Cambiamenti possibili nei servizi sociosanitari
Franca Olivetti Manoukian
Guerini editore 2015
Quando i punti d'appoggio della vita psichica s'incrinano, insieme alle civilizzazioni e le culture che la sostengono, per vivere è necessario sperare ragionevolmente nelle nostre capacità creative. (Renè Kaes)
Nella copertina di Oltre la crisi colpisce subito il sottotitolo “Cambiamenti possibili nei servizi”. Crea una scordatura, come direbbe Renè Kaes, avvertire questa voce dissonante nell'insieme di lamentele, disperazioni e rassegnazioni che vengono proclamate dagli operatori dei servizi sociali e sociosanitari. Nessuno pare credere che un cambiamento sia possibile. Il coro che proviene, monotono ed incessante, da chi opera all'interno delle istituzioni sociali ha un unica cupa nota che è ferma sulla tonalità della stanchezza sfiduciata.
Le voci ripetono: “Non si può fare. Non ci ascoltano. Decidono sulle nostre teste. Riorganizzano per distruggere quello che avevamo creato. A nessuno interessa se lavoriamo bene o male”. Tristezza dilagante? No. Manoukian, ben consapevole di questo mal stare degli operatori, sostiene che è il blocco del pensiero innovativo quello che è venuto a mancare. È caduta, a partire dai limiti imposti, la voglia di creare nuovi orizzonti. Ma il produrre un pensiero innovativo in situazioni di crisi è proprio il segno specifico della creatività. Si è però creduto che ognuno potesse dare vita a questa svolta da solo. E questo, sembra ammonirci Manoukian, è un ingombrante ostacolo epistemologico da superare. Nessuno può credere di poter intervenire nel contesto sociale con azioni isolate. É allora necessario creare legami, connettersi, collegarsi, fare rete. Questo presupposto lo affermano in tanti, ci provano più o meno in molti, infine però quasi tutti vi abdicano sfiduciati. “La rete è un laccio che blocca, i legami rallentano l'operatività, i vincoli sfibrano emotivamente” affermano operatori di tutti i servizi. E proseguono dichiarando: “Collaborare è più uno slogan che una possibilità. Si creano sicuramente sinergie con alcuni, altri però le rompono rendendo ogni sforzo inutile.”
Ogni progetto di lavoro condiviso finisce per disperdersi, interrompersi, sfilacciarsi.
Un urlo muto ed angosciato pare quindi giungere da chi opera con solerzia, convinzione, competenza.
Manoukian allora ci prende per mano e, con pazienza, senza fretta, con intelligenza ed umanità cerca di mostrarci la pista da imboccare per uscire dalle insofferenze di una vita lavorativa che annulla il valore del legame e con esso del sociale. Una via che pare logica, appropriata, azzeccata soprattutto per i tanti operatori che condividono con l'Autrice l'idea che “... i Servizi sociali e sanitari... anche nel nostro paese, costituiscono un fattore importante per la qualità della vita quotidiana di singoli e famiglie”. Il primo obiettivo da raggiungere, ci suggerisce allora l'Autrice, comporta il ricollocarsi sul piano della conoscenza. “E questo implica sul piano soggettivo, intersoggettivo, e collettivo assumere delle decostruzioni dei saperi più assodati, depositati e precostituiti, per riuscire ad accostare altri paradigmi, altre visioni del mondo piccolo e grande che ci circonda”. Nel panorama attuale però lasciare il noto per l'ignoto pare un'azione impossibile. Si sta male, ma non si può o non si riesce a cambiare direzione. La paura di perdere ciò che si è acquisto domina la vita dei gruppi di lavoro, anche se le consuete prassi non servono più, creano disagio, lasciano amareggiati e sconfitti. La difesa paranoica nei gruppi istituzionali diviene una persecutorietà depositata nei capi, nei dirigenti e nei politici. L'ansia depressiva intanto domina la vita collettiva delle équipe, dei team, dei tavoli, dei pull impegnate inutilmente alla ricerca di un Noi. I gruppi non riescono più a produrre perché bloccati da questi due sentimenti che sono nemici, da sempre, della produzione di pensiero.
Manoukian sostiene che un deficit di visibilità e un forte bisogno di riconoscimento dell'operatore alimentino questo malessere.
E allora ognuno per rendersi importante vorrebbero fare cose risolutive, grandiose, illuminate, apprezzabili, magiche e non può accettare la parzialità del proprio operare.
L'idea illusoria di eliminare i problemi diviene chiara, pagina dopo pagina, inducendo il lettore a lasciare il miraggio di risanare, eliminare il male e restituire integrità.
Si arriva pertanto a sentire come maggiormente necessario il capire che l'agire.
L'idea realistica di trattare problemi sociali, di conoscere e ricercare intorno al disagio che si è incontrato, diviene il faro per portare fuori dalle secche dell'immobilità il lavoro dei Servizi.
Conoscere sembra allora la parola chiave per uscire dalla crisi, per andare oltre l'idea del sapere già tutto, per sanare il malessere nei servizi. Se non si lavora sulla simbolizzazione, sul sapere, sulla rappresentazione, infatti, mancheranno delle ipotesi abbastanza forti per concepire dei mondi possibili.
È questo un monito a conoscersi nelle relazioni senza volere far prevalere la propria verità; ad ascoltarsi nelle situazioni senza eliminare, espellere, denigrare chi porta altre visioni; a procedere attraverso il pensare-l'agire-il pensare senza stancarsi nel costruire orientamenti che permettano di affrontare la complessità. L'andare in questa direzione riporta alla necessità dell'Altro, alla capacità di collegarsi, al non lavorare da soli anche se la presenza del diverso da sé apre delle conflittualità che generano sofferenza. Ma un punto fermo per Manoukian è che il soffrire non è eliminabile e perciò imparare a conviver con il dolore della condizione umana può aiutare ciascun operatore a integrare nel contesto sociale questo sentimento. Tollerare e saper far tollerare il malessere è infatti di vitale importanza per non far allontanare, segregare, emarginare chi vive nel disagio.
L'idea del tutto subito, facile, senza impegno alla fine del testo risulta insostenibile ed induce a riaprire la prima pagina non più indotti dalla curiosità della lettura, bensì spinti dalla ferma convinzione di voler capire di più studiando, confrontandosi, apprendendo, scrivendo su ciò che si è sperimentato, verificando ciò che si è fatto, documentando le esperienze che si sono vissute. Ci si sente in una nuova relazione con se stessi poiché vi è il desiderio di oltrepassare il rifugio, divenuto enclave, claustrum, autoreferenzialità, in cui ci si era imprigionati.
Una sbirciatina alla bibliografia induce a pensare che non si sarà soli, tanti compagni saranno interlocutori del nuovo cammino.
Ecco a questo punto si è già Oltre la crisi.
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