“Ego nec sine te nec tecum vivere possum”
“Né con te posso vivere, né senza di te”
Ovidio, Amores, Liber III, XI, 39
L’incontro con questo libro è nato da un atto mancato: è stato solo dopo averlo acquistato che mi sono reso conto di aver scelto lo scritto “che non desideravo”. Come spesso accade, però, è proprio dagli incontri più o meno inaspettati che si aprono nuove scoperte e si accede ad uno spazio che segretamente eravamo già pronti ad esplorare. Così, la lettura di “Mal d’Amore” inizia tra titubanze e ripensamenti, le prime righe si inceppano, non scorrono, vengono rilette tra sbuffi e continui “apri e chiudi”.
Quelle relazioni caotiche, quegli intrecci familiari confusi e invischiati così crudamente e chiaramente descritti richiedono del tempo per poter essere elaborati e accolti. Si, perché in quel “mal d’amore” ci ritroviamo presto immersi, come professionisti, come pazienti e, ancor prima, come esseri umani. In quelle pagine, che chiedono attenzione, curiosità e disponibilità alla messa in gioco, è possibile ri-conoscersi e ri-conoscere l’altro. Come singoli. Come coppie. Come famiglie. Come genitori e come figli. E, infine, anche come gruppi, poiché il “mal d’amore”, se non viene riconosciuto e sanato, non solo corrompe il presente, ma è in grado anche di trascendere i confini delle generazioni, in una continua risacca che procede di genitore in figlio. Perché quel “mal d’amore” altro non è che una catena, un vero e proprio guinzaglio che non permette di crescere e scoprirsi, di apprezzare l’alterità e il diverso, di diventare, in ultima istanza, adulti.
Inizialmente con una certa esitazione e poi con sincera curiosità, ci si domanda fin dai primi capitoli che cosa sia questo “mal d’amore”. Per comprenderlo, il libro ci porta a intraprendere un percorso in salita ed è associando le parole che leggiamo alle nostre esperienze di psicologi, psicoterapeuti, professionisti in generale della salute mentale e, soprattutto, di persone che ogni lettore può trarre il proprio senso di cosa sia questa malattia dei legami. “Né con te posso vivere, né senza di te” credo possa essere considerata l’essenza di cosa sia il “mal d’amore”, in cui rapporti immaturi ristagnano tra l’incudine della dipendenza dall’altro, come oggetto che gratifica i propri bisogni infantili mai soddisfatti, e il martello che con violenza schiaccia e annienta qualsiasi traccia del diverso, poiché riconoscere l’alterità comporta un processo di separazione in cui bisogna fare i conti con le proprie paure a angosce di esclusione e solitudine. Il tacito patto che lega due amanti psichicamente puerili, e la famiglia che ne può derivare, si basa su un gioco perverso, in cui ciascuno sembra inconsciamente ripetere un mantra: “Senza di te io non sono nulla, ma con te rischio di diventare qualcuno”.
La sensazione che ho tuttora, mentre scrivo queste righe, è che “Mal d’Amore” sia uno di quei testi in grado di trascinare chi legge nell’esperienza stessa che così nitidamente e schiettamente descrive. La sua lettura ha portato con sé, in un gioco di proiezioni, sentimenti ambivalenti: ritrovarsi tra le pagine e dare un senso ai propri vissuti reca sollievo e una piacevole sensazione di libertà, ma al contempo fa emergere rabbia, paura, colpa e impotenza. Nel corso della lettura ci si sente portati a chiedersi: “Ma che cosa si può fare per guarire questo mal d’amore?”. Ci si sente appesi a un filo, una speranza flebile, ma accessibile che prima o poi una soluzione possa arrivare. Bisogna attendere la fine e aver attraversato un lungo, tortuoso e doloroso percorso tra i capitoli per poter riemergere e respirare a pieni polmoni una boccata di fresche possibilità.
Per sanare questo malanno delle relazioni, occorre in primo luogo riconoscerne i segni su di sé. Occorre ripensare, senza preconcetti e in modo autentico, alla propria storia familiare. Occorre trovare una narrazione sincera della storia del proprio gruppo familiare e della coppia. Questo lavoro, complesso e spesso difficile da realizzare, non può prescindere dall’idea che è il gruppo, in primo luogo, a dover essere oggetto di attenzione, poiché nessun individuo preso singolarmente è così “folle” come il gruppo nel quale si ammala.
Porterò con me quanto ho appreso dall’esperienza di questo libro. Si dice che anche l’apprendimento porti con sé una quota di dolore: bisogna perdere qualcosa per far spazio al nuovo. Ma è nella perdita che possiamo sentire la mancanza e tornare a desiderare. E questo, in fondo, è proprio ciò che ci permette di affrancarci dal mal d’amore: sviluppare la capacità di sentirsi vivi e desideranti.
Mattia Giuliani - III Anno COIRAG
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