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J2 17 titolo

UNO SGUARDO ATTENTO ALLE VITTIME DI ADULTI PERVERSI

In segnali deboli inviati da atleti abusati si nasconde un appello drammatico
Paola Scalari

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Occorre continuare a fare tutto il possibile
per sradicare la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di riconciliazione e di guarigione
in favore di coloro che sono stati abusati.

(Papa Francesco)

 

Rimaniamo sempre increduli di fronte a storie di violenza di cui veniamo improvvisamente a conoscenza. Ed è amaro ammettere che come adulti non sappiamo di solito scorgere i segnali che inviano i ragazzi e le ragazzi coinvolti in esperienze di violenza e abuso. Segnali spesso deboli, per i sensi di colpa che tutto questo alimenta, che nascondono appelli drammatici a cui anche il nostro mondo sportivo può essere disattento. Ma in che modo avvicinare con delicatezza queste situazioni, evitando di organizzarci mentalmente ed emotivamente per "non vedere" quello che sta succedendo? Quali accorgimenti mettere in campo per esercitare il nostro compito di vigilanza?


La forza controcorrente di non nascondersi situazioni di abuso

Una giovane ginnasta della società Ca' Redenta, si libra come una libellula in mezzo alla pista. Sembra volare come un colibrì. Piroetta come un'inarrestabile trottola. Esegue acrobatiche spaccate a terra con eleganza regale. Un folto pubblico, in silenzio, guarda estasiato. Emma, nel suo abito cobalto, è sinuosa, seduttiva, armonica ... tecnicamente perfetta.
È sera quando la più promettente ginnasta italiana, senza mostrare nessuna emozione, sale sul gradino più alto del podio. Subito dopo, sommersa da interminabili applausi, corre via come una gazzella inseguita da un leone.

Quando gli adulti si organizzano per non vedere e non sapere

Linda la segue con lo sguardo e sente una spada penetrarle nel petto mentre il piede destro comincia a tamburellare per terra incontrollabile.
L’istruttrice di quando la piccola Emma si avviava a questo sport non applaude. La guarda preoccupata. Da un anno la vede rinsecchirsi nel corpo e oscurarsi nel volto.
Un pensiero si ficca nella mente della ormai in carne ex campionessa di ginnastica ritmica e, come un chiodo fisso, le ossessiona la mente chiedendo di venir estratto. Sperando di toglierselo Linda, finita la gara, va incontro all’allenatore di Emma, lo strattona per la giacca: "Devo parlarti!”. L’atletico giovane però l’allontana preso com'è a elogiare le doti della sua giovane promessa destinata a vincere il campionato europeo.
Lui è il super allenatore arrivato dalla Bielorussia e a lei non rimane che ritirarsi. S'avvia verso casa. Camminando ricorda Emma piccola, ma dal viso luminoso. Ora le pare che si muova dietro a due occhi spenti. Risoluta telefona alla sua amica Ortensia, vecchia compagna di squadra, per raccontarle l’accaduto. "Saranno i suoi quindici anni", dice senza mezze misure l’interpellata e passa ad altri argomenti.
Anche Linda si ripromette di lasciar perdere.

La superficialità della colpevolizzazione dell’insofferenza

Non riceve così più notizie della squadra senior finché un giorno il presidente della società, in una riunione di fuoco in preparazione delle gare europee, alzando la voce sostiene: "Emma è unica, speciale, grandiosa, ma è antipatica e nessuno sta volentieri in squadra con lei. Trovate un rimedio”.
Linda si divincola nella sedia. Se ne va veloce non appena le riesce. Per tutto il tragitto verso casa si sente dilaniata tra il disinteressarsi ad Emma e il farsi ascoltare da qualcuno. A casa fa il numero di cellulare dello psicologo sportivo che, periodicamente, viene a fare una chiacchierata con le atlete per aiutarle a vincere l’ansia da esibizione. Il giovane professionista chiacchiera con lei a lungo, più per calmarla che per prendere in considerazione le sue ansie. Le confida che molte ragazzine gli avevano raccontato di ripetute offese ricevute da una Emma che, con i suoi scatti d'ira e le sue parole sferzanti, le aveva prese in giro. Emma aveva graffiato Monica, la più grassottella della squadra, dicendole: "Sei una sporca scrofa': Aveva inoltre sentito dire che si sbaciucchiava a scuola con tutti i maschi. Monica, che frequentava lo stesso istituto, gli aveva raccontato che se la faceva con certe ragazzine più grandi definendosi bisex. E anche con lui Emma, da sempre, è insopportabile. Linda lo incalza di domande. Lo psicologo ribadisce: “l’adolescenza è un periodo burrascoso, bisogna avere pazienza. I ragazzi fanno cose irritanti, ma non sono cattivi!”.
Linda chiude il cellulare stupita da tanta sicurezza, mentre lei si sente inquieta e deduce che i problemi sono suoi, come le ha detto in fondo l’esperto.

