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intervista a Paola Scalari a cura di Laura D'Orsi, giornalista

Una mamma scrive:
Dico a mia figlia di due anni e mezzo “facciamo ordine” e si mette tirar fuori tutti giocattoli. “Andiamo dai nonni” e fa i capricci. Suo fratello di otto anni è uguale: “mettiti a studiare” e si mette a fare altro. Così va a finire che per sfinimento li lascio fare. Come posso riuscire a farmi obbedire?

 

Perché è così difficile insegnare ai bambini ad obbedire?

I bambini ci provocano, è il loro “mestiere”. Devono capire fin dove possono arrivare, dove inizia la loro autonomia e dove finisce. E lo fanno a tutte le età, per ragioni diverse. Ma farsi obbedire quando è necessario fa parte della responsabilità naturale dei genitori. Perché i figli hanno bisogno di sentire che i grandi sanno guidarli e contenerli. Attraverso un’educazione fatta soltanto di approvazioni e di indulgenza, viene negata loro la possibilità di allenarsi a gestire i no che la vita sicuramente prima o poi gli metterà davanti. E si sentiranno smarriti, senza un solido riferimento a cui appoggiarsi.

Quando si può cominciare a dare i limiti?

Fin da subito. L’obbedienza si fonda su delle regole che devono essere rispettate, e le regole nascono, appunto, dalla regolarità. Ecco perché è importante, fin dai primi mesi, compiere i gesti quotidiani legati all’accudimento del bambino con una certa ritualità. A mano a mano che i mesi passano, però, è importante iniziare a far percepire al bebè che esistono dei limiti alle sue richieste.

In seguito come è meglio comportarsi?

Ogni genitore dovrà trovare la giusta proporzione tra l’età del bambino, il numero di regole e la gradualità con cui vengono impartite. “L’importante è stabilire un criterio di 'giustizia', che è per forza di cose soggettivo, ma non arbitrario. Significa che anche per il bambino deve essere chiaro e prevedibile. Da parte loro mamma e papà non devono stancarsi di ribadire le regole, perché è solo con il tempo che vengono assimilate.

È vero che è meglio stabilire poche regole, ma chiare?

Sì, meglio pochi limiti ma su questi non transigere. E’ giusto poi prevederne alcuni più morbidi, da contrattare di volta in volta (“non più di un’ora di cartoni al giorno, ma la domenica facciamo un’eccezione”). Attenzione poi: il no non deve essere dettato dalla rabbia o dalla comodità del momento, altrimenti il figlio capisce che si tratta di una regola priva di valore e che può cambiare a seconda delle circostanze.

I no vanno motivati?

Imporre un limite non significa non ascoltare le richieste del bambino. Anche quando gli si proibisce una cosa, gli si può dire che il suo dispiacere è comprensibile, ma che non si può fare diversamente. Gli si può anche spiegare il motivo del rifiuto, per fargli capire che c’è un senso dietro ad ogni regola, ma senza illudersi che possa comprenderlo. E se insiste, meglio tagliare corto con un deciso: “si fa così e basta”. E’ qui che il genitore assume il proprio ruolo e rivela la sua differenza rispetto al bambino.

Perché alcuni genitori fanno più fatica a sostenere la reazione di rabbia del figlio?

Perché, inconsciamente, hanno paura di perdere il suo affetto. Si sentono cattivi genitori. Questo dipende da una scarsa autostima, da un’insicurezza personale. Ma cedere è molto peggio di un no fermo e sicuro.

 

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.