“Ascoltare una persona non è essere passivi. L’ascolto vero è attivo, e Dottie aveva ascoltato davvero.”
(Elizabeth Strout - Tutto è possibile)
Ogni libro ha un suo carattere, e come le persone le devi saper prendere. L'ascolto del paziente richiede una cura e un’andatura a passo lento, perché tenta l’ardua descrizione di quello di unico e irripetibile avviene nell’incontro con le sofferenze dei pazienti, conosciuta ed esplorata attraverso il modo di essere dell’analista nella stanza di analisi. Sappiamo che tale incontro è vicino più all’indescrivibile e presenta caratteristiche di estrema complessità.
I capitoletti, in ognuno dei quali c’è una vignetta clinica, sono composti da materiale denso e quindi sono concepiti come una sosta per rifiatare, ripensare a quanto visto e conosciuto, prima di riprendere il cammino.
Si ha l'impressione che scrivendo il libro l’Autrice abbia fatto un grosso lavoro di sottrazione. Sono tante le cose non dette. C’è tanto nel libro, ma c'è anche tanto che non c’è, ma si sente.
L’implicito, nello spazio di condivisione della lettura, spinge a colmare i contenuti insaturi, avvicinandoci continuamente ad es. ai tanti aspetti del nostro lavoro con i pazienti, al rapporto conflittuale o critico con i nostri gruppi interni, alle nostre formazioni con analisti, alle supervisioni, al rapporto con i colleghi alla pari, a quelli con l’Istituzione.
L’universo sonoro del libro è come un Adagio costellato da linee e forze che si scontrano, muovendosi verso l’essenziale, il misurato, il fruibile, tendendo ad affermare il possibile senza alzare la voce, perché ci si tiene a debita distanza da polemiche o dall’uso di parole contundenti come quelle delle categorie diagnostiche. Piuttosto a volte nella partitura viene privilegiato il silenzio e la discrezione, diventando il testo isomorfico all’argomento che tratta.
Si descrive un terapeuta come garante dello spazio in divenire, che sa attendere, sa sopportare il volto notturno della presenza, sa fare l’esperienza della non conoscenza e della nudità di spirito come condizione di un vero incontro con l’altro. “Se sono vuoto di tutto, è per essere meglio in attesa di voi” dice un personaggio di Paul Claudel.
In questo caso la figura è il processo terapeutico, il rapporto sempre diverso con il paziente, lo sfondo è rappresentato dai suggestivi riferimenti alla grande esperienza teorico-pratica della psicosocioanalista, dai tanti maestri incontrati o studiati e riferiti nella Bibliografia.
C’è lo spazio della relazione con il pz di cui prendersi cura, e che si prende cura di noi. L’ascolto come oggetto e soggetto della cura. L’ascolto come oggetto delle cure perché è nelle relazioni che è avvenuta una qualche disfunzione o deficit da ascolto.
Qui non ci sono verità da affermare, lo scopo è quello di avviare un processo onirico condiviso, in cui il paziente possa trovare una narrazione comunicabile, qualcosa a cui prima non riusciva a trovare alcun significato.
A mio parere, l’aspetto pregevole del libro sta nell’ascolto etico e compassionevole dell’autrice nei confronti delle vicende umane narrate.
A fine immersione della lettura ci si sente grati nei confronti di Paola Scalari, come dopo aver perlustrato con curiosità e la paura di perdersi, un percorso di montagna, rivitalizzando, con l’aria pulita respirata, la passione e la bellezza del nostro lavoro.
Vito Calabrese
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