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Mamme e papà parlano al consulente educativo dei docenti del figlio

di Francesco Berto e Paola Scalari

Ascoltare il malessere

Quante volte abbiamo sentito gli insegnanti chiedersi: "Perché la madre di Carlotta si rifiuta di venire a colloquio con me?", "Perché il padre di Guglielmo non si fa mai vedere nei giorni di ricevimento genitori?", "Perché mamme e papà hanno tanta diffidenza nei confronti di noi insegnanti?". Sono questi, ma ce ne sono molti altri, gli interrogativi che circolano nelle aule insegnanti, negli atri delle scuole e nei corsi di formazione frequentati dai docenti.

Sono queste, ma ce ne sono tante altre, le perplessità che maestri e professori esprimono nella vana speranza di farle uscire dal cortocircuito che le fanno insorgere.
Sono questi, ma ce ne sono parecchi altri, i perché ai quali la scuola non riesce ancora a trovare delle risposte creative ed efficaci.
Ed è appunto per offrire un nuovo punto di vista in grado di chiarire queste domande, queste incertezze e queste ragioni, è quindi per proporre una nuova modalità in grado di rompere il pre-giudizio che impedisce di ricercare e trovare delle inedite risposte, che abbiamo pensato di raccontare alcune brevi storie di madri e padri.

Sono genitori che ci hanno chiesto aiuto e che abbiamo incontrato nella consulenza educativa, un percorso di ascolto ai padri ed alle madri realizzato al di fuori dell'ambito scolastico.
Quelli che mettiamo scena sono dunque genitori veri, madri e padri reali.
I protagonisti delle storie che raccontiamo sono persone che vivono accanto a noi e che sono state toccate profondamente, forse anche colpite rumorosamente, dalle parole di maestri e professori.
Le comunicazioni dei docenti allora, proprio perché non precipitano nel vuoto, creano dei grandi subbugli e dei forti dolori nelle famiglie dove vanno ad abbattersi.
Ed è appunto perché sono troppo assordanti e violente rispetto alla capacità di quei genitori di accettarle e capirle che non vengono né accolte né comprese.
Ed è proprio perché procurano dolorose sensazioni nelle madre e nei padri che se le sentono rivolgere quasi quotidianamente che si dissolvono assieme al dissolversi del rumore che procurano, lasciando però echi che possono ripetersi per tutta la vita.

Gli insegnanti allora, vivendosi inascoltati, o peggio disconosciuti, alzano sempre più il tono di voce ed adoperano parole sempre più forti per farsi capire dal genitore con il risultato di spaventarlo ancora di più.
Madre e padri infatti spariscono e si nascondono.
Maestri e professori però continuano ad incalzarli, a non dar loro tregua.
Ma più i docenti premono, più i genitori fuggono lontano.
Più gli insegnanti vogliono farsi ascoltare da madri e padri, più diventano inascoltabili.
Le storie mostrano come le parole degli insegnanti entrino in menti che non sono né neutre né vuote.
Le storie fanno ancora da cassa di risonanza alle profonde emozioni che le parole dei maestri e dei professori fanno risuonare nel mondo interno del genitore.
Le storie portano infine alla luce sentimenti come la paura, il dolore, l'incertezza, l'impotenza, la rabbia che altrimenti sarebbero rimaste sconosciute ai docenti.

Ogni comunicazione tra scuola e famiglia dunque ha l'effetto che ha proprio perché entra in una storia personale.
Apriamo dunque agli insegnanti una finestra su questo mondo, a loro spesso sconosciuto, poiché non sempre hanno la possibilità di sapere come i genitori vivono e sentono le loro parole.
Apriamo inoltre ai genitori uno spiraglio, a loro spesso invisibile, poiché possono vedersi accomunati a tanti altri genitori attaccati dagli insegnanti.

Ed ora vi apriamo il sipario sul mondo emotivo del genitore.
Occorre però fare silenzio per poter sentire, con adeguato rispetto, i protagonisti che stanno in scena.
Quella che vi domandiamo è infatti una compartecipazione impegnativa proprio perché richiede un orecchio interno capace di un ascolto polifonico.
E saper ascoltare contemporaneamente il genitore, il docente, il figlio e l'alunno comporta non solo lo sforzo di mettersi nei loro panni per poterli ospitare, contemporaneamente, nel mondo interno, ma anche la possibilità di riconoscere ed intrecciare i molteplici sentimenti di bambino, di ragazzo, di padre o di madre e di professionista che la narrazione vi fa rivivere.

