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Non si può apprendere se un insieme di ragazze e ragazzi non si fa gruppo pensante

Insegnare senza essere esperti dei processi socio-affettivi non pare proprio possibile. Se manca questa competenza si ricollegano i problemi di apprendimento unicamente a carenze non rimediabili delle famiglie, a certificazioni di disturbi che isolano i singoli, a «questioni di disciplina» che stigmatizzano senza aiutare. Si tende a separare chi ce la fa e chi no, come se il farcela fosse questione individuale. In realtà, non meno di ieri, a scuola l'attore mobilitante è il gruppo: nell'includere e motivare facendo emergere le risorse di ognuno, nell'escludere e demotivare disperdendo le risorse del singolo. Come porre allora al centro una gruppalità motivante?

La tecnica operativa nell'insegnamento modifica sostanzialmente l'organizzazione di quest'ultimo e il modo di impartirlo ... Essa problematizza in primo luogo l'insegnamento stesso, oltre a favorire l'esplicitazione delle difficoltà e dei conflitti che lo perturbano e lo distorcono.
(Josè Bleger)

All'interno del mondo scolastico vengono educate gruppalmente intere generazioni. Pochi docenti, però, sono esperti su come trasformare un insieme di giovanetti in un gruppo pensante. È dunque necessario soffermarsi su come educare le emozioni che si sprigionano in un luogo - la classe - quando più menti si incontrano al suo interno. Ognuna con la sua storia. Tutte con le loro aspettative. Nessuna priva di ansie.
Ogni alunno entra in un' aula portando la propria esperienza di vita in contesti collettivi e, consciamente o inconsciamente, si ripropone come nei gruppi già precedentemente frequentati. Per questo inizialmente si inquieta, non ritrovando le medesime abitudini. Poi si disorienta alla ricerca di come stare in quel contesto. Insiste quindi ostinatamente e si ripropone nelle medesime vesti cognitive ed emotive già indossate. Infine, solo se riesce a cambiare atteggiamento, la sua mente si modifica e con essa la struttura gruppale che si è sedimentata al suo interno. A questo punto l'alunno è pronto per scoprire l'ignoto, cambiare mentalità e apprendere.
La classe, allora, è il luogo per far emergere come si sono costruiti i gruppi interni di ognuno e per modificare queste strutture aiutandole a maturare ulteriormente.
La classe scolastica è un ambiente che viene creato artificialmente sulla base di alcune convenzioni e di molte variabili costituite dal tempo pieno, dai moduli, dalla lingua prescelta, dalle attività opzionali, dal corso di studi, dalla specializzazione. All'interno dell'aula più persone interagiscono tra di loro condividendo delle norme per poter accedere alla cultura. Potranno però assorbire nozioni, costruzioni psichiche, informazioni solo se nel farlo potranno «agganciarle» alloro mondo emotivo. Diversamente le informazioni o proprio non si fissano o cadono dalla mente immediatamente dopo averle attaccate, come fossero dei volatili post-it.

Le dinamiche affettive del gruppo pensante

Trasformare un agglomerato di persone in un collettivo cooperante dipende dalla coesione che il team docenti riesce a sviluppare trasformando un' orda selvaggia in un gruppo pensante. L'armonizzazione tra allievi avviene grazie al lavoro relazionale che il docente svolge, giorno dopo giorno. L'insieme dei soggetti convenuti nell'aula diviene dunque un gruppo pensante in proporzione a quanto il docente sa occupare il suo posto sia come persona carismatica, sia come insegnante esperto nel campo disciplinare, sia come coordinatore delle dinamiche emotive che nel processo di apprendimento vanno via via strutturandosi.

La possibilità di provare piacere nell'imparare

Nessun docente, pertanto, può pensare all'apprendimento senza tener conto della struttura gruppale e della dinamica affettiva che in essa si dispiega.
Ogni insieme di persone è attraversato da correnti affettive che si possono ignorare finché travolgono, disperdono, disturbano il gruppo o si possono «addomesticare» entrando in relazione con loro. Gli stati d'animo, se avvertiti e colti, sono elementi naturali dei contesti collettivi che facilitano o ostacolano il processo di apprendimento in relazione a quanto vengono trasformati in elementi narrabili o vengono ignorati. Per ogni docente, quindi, cogliere la rappresentazione dello stato emotivo che si sta sedimentando in classe significa accogliere paure e desideri, ritrosie e spavalderie, attaccamenti e rifiuti degli allievi, imparando a nominarli (almeno dentro di sé) per poi restituirli attraverso una specifica forma culturale offerta dalla propria disciplina scolastica.
La cultura che riesce a dare spiegazioni su se stessi, sull'altro da sé, sul mondo circostante diventa sete di sapere, curiosità di conoscere, desiderio di svelare l'ignoto. Si crea perciò la gioia d'imparare. E con essa il piacere di scoprire ciò che ancora non si conosce. Il desiderio di sapere diviene allora metodo che accompagna per tutta la vita.

