Accade che chi si occupa della tutela del minore si prenda carico talvolta di un pezzo della sua storia e della sua difficoltà e non interagisca invece con altri operatori che intervengo sullo stesso bambino/bambina.
Allora la tutela e la cura di quel piccola/a si disperdono e difficilmente servono o risultano efficaci. Questo libro accorcia le distanze tra coloro che si occupano di tutela dei minori. Li fa dialogare e confrontare.
Le curatrici hanno chiamato a raccolta accademici e famiglie solidali, avvocati e operatori, professionisti del sociale e utenti, volontari e specialisti.
Ognuno di loro è una competenza e una risorsa preziosa se si fa rete intorno al bambino.
Già il titolo “il bambino in pezzi”, rappresenta perfettamente come vive il bambino il suo progetto di vita quando imbatte in un percorso di tutela insieme ai suoi genitori, introducendo il lettore subito nei meandri difficili di questi percorsi, senza deviazioni o scorciatoie. Ma non è un’ espressione di accusa o di mera constatazione, anzi è una proposta costruttiva di chiavi di lettura per superare una possibile disgregazione. Il pensiero centrale che tutti gli Autori, da diversi punti di vista, prospettano come focus degli interventi il BAMBINO con i suoi bisogni , desideri, emozioni.… e le sue relazioni, in primis quelle familiari.
Si parte proprio con “La voce dei bambini”, parole lasciate al loro maestro Francesco Berto: i bambini con semplicità e spontaneità comunicano vissuti e sentimenti profondi che “colorano” la loro vita . E continua con la presentazione di diverse storie vissute in diretta intrise di dolore, speranza, risentimento, delusione, paura, errori, ambivalenze da parte di tutti gli attori ma anche affetti profondi, nonostante tutto e contro tutti, il cui filo conduttore è la centralità e la valorizzazione nei percorsi di protezione e cura delle relazioni famigliari, con il coinvolgimento attivo di genitori e figli. Ciò che traspare in ogni Storia riferita è un atteggiamento privo di giudizio né verso gli operatori né nei confronti di queste famiglie che, purtroppo, raramente colgono una relazione di aiuto nel percorso di tutela che stanno vivendo o che hanno attraversato. E’ un interrogativo costante che, nel tempo, mi sono sempre più posta e che dovrebbe essere sempre il focus dei processi di cura a queste famiglie. L’integrazione in questo testo degli aspetti giuridici, pedagogici, sociali e psicologici trovano una vera armonia di approccio rappresentando metaforicamente quello che dovrebbe essere il “gruppo” di lavoro che segue queste situazioni di protezione dei minori. Come nei gruppi di lavoro non sempre si riesce a trovare un’unica “modalità di risposta” ma i punti di vista diversi sono equamente rappresentati con l’unico obiettivo di aiutare ogni singolo bambino a ”ritornare” a dialogare con i suoi genitori “interni” che comunque sono presenti e importanti anche nelle situazioni più gravi di allontanamento. Ho molto apprezzato la sottolineatura della prof. Fava Vizziello di una semeiotica positiva nelle valutazioni dei genitori, superando la idealizzazione e gli stereotipi “del buon genitore” che tanto invadono gli interventi, le relazioni degli operatori e i decreti dei giudici, e che spesso sono intrise di preconcetti e ideologie poco in ascolto di chi è sotto “processo”. Ritengo sempre più, dopo tanti anni di lavoro nei servizi, sia l’unica via per pensare ad una vera costruzione di progetto di aiuto che, con le migliori intenzioni del mondo, non sia solo frutto del pensiero e della professionalità degli operatori perché, se troppo lontano e calato dall’alto, rischia fortemente di essere disatteso se non attaccato dalla famiglia, con conseguenti valutazioni negative sui genitori connotati come “inadempienti”. Solo valorizzando le risorse dei genitori, in quanto tali “competenti”, perché più di tutti hanno vissuto relazioni intime e profonde con i loro figli, pur senza negare i loro limiti e mancanze, si può ottenere una vera alleanza terapeutica e una attiva collaborazione ad un progetto di “riabilitazione” in cui accanto al pensiero di tanti “tecnici” trovi voce anche “il sapere dell’intimità”. Ben rappresenta Ombretta Zanon questa difficoltà di vera integrazione dei diversi interventi nei percorsi di tutela e propone come tentativo di risposta la teoria ecologica della mente che vede la crescita e il benessere dei bambini come un processo globale sistemico.
