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Commenti

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Il Tappeto Afghano

Gholam Najafi 

 

Là fuori
al di là delle idee di falso e giusto
c'è un vasto campo:
come vorrei incontrarvi là.

Quando colui che cerca raggiunge
quel campo
si stende e si rilassa:
là non esiste credere o non credere.
(Rumi)

 

 

Siamo in Afghanistan, terra martoriata da troppe guerre. Alloggiamo tra i monti e nelle contrade di questo splendido Paese. Leggendo il testo, non essendo mai stata in Afghanistan, me lo sono immaginato simile all'Iran, ai villaggi che lì ho visitato, ma ancora più brullo, impervio e con piccolissimi agglomerati di case di fango o poco più.
Qualcosa che a noi occidentali fa incantare.

Ed ecco che il il libro ”Il tappeto Afghano” tra immagini geografiche e antropologiche è narrazione che affascina. Gholam Najafi intesse infatti i fili del tessuto che dà forma alla vita. In filigrana il tappeto come arte del lento tessere, come rappresentazione che intreccia i simboli culturali, come luogo dove si riunisce la famiglia. Nell'ordito e nelle trame il filo esistenziale come evocazione di una storia che pazientemente intreccia i vincoli che danno una forma alla vita quotidiana.
In primo piano un Paese, così come emerge dal testo di Najafi, vissuto da persone forti e sincere. In tutto il libro traspare che la vita si svolge attorno ai riti familiari. Abitudini antiche che non evolvono nel tempo. Il tempo fermo, immobile e senza cronologia che permea tutto il testo.
Un libro che racconta storie di donne e di uomini che attraversano le generazioni, ma che rimangono immobili nel loro stile di vita.
Viene da chiedersi quanto ciò rappresenti il fotogramma fissato nella mente dell'Autore e quanto invece sia così perdurante in questo pezzo di mondo. Noi non lo sappiamo, ma ci affidiamo alla narrazione di Najafi per cercare di comprendere il nesso tra generazioni e tra generi in una cultura così distante dalla nostra, eppure così evocativa anche della nostra.
La crudeltà ha infatti tanti risvolti. La prepotenza verso le donne tante sfaccettature. Ma sempre violenza di genere è. Ed anche la poca considerazione dell'infanzia rimane una piaga sociale attuale ovunque ci siano dei piccini. Sempre violenza tra generazioni infatti è. Cambia dunque la latitudine, ma non il sentire umano.
Un intreccio di emozioni dunque che ci lasciano via via con il fiato sospeso perché temiamo per la vita dei protagonisti, ci pare inaudita la severità senza cuore di alcune consuetudini verso l'infanzia, ci raccapriccia la violenza sul corpo delle donne. Ma ci fanno sentire sentimenti contrastanti anche gli uomini che Najafi evoca. Maschi che devono salvaguardare l'onore della famiglia. E senza questo nulla può essere messo in salvo. Riga dopo riga immagini di film “Cosa dirà la gente” di Iram Haq emergono dal mio mondo inconscio per dare visibilità a ciò che sto leggendo e che, diversamente, non riesce a rappresentare le aspre terre e le dure ore di lavoro dei tanti personaggi consumati dalla vita. E così entriamo nelle loro case, guardiamo ai loro matrimoni, annusiamo i loro cibi, soffriamo dei loro travagliati parti, teniamo tra le braccia piccini di ogni età. Ma questi personaggi, piccoli lo rimangono per poco poiché ai maschi spetta un duro apprendistato e alle femmine una altrettanto impegnativa vita domestica. Per entrambi uno sposalizio voluto dalle famiglie. Bambini quindi per noi, uomini e donne lì. La scuola che questi giovanetti frequentano infatti appare sfilacciata. Luogo desiderato quanto temuto. L'apprendere segnato da duri metodi che non lesinano punizioni corporali. Eppure tutto il testo attraverso la penna di Najafi diventa poesia, cioè parola che più che dire, evoca ed immerge in emozioni sempre più profonde.
Quelle che leggiamo sono perciò storie di ferite aperte e di angosce rimarginate, di nostalgie viscerali e di incontri tumultuosi. Narrazione di vita e di morte. Ed è qui che comprendiamo non solo il piacere che la lettura ci ha donato, ma soprattutto la pacifica convivenza con il senso della vita che queste persone, così come sono uscite dalla penna dell'Autore, hanno saputo offrirci. Per noi è quindi una lezione di vita.

 

Paola Scalari, psicosocioanalista

Venezia 4 maggio 2019

 

Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.