L'apertura all'arte dei veri ricercatori

Imparare emozionandosi è l'arte dei veri ricercatori. Chi assume un atteggiamento di ricerca ama la vita. E chi gode dell'esistenza non la distrugge e non si distrugge. Trasmettere un metodo soddisfacente per studiare e apprendere è un' azione preventiva al malessere individuale e sociale dei ragazzi.
Osserviamo come la forbice tra i ragazzi che amano imparare e gli adolescenti che non hanno potuto accedere a questo piacere determina differenti stili di vita: da una parte si collocano i giovani con progetti eccellenti di studio e di lavoro in qualità di cittadini del mondo e dall'altra parte troviamo i ragazzi con vite trascorse in angoli marginali delle periferie. Essi sono facili prede delle lusinghe del «tutto subito», così come viene propagandato dalla società consumistica. Solo chi ha progetti, pensa, ragiona e va oltre le affermazioni dei persuasori occulti potrà salvarsi dalla bramosia di un mondo economico che abbaglia e seduce offrendo l'idea che, senza fatica, si possano raggiungere mete di valore. L'impegno, invece, è piacere della conquista. Questo sforzo, ma anche questo amor proprio, costituiscono la via maestra per realizzarsi. Ogni ragazzo, tra i banchi di scuola, deve e vuole conoscere e poter apprezzare la possibilità di sperimentare la paura di non farcela e, contemporaneamente, provare la soddisfazione di esserne invece capace grazie anche alla maestria di chi lo guida.

L'innesco di stati mentali di tipo regressivo

Insegnare senza essere esperti dei processi socio-affettivi che in esso hanno luogo non è proprio possibile, poiché i vissuti che in ogni caso si producono rimangono dentro alla classe e, quando non vengono elaborati, avvelenano gli animi. Ecco allora che competizione e rivalità, senso di impotenza e rabbia verso l'altro, angoscia per le ingiustizie e sete di vendetta saturano il campo multipersonale e vengono fuori come dei potenti geyser attraverso il comportamento di un unico ragazzo o di un piccolo sottogruppo. L'alunno che dà fastidio è incaricato silentemente da tutti gli altri compagni ad essere il bullo, il guastafeste, l'indomabile, il sabotatore. Egli è l'elemento maggiormente predisposto a far emergere questo sentire sommerso. Perciò, se un ragazzo disturba, a nulla serve punirlo ed è invece molto utile fermare il gioco e riflettere tutti insieme su cosa stia vivendo il gruppo classe. Operando questo stop e cercando un modo per raggiungere l'assunzione di responsabilità da parte di tutta la classe si scoprono strategie molto più produttive su come riassegnare ad ognuno un po' della «follia» espressa dal singolo, liberandolo definitivamente dal ruolo di cattivo.
Colui che si è votato a fare il capro espiatorio per gli altri, infatti, assorbe parti indesiderabili che appartengono a tutti e le porta a galla come se appartenessero solo a lui. Il punto fondamentale per non far sedimentare questo meccanismo tipico dei gruppi è pensare che in classe non ci sonodiciamo - venti alunni, ma c'è un unico elemento - il gruppo - con molte anime, con svariati sentimenti, con molteplici teste che vanno integrate. Si insegna ad una unica mente gruppale e non a una pluralità di menti separate.
Quando il gruppo è abbandonato a se stesso il risultato è sotto gli occhi di tutti: classi ritenute difficili, ingestibili, ribelli, indomabili, sciocche, limitate, poco interessanti diventano ogni giorno più numerose. È un fenomeno di crescente indisciplina e demotivazione dovuto al venir meno della coesione gruppale trasmessa dalla famiglia attuale, che è attraversata da stati di evanescenza, da sentimenti di fragilità e da legami liquidi. Ma proprio per questo accogliere le emozioni degli alunni diventa ancor più indispensabile per non lasciarli privi di una fondamentale educazione sentimentale.
Il gruppo, seppur per un processo a spirale che comporta evoluzioni ed involuzioni, procede tra ansie, confusioni, paranoie e balzi in avanti creativi. È questo andamento tra regressione e progresso che dà via via forma al senso di appartenenza, pur nella diversità. Ed è il sentirsi parte di un tutto che poi mobilita forze positive per il perseguimento dello scopo comune.
Lo stare in gruppo facilita la regressione e con essa la possibilità in aula di ripercorrere le tappe evolutive venute meno o superate in modo parziale. Se però lo stato mentale regressivo prodotto dalla dimensione collettiva non viene gestito, può dare luogo a forme di disagio, iperattività, bullismo. L'alunno deviante, incompetente, disturbante è quindi un membro del gruppo che, solo o in compagnia di una minoranza, sceglie, più o meno deliberatamente, di trasgredire le norme della classe provocando reazioni più o meno punitive.

