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I BAMBINI DEL DUEMlLA

La psicologa Paola Scalari spiega Ie conseguenze del diverso modo di intendere gioco e socialità nell'infanzia in questi anni.

I bimbi d'oggi? Si allenano POCO a diventare grandi.
Giocano poco, in libertà, con i coetanei, e sempre più hanno fa giornata regolata dagli adulti. Non imparano COSt a gestire i conflitti tra di loro e difettano di fantasia. Sono molto più abili nel fare Ie cose, ma faticano a riconoscere un limite dell'io.


I bambini di oggi? Si allenano poco a diventare grandi. A prima vista questa affermazione sembra paradossale ed erronea. Ma come? Proprio oggi che c'e ogni opportunità per imparare? Proprio oggi che conoscenze e tecnologie sono sempre più larghe di manica e basta applicarsi un poco per crescere?
Bimbi sotto controllo. Eppure e così. Ma per capirlo bisogna guardare Ie cose da un altro punto di vista. A partire da un'osservazione: i bambini nati negli anni Duemila giocano molto di meno con i loro coetanei rispetto a quelli di una 0 due generazioni precedenti.
Il che, certamente, succede perché oggi i bambini sono meno rispetto ad un tempo. Ma il calo demografico e solo uno (e forse non il principale) motivo del cambiamento. Ma succede anche che, causa lavoro, mamme e papà partono al mattino alle 8 e tornano alIa sera alle 18. E intanto i piccoli sono perlopiù affidati a nonni, baby-sitter e, d'estate, ai centri comunali. E Ie strade e i giardini sono ritenuti pericolosi per starci senza controllo ...
Quel che succede lo spiega la psicologa e psico-pedagogista mestrina Paola Scalari: «Il gioco libero e spontaneo, cioè la banda che si organizza, il gruppo di ragazzini del cortiIe che va a fare il giro in bici per esplorare il territorio sta concludendo quasi completamente la propria esistenza».

C'e sempre un adulto a mediare. Il gioco libero e spontaneo, in strada, in cortile o in calle, è stato quasi spento dalla complessità della vita e dalIe sue agende sempre piene di impegni, con i bambini super-occupati tra lezioni di chitarra o di danza, di inglese o di judo ...
Cos'e cambiato? «Che un tempo i bambini si auto-organizzavano il gioco, per cui mettevano in pratica delle esperienze e delle competenze che sono fondamentali per la crescita. Come creare gruppo (per fare la partita), mediare Ie posizioni di ognuno (stai in porta tu, poi ci sto io, altrimenti il gioco non parte), apprendere dai più grandi (c'era sempre il più grandicello, da ammirare e suI quale un po' modellarsi), gestire i conflitti».

Quel che si è perso, quel che si è guadagnato. Tutto ciò e stato via via sostituito da attività organizzate dagli adulti: «Attività - prosegue la psicologa - che sl vedono i bambini insieme, ma li vedono sotto l'egida di un adulto che propone, dispone, controlla, gestisce i contrasti, mette Ie sue regole ... Il punto è che i bambini sono meno abituati a regolare Ie relazioni fra di loro e cos1, se si trovano fra di loro senza mediazione di adulti, si sentono molto imbranati. E questa e una perdita di competenza».
Certo, ne hanno altre: «Sono molto più abili nelle attività, sanno molte più cose, sono abituati a stare con gli adulti ... ».
Ma non e che quella competenza di base sia così facile da recuperare: «Perché l'organizzare il gruppo, il sapere che vincere non vuol dire sopraffare l'altra squadra, perché poi capiterà a te di perdere e non ci sarà un adulto che ti difenderà: tutte queste cose non sono facilmente recuperabili in epoche successive».
Ognuno vuole vincere da solo. Le conseguenze di questo assottigliato allenamento? Si vedono negli atteggiamenti che Ie nuove generazioni di giovani hanno: «Ciascuno pensa di essere nel giusto e fa fatica a mediare con l'altro, la fantasia latita e la "gregarietà" sembra essere lesa maestà ... Insomma: ognuno vuole vincere per conto suo. E con poca fantasia».
Non e che i ragazzi degli anni Duemila non siano capaci di immaginare il mondo - tira Ie somme Paola Scalari - «ma non più con Ie modalità di un tempo, cioè con la creatività a partire dal limite. Oggi i ragazzi sviluppano una certa creatività, ma faticano a stare dentro al limite, perché pensano di poter avere molto di più o addirittura tutto a disposizione. Ma il senso del limite e un ingrediente fondamentale nella ricetta che serve per diventare grandi davvero».
Giorgio Malavasi

GV14

Suggerimenti Per liberare iI gioco

    1. Aprire di più le case: gli inviti a casa per giocare sono sempre una bella cosa. Anche se causano un po' di disagio e baraonda.
    2. Sostenere Ie relazioni di buon vicinato con genitori che abbiano anch'essi figli piccoli. Può costare un po' di fatica, ma giova ai nostri figli.
    3. Invitare i figli a inventarsi un gioco, dando qualche spunto (senza però rimanere imprigionati a fare i "giocattoli"). Gli inviti spesso non vanno in porto, ma qualche segno lo lasciano.
    4. Caldeggiare il gioco nel patronato parrocchiaIe. II problema, a volte, e portare e andare a prendere i figli, ma ci si può accordare con qua1che altro genitore.
    5. Verificare se, nel limite del possibile, i nonni o Ie baby-sitter possono accollarsi il peso di controllare anche un altro bambino, oltre al proprio.


