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Commenti

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Il Banco Vuoto

Scuola e leggi razziali, Venezia 1938-45.

Maria Teresa Sega

 

Nuova edizione, Verona, 2019

 

 

 

 

Che cosa si prova ad essere 'diversi'? Additati per strada, dileggiati con sputi ed insulti? (pag 11)

Un libro corale. Un testo nel quale le voci di tanti bambini creano una intensa trama emotiva. Un elegante volume che ci permette di ascoltare il racconto di quel lontano passato dove, un giorno qualsiasi, gli alunni ebrei furono scacciati da scuola.

“Non un gesto amichevole, non una sola parola di saluto: io, tutta rossa, accaldata, mi sentivo un'intrusa, mi sentivo una che non aveva più posto in quel luogo” (pag. 17)

Mandati via perché non di razza ariana.
Indesiderati così come si tenevano fuori dai negozi i cani.
Allontanati violentemente da compagni, insegnanti, direttori.
Nel silenzio complessivo di tutti. Nell'indifferenza incredula di ognuno. Senza una parola, senza una spiegazione, senza alcuna cura dei vissuti degli allievi a cui fu proibito tornare a scuola. Solo un direttore, vedendo un bimbo -Roberto-, in lacrime riesce a fargli una carezza sulla testa e a rassicuralo dicendogli che sarebbero venuti tempi migliori.
La domanda quindi che mi ha attraversato mentre l'Autrice mi portava dentro alle vite di questi alunni che, di passaggio in passaggio, andavano verso la sofferenza, la paura, la morte è stata perché nessuno se n'è accorto, o qualora se ne fosse accorto lo ha ritenuto naturale e non ha reagito. Certamente vediamo qua e là persone ideologicamente asservite dalla ideologia fascista, ma non sono quelle le voci più assordanti. Ci frastornano maggiormente le voci silenti.
Normale fu per molti docenti lasciarli uscire dall'aula.
Normale fu essere segregati nella scuola del Ghetto di Venezia.
Normale fu non permettere l'accesso alla spiaggia.
Normale fu andare al mare lontani dalle zone degli ariani, là in fondo al viale agli Alberoni.
Normale fu essere segregati in casa.
Normale fu per i genitori ebrei non poterci credere perché non avevano fatto nulla di male.
E ancora mi domando come può essere che tutto vada succedendo senza alcuna opposizione all'ingiustizia, neanche da parte di chi la subisce. Non è forse l'incredulità la maggior causa? Ed essa quanto si pone a difesa di qualcosa che fa troppa paura?
Dal febbraio 2020 assistiamo ad un bieco negazionismo che nonostante il crescente numero di morti non crede che Covid-19 esista. E noi, ed io, che di quei morti faccio la conta anche nella mia vita privata, non so come dire che non si può negare la realtà. Che la paura non può paralizzare la visione della verità. Che l'invisibile agli occhi può distruggerci se non lo fermiamo subito. Eppure molti fanno come se il virus killer non esistesse. E la mia flebile voce, che si oppone a chi non protegge con massima attenzione l'altro, viene spenta, rimane inascoltata, viene ingiuriata.
Il libro di Sega quindi è anche un libro che ci fa riflettere sul bullismo non solo perché i bambini ebrei si vedono deridere o sputare in faccia, ma anche perché la mancanza di empatia è disumanità. E chi delle morti attuali non si fa rispettoso testimone è un bullo.
Puro narcisismo maligno che esalta solo se stesso e le sue esigenze. Malattia al singolare nella vita quotidiana delle persone sorde al dolore altrui, ma patologia anche al plurale quando colpisce una comunità che evita di tessere la rete di protezione a cui tutti devono collaborare.
Certo questo libro ci fa riflettere sull'allora della Shoah, ma anche sull'oggi dove una pandemia ha visto mettere fuori della porta della loro scuola tutti gli allievi. I bambini contano così poco? La risposta non mi è difficile da trovare poiché il loro valore è proporzionale alla possibilità di consumo diretto -o attraverso i genitori- che essi garantiscono. Il bambino con i suoi diritti invece non esiste per la collettività. E lo si può lasciare confinato a casa senza porsi troppi interrogativi. Ancora oggi supervisionando tanti Servizi di Tutela dei Minori mi trovo a combattere per garantire condizioni di vita accettabili per i più piccoli e devo contrastare le voci altisonanti dei politici e dei responsabili istituzionali che difendono i diritti dei genitori, la necessità di risparmiare, l'inutilità di investire precocemente sul futuro.
Per questo ho apprezzato particolarmente questo testo. Dà voce ai bambini. Li ascolta. Dà loro credibilità. Sa farli narrare. Atteggiamenti questi che troppe volte operatori, educatori ed insegnanti hanno dimenticato. Raccontarsi e far raccontare per mettere in parole emozioni, vissuti, stati d'animo, esperienza. Questa è la scuola a cui credo. Questa è la didattica che con Francesco Berto ho messo a punto nella metodologia della “Ricerca” per far apprendere dall'esperienza. Diversamente le vicissitudini della vita non ci insegneranno nulla. E torneremo a ripeterle soggettivamente e collettivamente.
Maria Teresa Sega ci accompagna quindi ad osservare come una comunità va verso la catastrofe della deportazione in un silenzio assordante. E quei bambini ebrei devono nottetempo fuggire da casa, andare raminghi altrove, correre inenarrabili pericoli, patire la fame, sopportare il freddo, rimanere lontani dai genitori, essere deportati. Morire.
E mentre tutto questo avviene, ed ormai non è più negabile perché i treni con i vagoni stipati di ebrei deportati sono visibili, risorge una forte voce che si oppone a questa indifferenza. La solidarietà della gente qualsiasi che ospita famiglie ebree perseguitate, la solidarietà delle suore che accettano i bambini nelle loro strutture, la voce della gente qualsiasi, come quella citata nel testo, della signora Adele Zara. Che fece quel che fece salvando molte vite perché andava fatto.

“Lo fece sapendo che eravamo ebrei e ben consapevole dell'enorme pericolo in cui Ella stessa e tutta la Sua famiglia sarebbero incorsi se fossimo stati scoperti” (pag 121).

E il coraggio di chi si è opposto al lasciarli andare a morire non diviene più temerarietà, ma empatia umana. Ecco credo che la trama di questo prezioso volume, corredato oltre che dalla testimonianza di tanti uomini e donne che all'epoca erano bambini, da documenti fotografici e di archivio, non solo ci ricordi che è successo ma anche che può sempre succedere. Può sempre accadere che la scuola chiuda le porte, lasci i banchi vuoti, discrimini chi può accedervi e chi non può farlo.
Oggi questa forbice ci è palesata dalla Didattica a Distanza che ha visto alcuni studenti seguire le lezioni da remoto ed altri alunni scomparire dalle aule virtuali aperte sulla piattaforma. E il loro banco è rimasto ancora una volta vuoto. E la speranza con cui si va concludendo il testo ci lascia uno spiraglio verso un possibile cambiamento. Perché la storia non si ripeta. Perché

“Bisognava pure che qualcuno dimostrasse umanità in mezzo a tanta barbarie!” (pag117)

 

 

Paola Scalari, psicosocioanalista

Venezia 15 gennaio 2021

 

Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.