Il sopravvento della parte pulsionale

In un gruppo senza docenti carismatici qualche alunno mette in luce la parte più infantile anziché quella più matura, lascia cioè emergere l'aggressività primitiva e la sessualità sregolata. In un gruppo senza contenimento, infatti, la parte pulsionale prende il sopravvento e le tensioni conflittuali o i desideri erotici non trovano barriere evolutive.
TI sesso consumato tra alunni nei luoghi più appartati così come la violenza perpetrata alla luce del sole contro i più deboli, possono dilagare e rendere patologica, anziché evolutiva, la vita scolastica. E se i più piccini lo fanno a suon di morsi e di provocazioni, i più grandi non sono da meno quando attaccano verbalmente, picchiano violentemente, escludono deliberatamente.
La perdita del senso del limite, frutto di un processo che ha preso avvio dalla caduta dell' autorità condivisa, dalla mancanza di forza della parola pronunciata in nome del padre, dallo smarrimento dovuto all' avvento e alla diffusione del web come nuovo luogo dove poter «imbrogliare le carte», dal senso di inutilità dello spazio e del tempo offerto dalla rete, dal radicamento dell'idea del poter ottenere tutto subito culturalmente immessa dal mondo consumistico, hanno distrutto il senso d'identità. Essere se stessi in mezzo agli altri significa infatti avere un confine individuale che separa e mette in comunicazione senza confondere.
Per ogni ragazzo stare dentro alla propria pelle è divenuta allora una conquista difficile da raggiungere e spesso dai giovani questa cornice individuale viene ricercata andando contro a qualcuno, quasi fosse più accessibile identificarsi attraverso l'opposizione che attraverso l'affermazione. Altre volte i ragazzi usano il corpo infilzato, marchiato, dipinto, tatuato, provocante per definire una diversità dall'altro.
Il gruppo classe può segnare, pertanto, un nuovo confine identitario aiutando ogni ragazzo a vedersi vedendo l'altro. Nella posizione a cerchio che delimita la struttura gruppale i corpi si vedono, si guardano, si esprimono e pertanto si educano.

Il gruppo come matrice di sviluppo del pensiero

Imparare con gli altri è allora un' esperienza fondamentale della vita scolastica. Se così non fosse basterebbero ottime lezioni videoregistrate e ognuno potrebbe assorbire il sapere in solitudine. Ma così non è - e non deve essere - poiché l'isolamento creerebbe menti intasate da nozioni, ma svuotate della capacità di stabilire delle relazioni non solo con gli altri, ma anche tra parti di sé che hanno istanze diverse.
TI gruppo esterno educa il gruppo interno le cui voci sono parte integrante della propria esistenza. Il vissuto relazionale, il vincolo tra le persone, il rapporto con il diverso da sé sono dunque necessari al fine di introdurre nella mente la capacità di legare le idee tra di loro. È il legame tra concezioni distanti tra di loro che determina la capacità di produrre pensiero e conoscenza.

Il ruolo del docente come mente pensante

Per questo il docente mostra come funziona la sua mente pensante attraverso la sua capacità di narrare la materia che conosce ed ama, in quel preciso momento e a quella ben precisa classe. Non esistono lezioni predefinite, poiché sarebbero avulse dalla dinamica del gruppo. Il docente ha una valigia colma di saperi: li estrae e li confeziona in un modo specifico in funzione di quanto sente che sono utili in quel momento al processo di acculturazione della classe che ha davanti e che emana odori, vibrazioni e sensazioni che orientano il suo discorso. Il docente è in classe per ascoltare il gruppo dei ragazzi e per offrir loro spunti culturali per progredire nella conoscenza. Solo così è maestro di vita (4), esempio del funzionamento psichico, produttore di cultura, soggetto che dà senso al processo di apprendimento.
Il vero maestro si prodiga per portare avanti con tutti l'obiettivo, utilizzando ogni allievo per quello in cui questo è competente. È attento a non discriminare, a non valutare in maniera parcellizzata, bensì giudica accuratamente il processo di apprendimento imparando ad auto-giudicarsi.

