Di Angela Bisceglia
Non gli si può dire niente che subito pianta il muso e fa l’offeso. Per non parlare di quando perde, ad un gioco o ad una partita. Come fargli capire che non si può offendere per qualunquecosa vada storta?
Sin da piccoli, i bambini devono imparare che non si può dominare sempre su tutto e tutti, che il mondo non gira intorno a loro e che la sconfitta fa parte della vita: solo così diventeranno abili a sopportare le varie contrarietà che inevitabilmente capiteranno e non si offenderanno per un nonnulla. È il parere della psicologa e psicoterapeuta Paola Scalari.
Ci sono bambini per natura più vulnerabili, più sensibili alle critiche e quindi più permalosi; di quelli che, appena li si ‘tocca’, non riescono a sopportare l’urto e subito reagiscono offendendosi.
Spesso però dietro un bambino permaloso c’è l’influenza dell’ambiente nel quale vive. “Tutti i bambini nascono con la convinzione che il mondo sia ai loro piedi e possano dominare su tutto e tutti; un po’ per volta, poi, vedendo che la mamma non accorre al primo pianto o che il fratellino non gli dà subito il gioco che reclama, imparano che non ci sono solo loro e tocca adeguarsi anche alle esigenze degli altri” osserva Paola Scalari. “Se invece chi gli sta intorno continua ad accondiscendere ad ogni loro desiderio o a dar loro sempre ragione, l'illusione di essere onnipotenti va avanti e, quando arriva il momento in cui la realtà pone loro dei limiti, non sono preparati a tollerare il dolore che provano”.
Mi offendo e mi arrabbio! Di fronte ad un no o un insuccesso, il bambino allora può reagire in due modi: il classico è che mette il muso, come a dire al suo ‘offensore’: tu non mi vuoi, io mi ritiro; tu non mi accontenti, io non voglio più avere a che fare con te. Oppure, nell’incapacità di riuscire a gestire le cose come vuole lui, può arrabbiarsi e diventare aggressivo con il ‘colpevole’ o, qualche volta, anche con se stesso, ‘offeso’ con il mondo che non gira come aveva creduto.
4 consigli per gestirlo quando è offeso
Se ha l’abitudine di mettere il broncio con i suoi compagni ad ogni contrarietà, resistiamo alla tentazione di andare a fare gli arbitri o, peggio, gli avvocati difensori, e lasciamo che si arrangi da solo: “Se gli adulti non si intromettono, il bambino un po’ per volta impara le regole della vita in comunità” dice la psicologa. “Sbrigandosela da solo, inoltre, acquisisce fiducia in se stesso, perché si sente capace di affrontare e superare le difficoltà.
Al contrario, se si vede spalleggiato da noi, il suo atteggiamento permaloso o aggressivo si potrebbe accentuare perché si sente forte del nostro appoggio (della serie: ‘allora faccio bene a comportarmi così’). In più, non imparerà mai a gestire difficoltà e ingiustizie che oggi capitano con gli amichetti, domani capiteranno con i professori e poi con i colleghi, il capoufficio e così via. E a quel punto non potrà certo correre dalla mamma a chiederle come uscirne fuori!"
La tentazione sarebbe quella di consolarlo dicendogli che è stata colpa dell’arbitro, dell’allenatore, dell’altro compagno che ha giocato male… “Quand’anche fosse vero, tratteniamoci dal dirlo” consiglia Paola Scalari: “facciamogli notare invece che può capitare di perdere, che la prossima volta giocheranno meglio, che lui per primo si impegnerà di più. Ma se anche perdesse di nuovo, non è la fine del mondo e mamma e papà gli vogliono bene ugualmente. Ancora una volta, l’obiettivo deve essere quello di aiutare nostro figlio a tollerare sconfitte e delusioni”.
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