L’adultità sta nel non sottrarsi a segnali inquietanti

Quella notte si sveglia all’improwiso interrompendo il sogno di una piccolissima Emma che cade in un pozzo ma nessuno riesce a soccorrerla.
Il pomeriggio seguente, ancora turbata, cerca Emma ma lei le gira le spalle e si precipita dentro le docce. Linda che, non ancora convinta del dover farsi i fatti suoi, confida la questione al sacerdote che ospita all’oratorio la sua squadretta amatoriale.
Don Giorgio ascolta con attenzione la descrizione di una Emma cupa, rabbiosa, supponente, intrattabile, assente. Alla fine si alza e con fare persuasivo riconduce il carattere di Emma alla sua vita familiare Suo padre, rinomato dentista, la riempie di regali e attenzioni lasciandosi sedurre dalle sue maniere, mentre la madre, commercialista, non è mai a casa e si fa perdonare lasciandole fare quel che vuole. E il Don conclude: "Cosa vuoi che venga fuori da una famiglia così?”. Poi continua: "Siccome Emma è brava, anzi bravissima, come atleta anche la società per cui si allena le perdona tutto”.
Linda se ne va colpita dalla descrizione, anche perché i genitori di Emma li aveva a lungo
frequentati durante le trasferte nelle quali seguivano le esibizioni della figlia e non parevano così disastrosi.

Il prezzo pagato incide per sempre sul corpo e sulla mente

Decide ancora una volta di lasciar perdere, ma ogni volta che passa per Rio Marin il pensiero sale lungo la ripida scalinata del Palazzo. Emma vive lì, quel lussuoso palazzo è abitato da tutta la famiglia. Si ricorda di essere stata una volta invitata a bere un tè per parlare del futuro di Emma. Nell’occasione aveva incontrato nonna Beatrice che occupa il piano terra, zio Alfredo, figlio di primo letto dell’anziana signora, che abita il mezzanino e la famiglia di Emma che gode del piano alto che si affaccia a in uno spettacolare scorcio.
La questione sembra dimenticata quando, in un giorno di tarda primavera, arriva in palestra la nonna e chiama l’allenatore. Trafelata sussurra: "Emma non torna più a fare i suoi allenamenti. Sta molto male”. Ed è la generica affermazione dell’anziana signora, quanto il suo viso solcato da rughe profonde e i sui occhi carichi di lacrime, che colpiscono.
In palestra la notizia passa di bocca in bocca con i più disparati commenti. Quello più ascoltato è quello di Linda: "Sarà andata fuori di testa”.
Si seppe infatti solo a Campionati europei conclusi che la perfida falena, come ormai la chiama il Presidente, era stata a lungo ricoverata per aver reso le sue braccia un delta rosso fuoco. Atto compiuto, si dice a bassa voce, perché lo zio Alfredo abusava sessualmente di lei.

Molti drammi nascono da adulti che non vedono l’”inamissibile”.

Cogliere i segnali di disagio dietro ai comportamenti provocanti, irritanti e inconsueti dei ragazzi è compito di ogni educatore. Ed è un dovere civico di tutti accorgersi che un ragazzo subisce maltrattamenti, trascuratezze e abusi sessuali.
Purtroppo molti adulti non riescono a vedere questi segnali perché, soprattutto quando dovrebbero essere riportati a un abuso, lo ritengono impensabile. Si fermano a commentare il sintomo della cattiveria e non passano alla ricerca del motivo del comportamento ingiustificatamente aggressivo. E così, con estrema superficialità, si cassa ridea che un ragazzino sia provocate perché viene usato per pratiche sessuali dai risvolti perversi.

Non può mai mancare una vigilanza critica di genitori ed educatori

La pedofilia però esiste. A casa e fuori casa.
Poche volte compare l’uomo nero venuto da chissà dove a fare del male e, invece, quasi sempre, chi si avvicina sessualmente a un minore lo conosce, è amico di famiglia, è parente, quando non è proprio il genitore.
Esistono quindi persone che, conquistata la fiducia del bambino, lo adoperano per il proprio piacere erotico. Chiedono carezze proibite, pretendono prestazioni innaturali, si appropriano di corpi immaturi.
Padri e preti, zii e nonni, maestri ed allenatori e più raramente madri e maestre, suore e educatrici entrano alle volte nella cronaca poiché denunciati e colti in fragranza di reato grazie a telecamere e intercettazioni. Ma anche se bambini esasperati e tristi si confidano o ragazzini divenuti apatici o ribelli vengono individuati da adulti coraggiosi, spesso i pedofili se la cavano perché è difficile dar credito a un minore.
l’attenzione e la vigilanza quindi andrebbero assunte come atteggiamento comune senza fare una caccia all’untore, ma nemmeno senza evitare qualsiasi domanda qualora un ragazzino sia intrattabile.