Il compito dell'insegnante è insegnare, educare, formare e far vivere nuove esperienze agli studenti, contribuendo alla loro crescita affettiva e intellettiva, poiché l'una non procede senza l'altra.

Guarda più all'evolversi della classe che ai singoli fotogrammi che lo colpiscono. Sostiene psichicamente più l'osservazione di un film di cui si sente il regista che l' attività di giudice che sentenzia.

La valorizzazione della mente di ogni ragazzo

L'insegnante, dunque, cerca la risorsa in ogni allievo, stana la capacità del singolo, valorizza la passione dell'individuo e fa in modo che questi talenti diventino utili a tutti. Non esistono quindi i bravi e i non bravi, ma esistono menti che producono dei pensieri, che possiedono delle abilità, che portano tra i banchi di scuola delle esperienze. Tutti in classe hanno qualcosa da offrire ai compagni: la cultura che verrà prodotta dal gruppo implica la capacità di valorizzare le menti di ognuno aiutando ciascuno a sentirsi necessario al gruppo (5). L'insegnante è chiamato a mantenere salda - tra confusioni, ansie, attacchi, ritiri, scissioni, dipendenze -la finalità del suo obiettivo professionale. Egli non può prescindere da questi sommovimenti emotivi se vuole perseguire la formazione culturale delle nuove generazioni. Il suo compito è dunque quello di insegnare, educare, formare e far vivere nuove esperienze a scolari, alunni ed allievi contribuendo alla loro crescita affettiva ed intellettiva, poiché l'una non procede senza l'altra.

L'ambiente rassicurante apre le menti di tutti

La predisposizione dello spazio esterno costituisce l'inquadramento concreto che andrà strutturando lo spazio interiore nel quale dovranno svilupparsi le idee, le conoscenze e le abilità di ciascun alunno. La posizione occupata, le interazioni possibili, gli scambi affettivi e cognitivi che avvengono in aula vanno a costituire un gruppo dinamico che rimane impresso per sempre nella memoria dell'alunno animando il suo mondo interiore. Il gruppo classe diventa perciò una parte fondamentale della mente che rimane presente - per sempre - non solo come ricordo, ma anche come matrice dello sviluppo del pensiero.
In classe ogni allievo sta seduto nel suo banco e nella sua sedia in modo più o meno composto. Ci vuole infatti un tempo perché ognuno si «sistemi» dentro la cornice predisposta, sentendosi al sicuro tra i suoi compagni. Lo spazio esterno, dunque, segna la possibilità di lavorare su uno spazio interiore dove abitano le idee e le emozioni. La cornice deve essere ben delimitata per accogliere e far emergere quello che nasce dentro all' animo. Ogni rottura di questo inquadramento fa fuoriuscire la sostanza psichica, facilitando atteggiamenti bizzarri da parte della classe.
La cornice, allora, deve tenere affinché i ragazzi si sentano al sicuro, si percepiscano visti, possano trarre buoni esempi dai loro adulti di riferimento.
La scuola ha i suoi ritmi: cambio d'ora, intervallo, vacanze ... Mantenere la ritualità, qualsiasi essa sia, genera sicurezza. Un ambiente rassicurante facilita la strada all' aprirsi della mente. La disponibilità a far entrare qualcuno o qualcosa dentro di sé implica una trasformazione della struttura psichica. Il cambiamento è apprendimento e poter imparare ciò che non si sapeva fa stare bene, tranquillizza e fa maturare.

La scioltezza logistica apre alla flessibilità

Se il ragazzo percepisce lo spazio da occupare nell'aula come un posto predefinito, fisso, immutabile, l'idea di movimento viene negata e la gestalt esterna diventa immagine metaforica della forma interiore che dovrà essere assunta dalla mente dei giovani allievi. Pertanto, a partire dall'assetto logistico si trasmettono quella rigidità, fissità e ripetitività che, fatalmente, connotano poi le aspettative nell'apprendimento.
Nella classe burocratica vengono messe al bando fantasia, creatività, mobilità, trasgressione, ricerca, scelta, divergenza, estrosità, libertà; in quella coordinata con tecnica operativa (6) questi stati d'animo vengono invece valorizzati. Un allievo, infatti, va a scuola per imparare ciò che gli serve per vivere nel mondo attuale. E oggi - molto più di ieri - è necessario saper essere flessibili, poter scegliere tra molteplici opzioni, accettare posti parziali, modificare ruoli e posizioni sociali sapendo articolare aspettative e strategie per vivere. Un alunno del terzo millennio, un figlio del mondo globale, un rappresentante della nuova generazione non devono assorbire stereotipi, bensì hanno bisogno di imparare a muoversi tra le diversità, accettando via via nuovi orizzonti.
Apprendere dunque, se da sempre significa rompere stereo tipi e farsi carico degli stati d'animo messi in campo dal cambiamento, oggi implica sempre di più stare dentro a quei processi trasformativi che vanno mutando la geografia mentale degli esseri umani. Va allora messa al bando una scuola dove i ragazzi siano incollati al loro posto, dove si debba ripetere ciò che viene trasmesso, dove si debbano eseguire esercizi senza alcun significato. Va ritenuta anti-educativa una scuola dove si debbano eseguire banali compitini anziché perseguire l'obiettivo di imparare a pensare per poter apprendere. Va dunque sperimentata una classe che costruisce il sapere cooperando intellettivamente e condividendo quotidianamente stati d'animo.

