FILI SPEZZATI. AIUTARE GENITORI IN CRISI, SEPARATI E DIVORZIATI MERIDIANA - MOLFETTA BARI - 2006 - PAGG. 125
Quando Francesco Berto e Paola Scalari pubblicano un nuovo libro è emozionante per me scoprire come sia riconoscibile il loro percorso, sia di crescita professionale che di competenza narrativa. Vedo ed apprezzo la loro autenticità lontana da stereotipi, nascondimenti o cedimenti, riguardo alla sofferenza che incontrano nel loro lavoro di psicosocioanalisti.
Quest'ultima fatica, Fili spezzati, raggiunge un livello molto profondo e coinvolgente di riflessioni e di proposte operative, che provengono dalla loro esperienza, rispetto a domande di aiuto da parte di genitori in crisi, separati o divorziati (come dice il sottotitolo del libro). Ma colpisce anche la profondità, l'intensità e la capacità di coinvolgimento delle storie che vengono narrate. «Gli uomini capiscono per storie" è per gli autori non un ritornello, ma un impegno, e lo mantengono con infrequente passione e coerenza.
«Ogni frase deve andar giù come un bicchiere d'acqua)), cosÌ sostiene Francesco Berto.
Avevo pensato di iniziare la presentazione del loro libro dalle riflessioni; alla fine ho deciso di far incontrare il lettore con questa specificità del loro lavoro, proponendo brevi schizzi: il racconto è lo strumento più incisivo.
Daria è una bambina impaurita che si nasconde nell'armadio, quando papà e mamma litigano; Daria ha con il suo papà momenti di gioco, ma anche di complicità, con quel suo papà allegro fuori e triste dentro casa.
Poi lentamente in casa si spegneranno i litigi lasciando il posto ad un silenzio assordante.
E la madre non urla più, ma si è chiusa nel suo mal di testa, nel suo silenzio che avvolge lei stessa, la casa e la bambina.
Un giorno davanti a una cena fredda, senza amore, dice: «Tuo padre se n'è andato e non torna più».
Oppure la storia di Agnese, che sulla banchina dell'isola di S. Giorgio va incontro radiosa e appassionata alla sua prima relazione, ma anche alla sua prima cocente delusione. E poi la giovane donna dagli occhi tristi inseguirà solo sogni «senza pensarci troppo e passa da un uomo ad un altro, perché i sogni a vent'anni mettono le ali».
E l'ultimo racconto, Eugenia, il più drammatico, perché la violenza esercitata su questa bambina, sottratta ai genitori che si fanno la guerra, andrà incontro solo ad abbandoni e desidererà di morire.
Ecco alcuni cenni di quei racconti, che nel loro essere un unicum ci permettono di vedere le connessioni con storie che abbiamo conosciuto, con dolori che abbiamo incontrato.
Per quel che riguarda le loro riflessioni, gli autori partono da un assunto: è impossibile ormai negare la necessità di trovare teorie e strumenti adeguati ad affrontare la crisi della famiglia.
È necessario chiedersi come gli esseri umani affronteranno una nuova "scelta" di quell'organizzazione, la famiglia, che dura da millenni e, seppur con formule diverse, ha accompagnato «la generazione dei piccoli dell'uomo».
E se per gli adulti è una grave difficoltà la rottura di un vincolo coniugale, o di convivenza, sono soprattutto i figli a dover affrontare un fatto, da loro spesso non voluto, quello di non aver più nella quotidianità la presenza di entrambi i genitori. Questo evento può assumere connotazioni traumatiche se non viene sufficientemente capito ed elaborato, come nel racconto delle fantasie tormento se del piccolo Leonardo.
Al fine di offrire un contributo alla formazione di un nuovo, diffuso e condiviso modo di affrontare questa sofferenza, gli autori propongono il vertice teorico da cui traggono sia modelli di lettura delle esperienze sia le loro competenze operative: quello della psicoanalisi.