I livelli di sofferenza e di patologia relazionale a volte sono molto elevati e toccano le corde emotive più profonde di ciascuno per cui Paola Scalari evidenzia la sovraesposizione degli operatori della tutela sia al dolore dei bambini, sia dei genitori , spesso minacciosi, ambigui, combattivi tra incertezze, paure, senso di impotenza avendo la enorme responsabilità di garantire una crescita sufficientemente buona a bambini che vivono in contesti familiari in modo diverso ”incompetenti” nello sforzo continuo di attivare tutte le risorse possibili.
Ciò che permea ogni parte del testo è l’importanza dell’ascolto empatico che non si deve confondere col buonismo ma è frutto di una formazione continua e richiede un’alta professionalità per reggere l’impatto emotivo di questo lavoro. Interessante a tal proposito il capitolo “entrare nelle case” in cui Francesco Randon rappresenta la figura e il ruolo dell’educatore domiciliare, che vive in diretta e per tempi prolungati la realtà di famiglie in crisi e bambini in difficoltà “dentro le famiglie”, con l’obiettivo di ridare fiducia a tutti di poter crescere insieme, cercando di cambiare ciò che ha determinato la crisi in cui sono incappati e da lì ripartire per un cammino diverso e condiviso. Emerge come importante che tale ruolo sia educativo, cioè privo di giudizio e pregiudizio, e invece ricco di speranza e di fiducia, di rivalutazione di tempi e modi per riprendere a crescere insieme. Troppo spesso invece si sta assistendo nella pratica quotidiana ad un travisamento di tale ruolo e queste figure sono “inserite” come controllo e verifica della situazione. Le famiglie e i bambini colgono immediatamente questo doppio mandato, allertati come sono da quanto accade intorno e dallo stravolgimento di vita che determina un percorso di tutela. Ma questo è anche il motivo del fallimento di molti interventi domiciliari, camuffati come educativi, ma di fatto con finalità di controllo e verifica.
La voce dei bambini in ambito dei percorsi giudiziari è ancora flebile e, sul piano della realtà, spesso inquinata da modalità non sempre rispettose dei suoi tempi e delle sue esigenze, banalizzate troppo di frequente, per cui per ascoltare un bambino basta avere un po’ di esperienza con bambini! La dott.ssa Daniela Catullo presenta un preciso contesto giuridico di tale intervento in ambito civile e presenta varie proposte di Accordi/Carte emanati in questi ultimi anni, che necessitano ancora di una attenta revisione scientifica e di un recepimento istituzionale.
Il porre al centro la voce dei bambini, che desiderano avere una mamma e un papà che li aiuti a crescere e li sostenga, permette il superamento della ormai routinaria valutazione delle capacità genitoriali che tanto ha invade questa area di interventi per proporre invece una valutazione delle risorse genitoriali, partendo da ciò che i genitori stessi sentono di possedere. Gli operatori possono accompagnarli a vedere anche le loro carenze dando, contemporaneamente, sostegno e supporto e non solo fermandosi alla valutazione/giudizio. Il grande limite e la difficoltà dei servizi tutela è proprio sentire il loro compito solo come giudizio, un “obbligo” su mandato dell’AG tale da far ritenere quasi impossibile la relazione di aiuto. Da questo testo, invece, emerge come da una buona valutazione, condivisa e integrata tra famiglia e istituzioni che veramente ponga al centro i bambini, si possa arrivare al sostegno della genitorialità fragile con modalità e percorsi diversi.