Lo sperimentarsi in una pluralità di posizioni e azioni

In classe bisogna imparare gli strumenti per comprendere il cambiamento e per viverlo senza eccessive paure grazie alla capacità di muoversi nei gruppi umani, qualsiasi essi siano e saranno.
Non si può perciò insegnare alle nuove generazioni a costruirsi una mentalità adatta al mondo post moderno se non si lavora con il gruppo degli allievi attraverso la consapevolezza che solamente unendosi gli alunni potranno affrontare e superare ogni trasformazione. E apprendere significa cambiare, poiché chi sa qualcosa che prima non sapeva deve inevitabilmente modificare la sua struttura interiore riorganizzando la sua mente.
Tempo e spazio, nel mondo attuale, stanno mutando di significato: basti pensare ad internet, alle trasvolate aeree, alla delocalizzazione della produzione, alla globalizzazione ... L'antidoto al soccombere sotto il peso delle potenti trasformazioni in atto sta nello sviluppo del «muscolo del pensiero». E i ragazzi sono pieni di energia per sviluppare non solo i muscoli fisici, ma anche quelli psichici! La loro mente produce idee, desidera progettare, gode nel creare.
Gli adolescenti, allora, sono naturalmente predisposti ad imparare, ad applicarsi, a sperimentare realtà nuove. Forse il mondo adulto dovrebbe chiedersi perché non sa o non vuole adoperare questa vitalità e la spegne dentro a incasellanti nozioni, deprimenti ripetizioni, angoscianti giudizi e avvilenti lezioncine. Non sono allora i ragazzi che non imparano, ma il mondo scolastico che è inadatto a molti alunni sensibili perché dotati di intelligenze relazionali ed emotive.

Uno spazio classe in cui tutti sono detentori di sapere

Affinché la classe diventi un gruppo pensante capace di creare cultura e civiltà, la dimensione collettiva va sapiente mente istituita, costantemente promossa e professionalmente gestita dai docenti.
Il maestro prepara lo spazio classe disponendo in modo circolare le postazioni dove gli alunni vanno ad accomodarsi. Il faccia faccia, infatti, facilita e promuove non solo il confronto, ma anche l'aspetto democratico dello stare insieme.
Quando i banchi sono disposti in file rivolte alla cattedra sottolineano invece come l'insegnante sia il soggetto verso il quale tutti devono guardare: è lui il detentore del sapere! E questo - di per sé - nega, svilisce, svaluta il sapere che c'è e si produce nel gruppo dei ragazzi. La cultura non si trasmette in modo passivo, bensì si crea ogni volta, ogni giorno, con quello specifico gruppo; ogni momento a partire da quegli speciali allievi.
Nel mondo post moderno nessuno detiene tutto il sapere e le squadre vincenti sono composte da menti eterogenee. La creatività non è più ascrivibile solamente ad una genialità solitaria, ma è soprattutto appannaggio dei soggetti che sanno collaborare, ibridarsi, contaminarsi.
Nella classe fuori del tempo è proibito allora chiacchierare con il vicino di banco, vietato distrarsi e fantasticare, impossibile interrompere la lezione frontale e si viene zittiti se si pongono quesiti imprevisti, divergenti, fuori tema. E così la scuola del silenzio, della ripetizione meccanica, della pigrizia mentale, della scheda pre-pensata diventa noioso obbligo e 1'apprendimento della tecnica per la tecnica sovrasta la cultura della narrazione, del dialogo partecipato, dell'ascolto attivo, della costruzione collettiva dei saperi.