Elena la secchiona

"Le insegnanti della mia ragazzina mi dicono sempre che Elena è un'alunna ubbidiente, educata, impegnata, responsabile, intelligente, che non dà preoccupazioni.
Ma io, e vi rassicuro che non sono pazzo, non riesco ad essere contento perché mi sembra che venga su troppo aderente a quello che dicono e pensano i suoi insegnanti, troppo dipendente da loro, troppo secchiona, troppo seria. E' tutta troppo mia figlia!
Ed è quindi troppo anche il mio timore che un giorno o l'altro possa scoppiare a furia di tenere tutto dentro per tentare di apparire come gli altri vogliono che sia!
Non l'ho mai vista allegra, sorridente, soddisfatta, neanche quando prende ottime valutazioni e sta promossa con il massimo dei voti.
E sto male, tanto male!
Ho cercato di parlare con i suoi professori di queste mie preoccupazioni e mi hanno risposto:

  • che ne hanno fin sopra i capelli di alunne spensierate, autonome, trasgressive, ribelli;
  • che dovrei portare un cero alla Madonna per ringraziarla di avermi dato una figlia così.

Né io né Elena riusciamo però ad essere soddisfatti e tranquilli.

  • Perché i docenti non sono consapevoli che un'alunna può esprimere il suo disagio anche standosene calma e buona al suo posto ed eseguendo alla perfezione i loro dettami?
  • Perché sono ciechi e sordi di fronte al malessere che una loro alunna esprime attraverso un eccessivo adeguamento alle loro aspettative?

I professori, dopo aver appreso dai media gli orrendi crimini consumati da ragazze e ragazzi che tutti ritenevano per bene e di buona famiglia non hanno pensato a quanta sofferenza una ragazza può nascondere proprio dietro al suo troppo perbenismo ed al suo troppo buonismo?

  • C'è qualcuno che ha la responsabilità d'informare l'insegnante che la sofferenza dei suoi alunni non è classificabile a seconda dei segnali eclatanti che inviano e nemmeno da quanto questi segnali lo scombussolano e lo irritano?
  • C'è qualcuno che ha il compito di insegnare agli insegnanti che l'alunno può esprimere il suo malessere anche standosene calmo, buono ed attento al suo posto?
  • C'è qualcuno che ha l'autorevolezza per poter dire ai professori: "Ma lo sapete a quanta inquietudine va incontro quella vostra alunna che, per compiacenza o per paura od ancora per bisogno di approvazione e di accettazione, è disposta ad indossare i panni della perfettina pur di ottenere accoglienza ed affetto?

Io ci ho provato come genitore a preoccuparli per fare in modo che si occupassero di mia figlia.
Inutilmente però!

Claudio l'artista

Un giovedì sera io i mio marito, dopo mesi ed anche anni di... clausura, usciamo dopocena per andare a teatro e lasciamo nostro figlio Claudio a casa con i nonni.

E, non so se per attenuare il nostro senso di colpa oppure per rendergli meno problematica questa nuova realtà, accettiamo la sua richiesta di rimanere alzato fino tardi a disegnare e a colorare.

  • Siamo in verità preoccupati perché è la prima volta che lo lasciamo da solo di sera e temiamo non sia in grado di sopportare questo distacco e fatichi quindi ad addormentarsi.
  • Siamo pure arrabbiati perché i suoi tentativi di impedirci di uscire sono stati continui e decisi e, soprattutto, rabbiosi e cattivi.
  • Siamo però anche fiduciosi che, una volta usciti, il bimbo, si calmi ed accetti la situazione.

Venerdì mattina, di buon'ora, Claudio viene nel nostro lettone. Tiene in mano un foglio di carta ed insiste per mostrarcelo. A fatica riusciamo a capire che è il disegno che aveva fatto la sera prima, quando noi non c'eravamo. Anche se mezzo addormentati lo guardiamo. Così, per accontentarlo, nella speranza che poi torni a dormire. L'impatto con un mare in burrasca, bellissimo, ci sveglia del tutto. Siamo attratti e colpiti dalla policromia del disegno.

Alcune onde sono nere, viola, marroni: "I colori della sua paura" affermo decisa ad alta voce. E mio marito con altrettanta convinzione: "Ma anche i colori della tua ansia! Ti sei resa conto delle innumerevoli volte che ieri sera a teatro hai guardato l'orologio?".

Altre onde sono rosse, arancione, gialle: "I colori della sua rabbia di doversene stare a casa con i nonni" traduce mio marito, precedendomi. "Ma anche i colori della tua collera per i capricci che Claudio ha messo in atto per impedirci di uscire senza di lui" aggiungo a mia volta.

Altre ancora sono verdi, azzurre, rosa: "I colori della speranza" interpretiamo all'unisono. "Della nostra che impari a lasciarci uscire senza drammi e della sua che impariamo a tornare poi da lui" cerco di precisare.

E' un mare che, attraverso le diverse e contrastanti tinte, ci mostra le diverse e contrastanti emozioni vissute da Claudio la sera prima.
Ma è pure un mare che fotografa benissimo anche il nostro mondo interno. E' cioè anche il nostro mare. Siamo orgogliosi della capacità di nostro figlio di cogliere e trasmettere attraverso i colori le sue emozioni ed accorgersi anche dei nostri stati d'animo. E ce lo coccoliamo, gratifichiamo, amiamo, baciamo.