Anche da questo punto di vista affermano in primo luogo la necessità di un'attenzione a tutti gli attori di questa drammatica evenienza. È la psicosocioanalisi con le sue teorizzazioni sulle dinamiche gruppali che permette loro di riconoscere sia la sofferenza dell'individuo che della coppia, e anche quella del gruppo familiare che è comunque coinvolto in questa vicenda. «Il trauma diventa segreto familiare - tutto rimane bloccato, perché taciuto per sempre - tutto è pronto a ricomparire nelle generazioni successive». Con ancor più evidenza gli autori fanno riferimento al loro bagaglio culturale quando sottolineano la necessità di considerare gli aspetti inconsci. Parlano allora di inconscio transgenerazionale.
In una proposta di lavoro così fondata sull'elaborazione degli aspetti inconsci, non sono immaginabili, e tanto meno auspicati, interventi diretti o progetti riabilitativi impostati su consigli o addirittura ingiunzioni, come si potrebbe pensare partendo da altre premesse teoriche. «Madri e padri se non viene indagata e svelata l'organizzazione inconscia della "mente familiare" continuano a credere per esempio che il cattivo, il bullo, l'asociale sia il figlio e chiedono perciò all'educatore di farlo cambiare». Un approccio comportamentale è rifiutato anche perché può rappresentare un'ulteriore violenza in questa situazione di crisi.
Al contrario l'idea che esista un "inconscio gruppale" che si articola anche in punti lontani dal fulcro, cioè dell'elemento in crisi, permette agli autori di pensare ad una "funzione genitoriale sociale" - E questo è il pensiero e la proposta "forte" operativa. «Oggi si può quindi parlare di un epocale passaggio dal ruolo genitoriale, iscritto nella realtà biologica, alla "funzione" genitoriale, iscritta invece nella realtà relazionale. È una funzione materna e paterna che va svolta a partire dal principio della solidarietà tra le generazioni» .
Ma è comunque necessario un passaggio, un'analisi delle sofferenze e ambiguità passate, che gravano sulle competenze emotive dei genitori, bloccando quelle "possibilità" di riconoscimento e di competenza necessari in ruoli così antichi e così nuovi. «Madri e padri, differenziando nel loro testo narrativo il passato dal presente, rimettono ordine tra le generazioni. Mamma e papà diversificano i loro patemi da quelli del bambino, attribuiscono un valore alla necessità di ciascuno. I due coniugi divorziati diventano a questo punto capaci di farsi carico da soli di quel ''puer'' che era rimasto bloccato allo stato infantile, che cioè era rimasto senza parole».
Gli autori sono ben consapevoli della centralità della triangolarità edipica, ma anche del fatto che in questo mondo l'unico modello di famiglia non è più quello nucleare.
«La famiglia non esiste più. Esistono invece le famiglie».
Ma se è necessaria una rappresentazione della coppia, come struttura portante della fantasmatica individuale, cosa può succedere quando non fosse più possibile una tale rappresentazione?
Ecco di nuovo una proposta coerente con le premesse teoriche e con le esperienze in questi anni accumulate: la triangolarità necessaria alla crescita del figlio può essere mantenuta da un "ponte virtuale", sul quale il piccolo si avvia fiducioso per transitare da una famiglia all'altra.
«Il ponte è una solida rappresentazione mentale che unisce i due genitori».
Silvia Vigetti Finzi, nella conclusione alla sua prefazione allibro, legge in questo modo il titolo Fili spezzati: «La rottura di una famiglia non genera necessariamente una cascata di disgrazie ( ... ) purché si ammetta il dolore, la fatica e la si affronti con coraggio e intelligenza. Nella convinzione, comune alle modeste rammendatrici di un tempo, che i fili spezzati si possono riannodare e i buchi della tela ritessere, con pazienza, con amore».
Annamaria Burlini
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