Un laboratorio creativo dove tutti sono ricercatori

L'esperienza scolastica, se l'insegnante non la modifica attraverso la gestione dei gruppi classe, rischia di rappresentare una inutile ed anacronistica fatica. Nella scuola senza futuro, in quanto venuta meno alla trasformazione capace di renderla consona alla realtà attuale, il sapere è del docente. Egli lo inocula, dall'alto del suo ruolo, nella mente dei suoi allievi che vengono vissuti come contenitori vuoti.
In queste classi si pensa al rapporto tra docente e discente e non si riesce a spostare lo sguardo al rapporto tra docenti, cioè al gruppo dei coordinatori presenti in aula, e alla dinamica nella classe, cioè al gruppo degli allievi che lì sono seduti.
La classe, coordinata invece da insegnanti attenti alle sue dinamiche, diviene laboratorio creativo dove novelli ricercatori vanno a caccia di idee, pensieri, conoscenze e collaborano fattivamente per costruirle. Qui gli scolari possono guardarsi, sono invitati ad interagire, dialogare, scambiarsi opinioni, costruire creativamente nuovi saperi. Tutti alla pari. Tutti portatori di conoscenze. Senza prime ed ultime file. Senza differenze tra intelligenti e zucconi, poiché i cosiddetti alunni meno competenti molte volte, con il loro disadattamento all' ambiente scolastico tradizionale, sono coloro che immettono nel gruppo classe intuizioni innovative, divergenti ed originali.

La posizione propria dell'adulto nel cerchio

Il docente occupa una sua specifica posizione nel cerchio costituito dai suoi alunni. Egli infatti coordina il gruppo classe e per farlo accetta la posizione emotiva che gli viene assegnata dagli allievi e va via via trasformandola.
L'insegnante che vede l'aula come un insieme di alunni lì riuniti per divenire gruppo sa accettare l'iniziale immagine che ognuno proietta su di lui: c'è chi idealizza la sua figura, chi si sente intimorito, chi desidera annullare ogni differenza di status slittando nel dare un confidenziale tu e chi si adopera per ignorarlo. Il docente non teme queste posizioni mentali collettive, ma se ne fa carico leggendole come materiale emotivo su cui far lavorare la classe.
Lo strumento per insegnare, oltre che iscriversi in una profonda e appassionata conoscenza della materia da trasmettere, si avvale di una ginnastica mentale che potrebbe descriversi attraverso tre meccanismi che dovrebbero operare in contemporanea. L'insegnante ascolta i ragazzi, ascoltando come il suo mondo intellettivo e affettivo risuona di fronte ai loro discorsi e, per agire in questo modo, attinge dalla sua esperienza di persona che ha ricevuto un ascolto dai suoi maestri di vita.

Una ginnastica mentale attraverso tre meccanismi

Lo strumento per lavorare in relazione con la classe, allora, è definibile nell'essere stati ascoltati, nell'ascoltarsi e quindi nell'ascoltare. E nell'azione passiva, attiva e riflessiva sta tutta la sapienza di un sentire empatico, emotivo, affettivo e intellettivo che sa rappresentarsi il clima di un gruppo.
Il gruppo, contenuto e guidato, è una grande risorsa per la crescita dei ragazzi, mentre l'aggregato di alunni lasciati a se stessi diventa un potente spazio diabolico (inverso di simbolico) poiché privo di rappresentazioni che lo definiscano. La mente del docente allora custodisce il setting, mantiene la barra del compito di insegnare ad apprendere e sollecita pensieri autonomi da confrontare all'interno della classe e infine sa produrre immagini e narrazioni che descrivano il clima emotivo della classe. Semplicemente, se un docente entra in aula e avverte una carica elettrica o depressiva, rabbiosa o sconsolata, domanda: cosa sta succedendo? Utilizza poi i suoi strumenti culturali per aiutare i ragazzi a uscire da quello stato d'animo. Insegna ascoltando il clima e dando parola alla cultura che lo ha già codificato nella poesia piuttosto che nell'epica, nella letteratura piuttosto che nelle scienze, nei popoli lontani o vicini, nelle vicende storiche del passato o del recente presente, nei suoni, nelle costruzioni mentali e nelle immagini di altri ...