Ma non ci basta, evidentemente! Abbiamo bisogno di qualcosa di più. Sentiamo la necessità di venire confermati nel nostro sentire. Ci manca infatti la rassicurazione di un esperto che nostro figlio è davvero un bimbo straordinario. E suggeriamo a Claudio di mostrare il disegno alla maestra, convinti che gli dica che è un capolavoro espressivo da incorniciare e da esporre. Il bambino non sta più nella pelle per la felicità.

Venerdì, all'una, vado a prenderlo all'uscita da scuola. Sono agitata. E' gratificante, ma soprattutto emozionante, per una madre sentire valorizzato il figlio da parte dell'insegnante! Vedo Claudio uscire dal portone. Mi sembra un cane bastonato. Appena mi vede si mette a piangere, disperatamente. Preoccupata, gli chiedo il perché. Angosciato, mi mostra il suo meraviglioso disegno tutto stropicciato e ridotto in quattro pezzi. Indignata, gli chiedo: "Chi è stato?" Mi risponde immediatamente: "La maestra"

Proprio la persona che mai avrei pensato capace di fare una così grande violenza ad un suo alunno di otto anni. Cerco di calmarlo invitandolo a raccontarmi quanto successo. E Claudio: "Come tu e papà mi avete suggerito mostro il disegno alla maestra. Lo guarda appena e mi dice, arrabbiata:

  • Il mare non è l'arcobaleno!
  • Hai fatto una gran confusione!
  • Sei il solito esagerato!
  • Hai voluto adoperare tutti i colori che avevi nell'astuccio!
  • Non ti sei accontentato di usare solo le diverse tonalità di azzurro!
  • Così non va proprio bene!
  • Sei sempre eccessivo nelle tue manifestazioni.
  • Devi imparare ad essere più contenuto, anche nell'uso dei colori
  • Prima lo strappa.
  • Poi lo getta nel cestino come se fosse carta straccia.
  • Sento tanto male. Mi metto a piangere. E cerco di recuperare il mio mare anche se è tutto rotto. La maestra, per consolarmi, mi dice: "Adesso fai il bravo. Torna al tuo posto. Ridisegna il mare, magari con qualche pesciolino e qualche barchetta, e poi lo colori d'azzurro e di blu, come quello della carta geografica". E mi promette: "Quando l'hai finito lo appendo alla parete". Io non le rispondo. Lei insiste. Io continuo a dirle di no, che quello della carta geografica non è il mio mare, ma è il mare di tutti! Allora si arrabbia e mi rimprovera: "Sei anche un bambino testardo che vuole avere ragione a tutti i costi!" Io le ripeto che il mio mare non lo cambio.
    Alla fine la maestra si rivolge alla classe: "Bambini, dite a Claudio di che colore è il mare, visto che non lo sa!" "Azzurro, celeste, blu" rispondono i miei compagni mettendosi a ridere E così mi fanno sentire anche la vergogna di aver disegnato il mio mare.

Se ne sta un po' in silenzio, come se dovesse cercare pensieri nuovi.
Ad un certo punto, prima mi chiede: "Mamma, la mia maestra mi può insegnare di che colore è la vergogna?" E subito dopo: "Mamma, è vero che la mia maestra non lo sa?"
E Claudio: "Come faccio ad imparare a giocare con tutti i colori se la mia maestra non è capace di insegnarmelo? Io non voglio cambiare gioco!". Devo allora cambiargli maestra?

Riflessioni aperte

Queste e molte altre sono le storie delle lotte tra scuola e famiglia che ascoltiamo quotidianamente nella consulenza educativa. Ci chiediamo: Perché sta avvenendo questa insanabile rottura tra insegnanti e genitori? Abbiamo più volte cercato di rispondere a questo quesito ed abbiamo pure costruito delle ipotesi per risolvere questi scontri dolorosi. Il nostro pensiero e le possibili soluzioni sono state raccolte in molti saggi ed in due libri, editi entrambi dalla casa editrice la meridiana di Molfetta (BA). Il primo è del 1999 ed ha per titolo Incontrare mamme e papà. Il più recente è del 2002 e l'abbiamo chiamato Divieto di transito. Adolescenti da rimettere in corsa.

Il malessere però attorno a noi si fa sempre più dilagante. Il livore degli adulti penetra dolorosamente nei bambini e nei ragazzi. Gli alunni diventano così sempre più incontenibili, ribelli, impossibili. Gli studenti mostrano i segni della loro sofferenza con la loro insofferenza. I professori esausti richiamano la famiglia. Mamme e papà sempre più impotenti si disperano, si arrabbiano, si isolano, si danno per vinti. Vi chiediamo quindi di testimoniare e ripensare con noi: "Sta succedendo anche a voi di parlare come insegnati o come genitori in una lingua non traducibile dall'altra componente? Cosa si può fare per fermare la disfatta?". Lo scotto di questa battaglia lo stanno scontando le nuove generazioni. Vorremmo quindi lasciare aperta la riflessione su quale prezzo stiano pagando bambini e ragazzi per questo divorzio epocale tra scuola e famiglia.
Pensiamoci. Pensiamoci. Pensiamoci.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.