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Commenti

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Di Antonio Imbasciati
Armando editore, Roma, 2005 euro 13,00

Imbasciati ci invita ad una riflessione, complessa quanto avvincente, attorno all’uso, secondo l’Autore ormai desueto e fuori tempo, del modello della Metapsicologia freudiana. Egli quindi ci sollecita, insistentemente, a rivedere parole e concetti quali inconscio, rimozione, rappresentazione, pulsione, resistenza.

Nel testo, infatti, Imbasciati sottopone il lettore ad un serrato confronto tra la teoria energetico-pulsionale e le teorie che provengono dalle neuroscienze e dal cognitivismo. Egli ci esorta, ripetutamente, a non rimanere estranei alle nuove prospettive aperte dalle altre discipline che studiano la mente.

Questo punto di vista, in realtà, dovrebbe essere già acquisito poiché solo la complessità, che nasce dal confronto con l’Altro da Sé, aiuta la teoria psicoanalitica a procedere verso la verità, verso la comprensione, verso la rappresentazione dell’ignoto.

E per la psicoanalisi, di sicuro, le altre discipline, pur rimanendo chiaramente differenziate, sono un valido arricchimento nella formazione della sua specifica identità.

Il crinale però è tra ibridazione confusiva e ibridazione mutativa.

Come psicoanalisti sentiamo le nostre radici ancorate al pensiero di Freud che diede il via, seppur in tempi ben diversi da quelli attuali, al pensiero sul non visibile, sugli affetti e quindi sul nostro mondo interno.

Possiamo allora rinunciare alla parola inconscio? Ed è proprio necessario cambiarla? Possiamo chiedere a noi stessi di eliminare una parola simbolo della nostra identità?

Imbasciati sembra dirci che dobbiamo. Altrimenti non potremo parlare con gli altri. Eppure la bellezza dell’incontro con il diverso sta nel mantenere la propria identità pur aprendosi al confronto, alla condivisione e al dialogo.

La nostra riconoscenza intergenerazionale come professionisti legati al pensiero di Freud non ci impedisce quindi di avvicinarci a nuove frontiere del sapere poiché è inevitabile che le generazioni non si replichino, ma si susseguano e che quindi i saperi non si fermino, ma evolvano. E’ questo il compito dei figli! Anche di quelli professionali. Quanto poi ognuno si discosti dai padri rappresenta una scelta personale.

Imbasciati sembra volerci comunicare che si può modificare il sistema simbolico, con cui da più di cento anni comunichiamo, senza rompere con la nostra identità primaria.

Sta infatti nella coniugazione tra differenze la bellezza dell’incontro umano e non sta certamente nell’autoreferenzialità la possibilità di far crescere l’indagine scientifica.

Da questo confronto tra identità teoriche differenti esce un saggio che mostra la fatica, a cui si sente sottoposto l’Autore, nel sentirsi legittimato ad un altro punto di vista.

Attraversano dunque tutta l’opera l’impresa titanica di modificare il linguaggio simbolico che ci ha accompagnati nella conoscenza del modello pulsionale, il timore di non veder accreditato, da parte dell’Autore, il proprio sapere e il desiderio di porre l’accento sulla novità delle conoscenze scientifiche.

La fatica dell’Autore sta nel tenersi legati al modello freudiano e il discostarsene. Il suo sforzo sta tra il dimostrare nuove prospettive di pensiero per leggere il funzionamento mentale e il suo rimanere fedele ad una appartenenza storica che lo lega al pensiero psiconalitico.

Ortodossia o eresia? Questa preoccupazione sembra costante. E, alle volte, interrompe il filo del pensiero che l’Autore ci invita a seguire. Eppure il suo punto di vista è ricco, affascinante, sicuramente nuovo ed avvincente. E nel terzo millennio potremmo dare più per acquista la multidisciplinarietà che ci orienta nella lettura della costruzione della mente umana. Fatto questo salto mentale il resto diventa sì impervia strada, ma anche interessante cammino che non trova ostacoli mentali mentre ci conduce a comprendere il formarsi dello psichico.