Un clima che dispone alla scoperta della conoscenza

Il docente, per condurre gli studenti a divenire un gruppo, li stimola a porsi quesiti, li accompagna nell'attraversamento degli ostacoli epistemologici, li sostiene di fronte ai momenti di impasse emotiva, li nutre di significati simbolici utilizzabili, li informa su quanto è loro necessario per procedere nella scoperta della conoscenza. Egli è dunque un abile narratore che racconta la vita arricchendo gli allievi di quella dimensione simbolica che li aiuta a spiegarsela. L'abilità del maestro sta nel far superare alla classe i momenti di stallo nel processo di apprendimento trovando modi e tempi per dare una forma narrativa ai grovigli affettivi e cognitivi che impediscono il fluire dei pensieri. La sua arte sta nel cogliere l'attimo fuggente durante il quale le menti si aprono, pronte a recepire l'ignoto. La sua forza si esprime con uno sguardo capace di contenere tutti, accordando i tempi di ognuno in un insieme intonato. La sua arma vincente mette in campo, attingendo da un ampio arsenale culturale, elementi narrativi in grado di colpire l'immaginario di tutti. È dunque preparato nella disciplina che vuole trasmettere, la ama e la conosce così bene da poter tirar fuori, ogni volta, l'argomento che in quel preciso momento è più interessante per la classe. È quindi competente.
E i ragazzi di oggi, che non temono l'autorità, che non si sottomettono per differenza d'età all' adulto, che non sono dipendenti dai docenti per accedere all'informazione, sono invece bramosi di incontrare adulti competenti. Se li riconoscono li rispettano e li seguono. Arrivano anche ad amare la loro materia poiché amano loro. Studiano infatti quanto viene loro proposto per ammirazione e non per obbligo.

Gli intrecci inediti tra saperi disciplinari e affettivi

L'insegnante coordina il gruppo rendendo i suoi allievi imprenditori del loro sapere, appassionandoli al gioco della scoperta, dell'interrogarsi, della ricerca. La stretta correlazione che mantiene tra saperi disciplinari e saperi affettivi permette agli alunni di vivere la scuola come un' esperienza interessante, utile, evolutiva.
Il docente-coordinatore, per esempio, non ritiene esista un' educazione alle emozioni e una lezione di storia, ma una narrazione storica che tocca i vissuti di ognuno; non attiva il laboratorio per parlare di affetti, ma attinge dalla letteratura per dare nomi agli stati d'animo che colorano l'esistenza; non spiega la sua materia, ma la fa vivere. È la soddisfazione che deriva da questa stretta interrelazione tra informazione ed emozione a sostenere fatica e impegno trasformandoli in piacere e desiderio. Quindi la scuola della «ricerca» (8) non ha bisogno di giudizi, ma di traguardi.
Il maestro, allora, non pontifica poiché cerca di capire le difficoltà dell'apprendimento dando dignità ai vissuti che circolano nell'aula.
Il docente, perciò, dà nomi agli affetti che entrano in gioco mentre procede nella trasmissione della cultura. L'insegnante gode dei traguardi intellettivi raggiunti e soffre, s'interroga e si fa aiutare quando non riesce a comprendere come riuscirvi: non è autocentrato, ma sviluppa legami professionali.

L'utilizzo dell'energia emotiva e intellettiva di gruppo

Il miglior alleato di un docente è la forza emotiva e intellettiva del gruppo classe. È questa una dimensione che trascende i singoli alunni e che costituisce il vero oggetto a cui parlare, raccontare, spiegare, specificare, dare senso. Allora il docente cerca di sintonizzarsi con l'insieme e guarda oltre il visibile agli occhi.
La mente individuale sa produrre pensieri se apre dibattiti con le sue tante voci interiori, ma per farlo si deve allenare confrontandosi con i compagni. Un'idea, una concezione, una struttura logica per nascere hanno bisogno di un supporto collettivo. Senza questo sostegno le informazioni non sanno dove depositarsi, a cosa collegarsi, come integrarsi allargando l'orizzonte intellettuale.
Il problema dell'apprendimento, dunque, sta nei collegamenti, nelle informazioni preesistenti, nel concepire ciò che non è ancora nato. Si apprende mantenendo un forte legame con il passato, costituito dalle conoscenze codificate, sentendo nel presente che ciò che si studia serve nel processo di acculturazione, capendo che oltre il conosciuto c'è sempre qualcosa da scoprire.

Un cammino avvincente ma segnato da ansie e apprensioni

Ma il processo è impegnativo. E lo è per i ragazzi quanto per i docenti. Un adulto significativo nella crescita dei minori cerca di rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso. È la possibilità di identificarsi con le fatiche dei ragazzi che permette ai docenti di entrare in contatto con il mondo emotivo dei più giovani.
Il cammino, seppur avvincente, non è né semplice né indolore. Il percorso è segnato da momenti di insicurezza, apprensione, ansia, paura, angoscia. Sono stati d'animo che colorano il mondo emotivo sia degli adolescenti che degli adulti, poiché i sentimenti umani sono sempre attraversati da tutta la gamma degli affetti.
È però responsabilità dei grandi riconoscere questi vissuti, accoglierli, pensarli e dar loro un nome. Imparare a mettere in parole le emozioni è dunque la speciale arte che ogni maestro deve possedere. Capire le trepidazioni dei giovani permette infatti una comunicazione sia invisibile sia visibile tra la mente di chi è formato e la vita psichica di chi deve ancora formarsi.