I cambiamenti non giustificabili negli atteggiamenti

I segni dell’abuso infatti ci sono. Un bambino soprattutto li evidenzia quando cambia in modo non giustificabile i suoi atteggiamenti.
Da docile diventa irrequieto, scontroso, evitante.
Da studioso si trasforma in lavativo, sfaccendato, prepotente.
Da sorridente passa a mostrarsi musone, ritirato, addormentato.
Nei casi più dolorosi la trasformazione porta un ragazzino a divenire delinquente, perverso, intrattabile.
n minore infatti si auto-segnala combinando qualcosa di eclatante contro di sé o contro gli altri.
Buona strategia sarebbe quella di prendere seriamente i segnali di ingiustificata apatia, reiterata provocazione sessuale, indomabili cattiverie domandandosi se alla base di questi atteggiamenti non ci sia un adulto che sta approfittando del minore.

Il diritto dei minori a ricevere una corretta informazione

Ed oggi a questi pericoli di sempre va aggiungendosi l’adescamento in rete dove finti giovanetti seducono ingenue fanciulle e ragazzini sprovveduti inducendoli a praticare sexting.
Sarebbe quindi importante che si facesse un'opera di prevenzione parlando delle richieste sessuali di adulti malati. Loro sì definibili come cattivi! L’informazione aiuterebbe il bambino a comprendere cosa gli stia accadendo quando un adulto lo avvicina chiedendogli di fare certi "giochetti" sessuali. Se genitori, educatori, insegnati avessero comunicato al ragazzino come deve reagire, forse, egli potrebbe ribellarsi per quel piacere che prova, suo malgrado, e che lo imprigiona in silenzi colpevoli.
Se invece nessun adulto lo ha informato egli può ritenere la cosa normale, può addebitare la colpa a se stesso e può cedere alla minaccia che gli viene inviata qualora parlasse.

La cattiveria può essere sintomo di grave sofferenza

La cattiveria è dunque un sintomo che parla di un disagio. Questo comportamento va quindi osservato e indagato. Non si può banalizzarlo con frasi fatte o con etichette definitive. Bisogna andare oltre rapparenza. E a questo si devono formare tutti gli educatori competenti affinché educatori sedicenti non approfittino di bambini ignari della tragedia che stanno vivendo.
Troppe volte la mancata intercettazione porta sui lettini di noi psicoanalisti dei sopravvissuti alla violenza sessuale subita da piccoli. Incontriamo donne anoressiche, ragazze che tentano il suicidio, uomini impotenti perché irretiti e usati da piccoli in nome di un'amore malato. E nelle carceri, nelle comunità di recupero, negli ospedali psichiatrici troppe volte sono rinchiusi uomini e donne che, abusati in gioventù, hanno perso il senso del limite, della legge, delretica, della regolarità.

Tatto e pazienza nel ricostruire la credibilità di adulto

Non vi è peggior reato dell’approfittare della fiducia di un bambino! Ed è per questo motivo che chi poi lo dovrà aiutare dovrà passare le forche caudine per ottenere fiducia, credibilità e attenzione.
Ogni anno emergono circa mille casi di abuso sessuale di cui più o meno l’89% consumati dentro le mura domestiche. Ma per questi minori che escono dalle fauci del lupo, tantissimi altri ne rimangono intrappolati e, silenziosamente, subiscono giochi erotici inappropriati per la loro età. Questi bambini non hanno altro mezzo per farsi vedere che il dare fastidio divenendo riprovevoli, scellerati e crudeli.
Qualcuno osa anche punirli per i loro atteggiamenti. A questa ingiustizia dobbiamo porre invece fine smettendola di considerare cattivo, svogliato, intrattabile, antipatico, seduttivo chi urla in questo modo uno dei drammi più indicibili perché più incredibili.

Paola Scalari, psicoterapeuta di Venezia, lavora sulla gruppalità dei ragazzi come degli adulti, e prima ancora, sulla gruppalità familiare: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

UN LIBRO PER SAPERNE DI PIU’

IN ClASSE CON LA TESTA
Francesco Berto, Paola Scalari
Teoria e pratica dell'apprendere in gruppo.
la Meridiana, Molfetta 2016

Nel corso del libro, partendo da esempi di situazioni spinose facilmente riscontrabili all’interno di ogni tipo di scuola, gli autori sottolineano a più riprese il fatto che, al fine di affrontare situazioni di una certa complessità, è fondamentale lasciare da parte il proprio desiderio di onnipotenza e ricercare rapporto e la collaborazione di tutti gli attori (scuola, famiglia, servizi territoriali) presenti in una specifica comunità sociale. Ma non per diagnosticare ed etichettare, sgravandosi così dalla fatica dell’eventuale necessaria presa in carico, bensì per ascoltare, cercare di comprendere ed aiutare.
La collaborazione con i servizi territoriali viene ritenuta di fondamentale importanza non solo per affrontare le situazioni di più serio disagio sociale riguardanti singoli alunni, ma anche per scopi formativi rispetto a temi complessi e di difficile trattazione all’interno della scuola come lo sono alcuni di quelli menzionati nella seconda parte del libro: quelli della sessualità e delle sostanze stupefacenti, ad esempio. (Lorenzo Sartini, psicoterapeuta)

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.