Concetto portante di questo percorso è quello di protomentale. E il protomentale apre una finestra sul costituirsi della vita fetale. E la vita mentale del feto è un punto di partenza per una nuova teoria, ma anche un punto d’arrivo che rimane misterioso poiché non sottoponibile ad una scientifica sperimentazione.

Lo stesso Imbasciati lo definisce ancora oscuro, “punto zero” e va alla ricerca della sua funzione lasciando aperta la possibilità di continuare la ricerca.

E così, pur avvincendoci, l’Autore ci lascia con il fiato sospeso quando, addentrandosi nella vita psichica del feto, conclude che sappiamo ancora troppo poco su tutto questo.

Con Imbasciati dunque concordiamo che crescita, sviluppo mentale, evoluzione del sé sono legati all’apprendimento e non ci meraviglia che questo avvenga fin dai primi momenti di vita uterina poiché accettiamo, senza indugio, la sua tesi che ogni individuo nasce già con una sua diversa competenza. Lo osserviamo nella nostra vita quotidiana, lo riscontriamo nell’osservazione dei bambini, lo evidenziamo ogniqualvolta ci confrontiamo con i nostri pazienti.

Con Imbasciati concordiamo anche che l’analisi è un processo di apprendimento poiché abbiamo appreso, da tempo, che apprendere è cambiare e cambiare è segno di salute mentale.

Ci affascina però l’uso che l’Autore fa del cognitivismo comparandolo al pensiero sull’inconscio. O meglio come l’Autore, preoccupato dal poter tenere aperto un dialogo con le altre discipline che studiano la psiche, ci invita a chiamarlo, il non consapevole (Imbasciati 1989).

Ed ancora ci convince, sembra ombra di dubbio, che la qualità della relazione determina la qualità dell’apprendere forse perché da Bion (citato da Imbasciati) siamo sempre stati orientati a pensarlo nella teoria, a verificarlo nella pratica e a tenerlo presente nell’osservazione del piccolo.

Ed ancora questa prospettiva ci inoltra nel ripensamento del concetto di memoria, portandoci a riflettere su come la memoria non sia la fotocopia della realtà. E non è difficile crederlo. Seguiamo dunque volentieri l’Autore, anche se lui pare non esserne convinto, nel riesaminare come il funzionamento della mente determini la modalità del pensiero.

E’ quindi convincente la sua dotta dissertazione attorno alla simbolopoiesi quale costruirsi di una struttura capace di elaborare l’esperienza che pur costituendosi nella prima infanzia accompagna l’essere umana per tutta l’esistenza. E quindi “la relazione analitica è un esempio di un supplemento ad hoc per incrementare o restaurare la simbolopoiesi in una relazione che ripeta quella primaria” (Imbasciati).

E se per pensarlo dobbiamo appoggiarci al pensiero cognitivista, quasi esso si preseti più credibile di quello analitico, riscontriamo come questo vertice sia una prospettiva utile in quanto mostra come, da qualsiasi teoria si parta, il punto d’arrivo è sempre il fascino misterioso dell’incontro umano. Incontro del bimbo con il grembo della madre, incontro del piccolo con il mondo esterno, incontro del paziente con l’analista. Ma anche incontro creativo e produttivo del pensiero psicoanalitico, ormai inevitabilmente non più unicamente freudiano, con il pensiero delle altre discipline che studiano il mentale.

Il mondo va avanti, il sapere cresce, la multiculturalità è un dato di fatto.

Imbasciati ci offre una sapiente strada per rendercene conto, per acquisirlo, per non trovarci sprovveduti di fronte all’incedere delle nuove conoscenze.

Di questo siamo grati all’Autore che ci esorta ad aprirci a nuovi mondi inducendo nel lettore curiosità ed interesse per ciò che, come psicoanalisti dediti più alla clinica che alla costruzione di teorie, non ci è sempre così familiare.

 

Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.