Un leitmotiv di tutto il libro è che la condivisione di un processo integrato non significa appiattimento su alcune posizioni ma invece valorizzazione di ogni punto di vista: è importante che “ognuno faccia il proprio mestiere” e , quindi, gli operatori dei servizi della tutela, pur con un mandato dell’A.G. sono e devono restare operatori dell’aiuto e della cura, sempre e comunque. Così gli operatori della giustizia debbono fermarsi al loro ruolo e non sconfinare in altri, specialmente nell’ascolto del bambino, che ha un suo funzionamento e una sua linea di sviluppo affettivo e cognitivo che è fondamentale conoscere e rispettare. Ma anche la famiglia deve trovare il proprio ruolo senza sostituirsi a nessuno in piena collaborazione e con l'unico obiettivo che è il bene dei figli. Molto articolato e ricco di spunti sia teorici che applicativi il capitolo di Paola Baglioni che, partendo dalle Linee Guida 2008 della Regione Veneto per i Servizi Sociali e Sociosanitari. La cura e la segnalazione (a cura dell’Ufficio del Pubblico Tutore del Veneto col contributo di operatori dei servizi e della Procura Minori e dei Giudici del TM), propone una analisi del valore del Progetto Quadro, inteso come “traduzione “ in termini operativi di un progetto integrato servizi- famiglia che contenga comunicazioni chiare, sia come valutazione nel qui e ora sia come prospettiva prognostica, tali da poter mettere l’Autorità Giudiziaria nella condizione di prendere decisioni, supportate da informazioni contestualizzate nella storia di quella famiglia. Sulla stessa linea la Dr. Campolucci, nella veste di Giudice onorario, ma con una precedente importante esperienza di operatore sociale, presenta con chiarezza questa figura e la sua funzione di integrazione sinergica tra diritto e scienze umane che, pur con modelli di riferimento diversi, devono poter dialogare verso l’unico obiettivo che è la protezione del minore nei procedimenti di tutela.
Molto attento e ricco di spunti deontologici il capitolo dell'avvocato Elisabetta Mantovani, che rappresenta in modo chiaro ed efficace l'evoluzione del ruolo dell'avvocato della famiglia, che raccoglie la voce del bambino, senza sentirlo direttamente, ma attraverso un atteggiamento di attento ascolto dei racconti familiari da parte dei genitori. “La sua azione guidata sì dal principio di legalità deve però anche tener conto del principio di beneficità, per cui pur nel pieno riconoscimento dell'autonomia e indipendenza dell'avvocato nel rapporto con la parte assistita, non dovrebbe mai essere scisso dal quadro complessivo delle relazioni familiari complesse per salvaguardarle e superarne le disfunzioni. Questo potrebbe anche contemplare la impossibilità ad accogliere “sempre e comunque”, acriticamente, il punto di vista del cliente, per saperlo ridefinire ed anche contrastare fino alla rinuncia del mandato.” Riconosco nella posizione del legale un elevato valore etico e penso che dovrebbe essere fatta propria anche da molti consulenti di parte per evitare quelle situazioni di valutazioni infinite in cui i bambini sono dilaniati e ridotti “in pezzi”. A tal proposito anche la dr.ssa Apostoli sottolinea in veste di una sua esperienza come CTU dell'importanza e complessità del lavoro con i servizi, che ancora non riesce a trovare una sintesi tra aspetti valutativi e di cura. A questo proposito da anni molti Autori, tra cui vorrei ricordare Dante Ghezzi, danno come superata questa antitesi presentando un modello di intervento che, pur su mandato valutativo dell'A.G., si propone fin da subito come intervento di cura delle relazioni familiari.
E’ un testo che la prima volta si legge tutto d’un fiato ma che poi diventa secondo me un libro da tenere nel cassetto del tavolo di lavoro per consultarlo, fermarsi a ripensare prima di un colloquio o prima di scrivere una relazione all’A.G., quando ci si sente soli e investiti di grande responsabilità, specialmente in questi tempi di iso-risorse e quasi sempre senza supervisione e con spazi ridotti di condivisione di equipe.
E’ un testo “apripista” che attiva tanti pensieri ed emozioni, e in me ha fatto riemergere tante storie . Concludendo direi che è un testo che avvia la riflessione, la messa in discussione e come dice Luigi Pagliarani,
Porsi delle domande è utile senza la fretta di far affiorare le risposte. E' dalle domande che sorge la possibilità della scoperta. Di quella di noi stessi in primo luogo.
In queste situazioni credo bisogni entrare in punta di piedi, con umiltà rispetto e tanta professionalità come gli Autori di questo interessante testo e con la certezza che solo “insieme” si può tenere unite tutte le parti.
Maria Elisa Antonioli psicologa-psicoterapeuta
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