      Scalari: Patronati e ludoteche per iI bisogno di gioco libero dei bimbi.
      «Ritroviamo spazi dove i piccoli imparino a giocare anche da soli»

      E' necessario che ritroviamo degli spazi dove i bambini imparino a giocare anche da soli, senza la mediazione continua di un adulto»: lo dice la psicologa Paola Scalari, che invita a recuperare una dimensione che la complessità della vita attuale ha messo in un angolo: il gioco libero e spontaneo.
      Quel gioco che la complessità della vita odierna ha reso più difficile. Inutili, pero, Ie nostalgie sui buoni tempi andati: non torneranno più e non ha senso piangerci sopra. Utile, invece, tener presente che ci sono anche dei vantaggi legati al modello attuale delle relazioni e del modo di vivere. Per cui certamente abbiamo perso qualcosa, ma abbiamo anche guadagnato cose cui non rinunceremmo.

      Quanto pesa un pugno.
      Importante, in ogni caso, cercare di recuperare, con modalità nuove, ciò che di buono, dal punto di vista educativo, era nella tradizione.
      Nel caso dei bambini, appunto, i vantaggi del gioco libero: «Questo recupero - riprende Paola Scalari - sarebbe molto terapeutico, perché renderebbe i bambini meno nervosi, meno agitati, più capaci di collaborare e maggiormente conoscitori dei propri stati emotivi. Se tu giochi da solo con i tuoi amici, infatti, devi diventare responsabile delle tue emozioni. Perché se tu ti arrabbi molto e dai un pugno ad un compagno di giochi, rischi di pagarla poi carissima. Oggi, invece, succede perlopiù che c'e un adulto che ti blocca e quindi non ti fa pesare Ie ripercussioni di quel pugno».
      Ripercussioni apparentemente pesanti, ma in realtà educative, perché danno al bambino la giusta dimensione di se, il senso del limite di ciò che può o non può fare.

      Spazi e tempi per il gioco libero.
      E questa consapevolezza si costruisce un po' per volta, fin dall'infanzia. Questo passaggio educativo, una volta perso, difficilmente verra recuperato, sostiene la psicologa: «Penso che spontaneamente non lo si recupererà. Perciò credo che Ie strutture educative debbano prevedere degli spazi di gioco libero, dove la funzione dell'adulto non è quella di organizzare il gioco, ma di garantire ai bambini uno spazio e un tempo per inventarsi i propri giochi. E' stata questa d'altronde, la filosofia dei laboratori, quando in città (Paola Scalari e stata responsabile dei Centri età evolutiva del Comune di Venezia, ndr) abbiamo potuto aprire i laboratori creativi per i bambini».
      Ma non potrebbe essere la famiglia a investire di più nel gioco libero? Forse aprendo di più Ie porte della propria casa? O forse cercando accordi fra genitori senza troppo invischiarsi negli equilibrismi diplomatici tipo "ho paura di disturbare mandando mio figlio a casa tua"? O infine chiedendo ai nonni o alle baby-sitter di agevolare la spontaneità del gioco?

      II ruolo dei patronati (purché non imitino Ie società sportive).
      «La famiglia - dice la Scalari - può fare qualcosa, ma non riesco a immaginare che possa fare molto. Credo che un maggiore spazio ce l'abbiano Ie istituzioni civili, pubbliche e private».
      I patronati, per esempio secondo la psicologa - possono giocare un ruolo ancor maggiore di oggi e molto importante: «Quel che conta, pero, e che non imitino Ie associazioni con fini specifici (arte, musica, sport). Cioè che non si mettano a strutturare e organizzare fin nei dettagli attività di calcio, basket, danza ... Più utilmente, invece, possono aprire degli spazi perché i ragazzini possano giocare liberamente, in una certa fascia oraria; con l'unico impegno della custodia, affinché i bambini non si facciano male. E' grazie a questi spazi che possiamo offrire di nuovo ai più piccoli una capacita di misurarsi in autonomia e con responsabilità. Perché il gioco libero e comunicazione, conoscenza di se, apprendimento del limite e della socializzazione. Non goderne e una perdita». (G.M.)

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      Paola Scalari
      è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
      Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
      Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
      Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
      Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

      Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
      La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
      Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
      Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
      A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

      "Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.