Giulia Rossetto, psicoterapeuta
Il titolo di questo ultimo libro scritto da Paola Scalari e Francesco Berto mi ha colpito subito, poiché sebbene costituito da due frasi diverse, per impatto, finalità e tipo di comunicazione, si comprende subito come esse siano visceralmente legate. Il lettore che ne scotomizzasse una per sposare completamente l'altra, in realtà, non commetterebbe solamente un errore di omissione, ma altererebbe, in qualche modo, uno dei contenuti fondamentali del testo.
Infatti si ha subito la sensazione che la scientificità del titolo non possa prescindere dall'impatto emotivo della frase che lo segue, che a sua volta per essere compresa necessita del rigore teorico della prima. In questa ottica tutti i capitoli del libro sono introdotti da due citazioni uguali e contrarie di bambini e padri della psicologia, che con voce accorata accompagnano il lettore al testo. Esso si presenta subito, quindi, come un susseguirsi di significanti e significati imprescindibili l'uno dall'altro, che gli autori ci ricordano continuamente essere le due facce di una stessa medaglia ovvero la relazione con l'altro. Solamente questo motore unico, viene descritto come il vero e proprio codice genetico nucleare dell'apprendimento che diventa il prodotto comune di ogni azione educativa, formativa e di cura.
Il vincolo relazionale, nella sua accezione più amplia di "porta di senso" è proposto in tutto il testo come la vera risorsa educativa, che permette a tutte le persone coinvolte, sebbene nel rispetto e nel rigore dei diversi ruoli e delle sue assimetrie, di conoscersi, attraversarsi e generare un prodotto originale che prevede il cambiamento di tutte le parti in scena. In un susseguirsi infinito di assimilazioni e accomodamenti, tra le pagine di questo testo si intrecciano i vissuti di educatori, formatori, psicoterapeuti, insegnanti, bambini, adolescenti, pazienti, figli e risulta evidente come nell'attraversare le loro storie e le loro specificità all'apparenza così diverse, gli autori ci mostrino come, in verità, la via da percorrere sia sempre la stessa: il processo come risorsa unica e inequivocabile di cambiamento, al quale affidarsi senza paura per poter tessere con l'altro una relazione libera che permetta a tutte le parti in causa di pensare, di crescere e di divenire ciò che veramente si è, senza la necessità claustrofobica di costringere il tutto in un legame che consumisticamente miri ad ottenere il miglior risultato nel minor tempo possibile. In questo senso, penso che questo testo sia in qualche modo un coraggioso tentativo di andare controcorrente, in una società dove troppo spesso le agenzie educative sono alla ricerca esasperata di fornire soluzioni efficaci , risposte univoche, ricette preordinate da applicare universalmente. Il trionfo della relazione sulla regola preordinata, però potrà avvenire solo se esiste davvero la capacità da parte di coloro che hanno il ruolo di educatori, di rendere solido il contenitore, il ring, nel quale il processo si manifesta, facendo in modo che tutti gli attori in gioco si possano sentire allo stesso tempo protetti, ma non placati, pensati ma non costretti, importanti ma non onnipotenti. La difficoltà, quindi, di poter costruire una buona sintonia relazionale con un altro individuo, è proprio quella di sposare un pensiero dell'essere e abbandonare quello dell'avere, per potersi proporre come interlocutori che incentivano la scoperta di nuove strade, autentiche, e non stereotipate, che permettano all'altro di pensare, di prendersi le proprie responsabilità, di sperimentare la propria autonomia. Solo così, nel momento in cui si potrà rinunciare alla tentazione di contrapporre narcisisticamente la propria visione a quella dell'altro, si potrà vincere la paura dell'ignoto, superare il consueto, e liberare quindi ogni processo vitale di apprendimento.
L'occhiale psicosocioanalitico che gli autori, fin dal titolo, ci dicono aver indossato, ricorda poi come tutto ciò non valga solamente per i singoli individui in relazione, ma si riverberi e si amplifichi quando guardiamo ai gruppi e alle istituzioni che compongono la nostra società, dove proprio l'incapacità di fidarsi dell'altro, la necessità di proiettare all'esterno le proprie paura distruttive, senza essere più in grado di giocarsi su un terreno fertile e protetto, ci mettano davanti a situazioni sempre più patologicamente stereotipiche che non permettono la germinazione creativa di pensieri e azioni diverse. E proprio per ricordarci, secondo me, l'importanza di non scordare mai quale sia il compito che ci guida nella nostra azione educativa, e allo stesso tempo per non dimenticare come sia proprio l'incontro con l'altro a permettere un buon atto creativo, che questi due maestri di vita nella pagina iniziale del libro dedicano il loro lavoro ai loro alunni, come a mettere ancora una volta l'accento su come il vincolo che lega i diversi anelli sia la vera forza ed essenza della catena.
Giulia Rossetto, psicoterapeuta
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