La capacità di misurarsi sugli intoppi di percorso

Quando l'apprendimento si blocca significa che alcune funzioni della mente sono inutilizzabili. Oggi, laddove non ci sono deficit mentali, si annidano invece tanti disturbi emotivi. In modo allarmante si tende a medicalizzare varie difficoltà di attenzione o di apprendimento usando etichette dal nome rassicurante per non affrontare il problema del fallimento educativo. Se il deficit è una malattia, l'insegnamento è salvo.
L'apprendimento, invece, è disturbato da inquietudini e disagi sociali, familiari e nell'ambiente stesso della scuola. Se poi il clima di disagio sta anche dentro al team che si occupa di una classe è chiaro che questo malessere passa dentro alle giovani menti che possono inconsciamente costruire barriere per non affidarsi a colui che si occupa di loro. Allora la classe può trasformarsi in un luogo invivibile, saturo di suoni assordanti, carico di disumanità avvilenti, animato da cattiverie.
Questo stato delle cose denuncia che mancano parole per raccontarsi ciò che accade dentro e attorno alla classe. Chi non ha parole non può che agire. Delle volte le azioni sono terribili poiché le espressioni che il linguaggio formerebbe sono troppo spaventose per essere pronunciate.
Non ci sono concetti e nozioni che non vengono appresi; ci sono invece pezzi di pensiero che non si legano a nulla e quindi non si fissano.
Per questo il docente competente non pronuncia mai le frasi: «Gli allievi non capiscono, non imparano, non studiano, non si applicano ... » o ancor peggio: «Questa è una classe inetta, indisciplinata, antipatica ... ». Egli invece predilige le domande: «Cosa non capisco, cosa non riesco a vedere, cosa mi sta succedendo?».
L'analisi degli intoppi non è dunque tutta a carico della classe o - drammaticamente - di un singolo alunno, capro espiatorio dell'incompetenza ed inadeguatezza del mondo scolastico, ma parte rigorosamente dalla capacità del docente di fare il punto con se stesso. Egli si sofferma sui suoi stati d'animo di fronte alle difficoltà incontrate, analizza il suo modo di fare la lezione, cerca di dare senso ai vissuti depressivi, arrabbiati, scontenti, impauriti, delusi emersi nell'incontro con gli alunni

Il compito non è saziare ma sollecitare appetiti

Per una «buona scuola» un «buon insegnante» guarda il campo relazionale che lo comprende così come si sta sviluppando in aula in quel momento.
Per ogni maestro osservarsi e mettersi in discussione sono i veri strumenti per insegnare ed imparare in maniera congiunta. E non c'è trasmissione del sapere se non c'è un costante apprendimento. Stereotipia, pregiudizio, fissità non solo sono il contra-
rio di apprendimento, ma anche di salute e perciò, se lasciati stagnare in classe, fanno ammalare mentalmente alunni e docenti rendendoli incapaci di cambiare, crescere, rinnovarsi. E la malattia mentale, dovuta alla ripetizione senza senso, apre la strada alla depressione che toglie il desiderio, il piacere, la voglia di scoprire.
Una generazione di insegnanti stanchi e demotivati accompagna allora una generazione di alunni tristi e smorti. Senza piacere non c'è vita, scoperta, soddisfazione, voglia di sapere sempre più e sempre meglio. Non c'è spinta pulsionale ad andare oltre lo scontato, il conosciuto, il noto. Ma la vitalità è data dall'incontro in classe di menti adulte e menti in formazione che si atteggiano, tutte insieme e ognuna per il proprio ruolo, come impavide ricercatrici di verità, di conoscenza, di sapienza. Il modo per far amare la cultura consiste quindi nel mettere i ragazzi in grado di godere del buon cibo per la mente. L'insegnante che assume la funzione mentale di coordinatore del gruppo classe non sazia l'intelletto, ma sollecita appetiti. Non nutre fornendo cibi precotti, ma propone la degustazione di pietanze raffinate. Non ingozza, ma fa apprezzare il sano nutrimento. Insegna a scegliere con cura gli ingredienti, a mescolarli e a renderli commestibili. Senza fretta. Senza ricette. Senza bruciarli. Con pazienza. Con piacere. Con gusto.
Il docente è maestro dell'attesa sapiente e fiduciosa, dello spazio lasciato vuoto per far elaborare concetti, del silenzio speranzoso per permettere alle menti di pensare. E la «cucina» della classe diviene vivace bottega artigianale per produrre nuove idee.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.