppure accorgersi che stanno passando il limite consentito dalla civile convivenza.
Se nell'età incerta ogni ragazzo deve svincolarsi dagli adulti, contemporaneamente deve sentirsi vincolato ai coetanei per non smarrire la strada della buona educazione. L'appartenenza a un gruppo di pari è la zattera su cui ognuno può imbarcarsi mentre si trova ad attraversare il mare burrascoso che lo farà approdare all'adolescenza e da lì all' età adulta.
Ci vogliono adulti che li raggiungano per trarli in salvo
I preadolescenti, in altre parole, sono piccoli dentro a corpi in rapida crescita e si atteggiano da grandi, seppure le loro capacità psichiche siano vulnerabili e pertanto, mentre intraprendono il loro viaggio verso la maturità, hanno bisogno di educatori che possano sempre raggiungerli per trarli in salvo.
È perciò necessario che degli adulti competenti sappiano porre su di loro uno "sguardo ecografico" per intervenire ogniqualvolta ce ne sia bisogno. Insegnanti, educatori, allenatori, istruttori, animatori non possono lasciare i piccoli a se stessi anche quando questi rivendicano autonomia e libertà, poiché nessun preadolescente è ancora in grado di gestirla.
Qualche volta gli adulti si giustificano affermando che i ragazzi sono autosufficienti, ma questo è un tornaconto dei grandi, proprio perché stare con questi strani esseri che non sono né carne né pesce è fortemente impegnativo. E allora gli educatori si distraggono.
Per i ragazzi queste disattenzioni sono destabilizzanti, poiché tutta la loro esistenza gira attorno all'essere ammirati, importanti, scelti, visti. L'indice di gradimento dato da adulti e da coetanei che li apprezzano, li scelgono, li valorizzano diviene sinonimo di benessere o malessere.
Quelli non capiti si condannano alla marginalità
La loro paura di non valere, non essere accettati, venir scartati si fa spesso dilaniante dolore, tormento dell'anima e fuga dalla vita. Fuggono dai banchi di scuola o fisicamente o mentalmente votandosi all'insuccesso scolastico. Si sottraggono alle attività sportive prima disertando allenamenti e partite, poi ritirandosi da prove e gare e infine rinunciando all'attività stessa. Il dramma di non sentirsi capaci, adeguati, vincenti può avere risvolti tragici se non viene capito dagli allenatori che vivono accanto a loro. Spesso l'unica maniera che un ragazzino ha per comunicare che è confuso, impaurito e angosciato è attraverso azioni spietate, crudeli e malvagie. I preadolescenti possono infatti comportarsi male, ma se a queste azioni inadeguate seguono un' espulsione, un'umiliazione, una sentenza senza appello essi possono credere di essere condannati per sempre a vivere nella marginalità sociale.
Alcuni ragazzi cercano allora altri compagni che si sentono ai margini e costituiscono delle bande che vanno contro i luoghi e le persone. Alle volte possono distruggere la scuola, l'oratorio, gli spogliatoi, possono alzare le mani, rubacchiare, deridere ... altre volte invece non trovano nemmeno la forza di ribellarsi e riversano la loro rabbia verso se stessi. Si possono quindi fare del male o apparentemente in modo involontario o in modo sicuramente intenzionale tagliandosi e danneggiando il loro corpo. Qualcuno di loro non riesce a sostenere l'idea di essere un inviso e si toglie la vita.
Il contenimento non è mai scherno o giudizio senza appello
Per questo tanto quanto i ragazzi agiscono senza pensare pronunciando parole dure senza capire l'effetto che possono determinare, gli adulti educatori devono soppesare con cura quanto vanno affermando su di loro. Ogni giudizio senza appello può aprire il varco a una serie di agiti distruttivi. Contenere l'irruenza di un ragazzo non significa allora schernirlo, denigrarlo, accusarlo.
Quelle che il preadolescente compie sono prove di vita, quindi sono normali. Prima o poi ogni tredicenne effettua un gesto scomposto, ogni dodicenne si rende inaccettabile, ogni undicenne si fa audace, ogni decenne si mette nei guai, ogni giovanetto va oltre il consentito. Sperimenta così, seppur in modo disordinato, una sana aggressività quale indice dell'affermazione di se stesso.
La tutela dello spazio dove poter scoprire limiti e responsabilità
Alle volte il ragazzo sempre composto o la ragazza sempre adeguata hanno un indice di rischio evolutivo più alto dei coetanei che eseguono qualche azione riprovevole. I ragazzi modello, infatti, non fanno esperienza del limite e non affrontano la responsabilità delle loro azioni. In quanto conformi alle aspettative degli adulti essi delegano agli educatori il loro modo di essere e non arrivano mai a sentirsi se stessi in mezzo agli altri, a percepire il confine della loro identità, a vivere la trasgressione non come distruttività, ma come opportunità di andare oltre il a modo, prima o poi o scoppiano stando male psichicamente o si allontanano dalla competizione poiché non possono esercitare una sana aggressività che permetta loro di affermarsi.
TI ritiro dall'attività sportiva diviene il primo campanello d'allarme per successive rinunce anche nello studio e nella capacità di vivere con soddisfazione la propria esistenza. Ben vengano allora dei ragazzi che compiono marachelle, che hanno modi di fare spregiudicati, che s'inventano azioni sconsiderate poiché queste trame riprovevoli diventano le loro palestre di vita. Allenandosi ad assumere la responsabilità delle loro azioni, infatti, imparano a prendere la misura tra lecito e illecito, là dove ancora degli adulti competenti stanno vigilando su di loro.
Paola Scalari, psicoterapeuta di Venezia, lavora sulla gruppalità dei ragazzi come degli adulti, e prima ancora, sulla gruppalità familiare: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
UN LIBRO PER SAPERNE DI PIU’
IN ClASSE CON LA TESTA
Francesco Berto, Paola Scalari
Teoria e pratica dell'apprendere in gruppo.
la Meridiana, Molfetta 2016Quest'ultimo libro di Paola Scalari e Francesco Berto ci introduce all'interno dell'istituzione scolastica. Colpisce la prospettiva inusuale degli autori che guardano a questo microcosmo così complesso: niente strategie mnemoniche per ottimizzare le performance degli studenti, né consigli pratici per permettere l'attenzione costante del ragazzo, e nemmeno un qualche metodo scientifico per consentire di terminare i programmi senza intoppi.
Nulla di tutto ciò secondo gli autori vuoi dire saper stare in classe con la testa. Essi intendono dimostrare come l'esperienza sia il vero veicolo che conduce all'apprendimento. Iniziando questo viaggio esperienziale ogni essere umano disposto a lasciare il sicuro terreno del "certo" per avventurarsi alla conquista dello sconosciuto, attraversando le proprie emozioni e le proprie paure di fallimento per approdare a una nuova conoscenza.
La classe, il gruppo, diventa l'oggetto principe di questa avventura, dentro la quale è libero di muoversi in modo sufficientemente buono, alternando creatività e competizione, curiosità e paura. (Giulia Rossetto, psicoterapeuta)
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