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Pubblicato sul portale

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A scuola, al parco giochi, alle feste di compleanno capita spesso che i bambini inizino a litigare, a farsi i dispetti e che poi magari si prendano a 'botte'. Tra i genitori, di solito, ci sono due atteggiamenti: quelli che pensano sia giusto intervenire per sedare la piccola 'rissa' e quelli che invece pensano sia giusto 'che i bambini se la vedano da soli'. I consigli ai genitori di Paola Scalari, psicoterapeuta.

di Marzia Rubega

Litigi tra bambini di età prescolare

Un gruppetto di bambini intorno ai 4-5 anni gioca al parco accumulando legnetti per allestire una zona 'campeggio con fuoco'. Improvvisamente, le voci allegre si trasformano in urla di disappunto: un compagno ha strappato un ramo dalle mani di un altro, così l'attività si è interrotta in modo brusco ed è scoppiato un litigio.

Tra bimbi in età prescolare, episodi analoghi, con una girandola di varianti sul tema, sono piuttosto diffusi. Un momento prima regna la pace e poi, nel giro di una manciata di minuti, sembra quasi che i due amichetti non si sopportino più.

1) Non intervenite subito, abbiate fiducia

Di fronte ai piccoli litigi dei bambini è meglio che i genitori non intervengano "perché il bimbo è competente e sa trovare da solo, in modo creativo, le sue soluzioni se l'adulto non interviene", dice Paola Scalari, psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, specializzata nei rapporti genitori-figli e autrice di numerosi saggi su questi temi.

"Nella fascia di età prescolare, è normale e fisiologico che i bimbi litighino tra loro, perché devono ancora prendere le misure tra il piacere del gioco insieme e il loro egocentrismo.

Spesso, invece, il genitore che interviene trasforma un normale litigio tra compagni in un caso di 'lesa maestà' al figlio. In questo modo, il bimbo penserà di avere il diritto che il mondo si prostri ai suoi piedi", dice la psicoterapeuta.

2) Se temete che si possano fare male, avvicinatevi in silenzio

In un caso tipo quello del parco, se la mamma vede che il litigio sta degenerando, e teme che qualcuno possa farsi male, "allora è bene che si avvicini fisicamente al luogo dello scontro", dice Scalari.

"Se il genitore, per esempio, è seduto su una panchina, deve alzarsi, andare vicino ai bambini e guardarli, far capire che li teneva d'occhio, ma in silenzio, senza intervenire a parole.

Non deve, di fatto, togliere ai bimbi la possibilità di trovare una soluzione. Lo sguardo dell'adulto è contenitivo, e può essere anche severo per rimproverare se occorre su quanto sta accadendo,", dice la psicoterapeuta.

3) I bimbi passano alle mani? Separateli e non colpevolizzate nessuno

Quando il tono della lite rischia di diventare un po' troppo irruento, l'adulto dovrebbe avvicinarsi, sempre in silenzio e separare i bambini coinvolti.

"In tutto ciò, è molto importante che l'adulto non colpevolizzi nessuno. Dovrebbe, invece, dire ai bimbi, una frase del tipo: 'Adesso, giocate un po' da soli, fate una pausa e poi vediamo!'", suggerisce la psicologa.

4) Spronate i bambini alla riflessione, evitate le frasi cliché

Secondo la psicoterapeuta, meglio invece evitare le classiche frasi cliché: 'Non devi picchiare il tuo amico!'; 'Dai, smettila, cosa hai fatto?'; 'Non litigare!'

Perché? Quando si cerca di reprimere un atteggiamento che non viene prima educato, appena la mamma si volta, il bimbo si azzuffa. Basta che l'adulto sia fuori dal campo visivo, e il bimbo dà e un calcio o un morso al compagno ...

"Il genitore deve dare spazio alla riflessione del bimbo, spronarlo a pensare".

La repressione di un gesto di aggressività, peraltro naturale in questa fase, ottiene l'effetto contrario, quello di farla esplodere", spiega la psicologa.

5) Il compito del genitore è quello di regolare la lite, non di punire

In sostanza, per Paola Scalari, quando il litigio tra bimbi assume toni più forti, il genitore dovrebbe dividerli e agire in modo da regolamentare l'episodio senza punirli. È invece importante, invitare, per esempio, i bimbi ad andare in angoli lontani dell'area di gioco per riflettere.

"Così, si offre ai bimbi di 4-5 anni l'opportunità di capire come giocare insieme evitando il conflitto e, al tempo stesso, li si aiuta a trovare una terza strada.

Il gioco per ogni bimbo è come il cibo e l'aria, è fondamentale per il suo benessere psicofisico e questo significa che, alla fine, lui stesso accetterà di rinunciare a una parte del suo egocentrismo. Perché è più importante giocare e avere il primo amico del cuore, tutto ciò è una grande palestra delle relazioni".

6) La lite tra bambini non è uguale a quella tra adulti

Spesso, di fronte a queste liti tra bimbi in età prescolare, l'adulto reagisce, in prima battuta, dicendo: 'Ma dai, non fare così, devi essere amico di tutti!'.

Un'affermazione che non ha nessun senso, secondo la psicologa, perché già a questa età è normale che ogni bimbo abbia le sue preferenze e le cambi anche abbastanza velocemente (oggi l'amico del cuore è Marco, domani, invece gioca solo con Tommaso).

La sana aggressività è una tappa della crescita e il narcisismo che, a volte, porta a situazioni di scontro è 'normale', parte strutturale del bimbo in questa fascia d'età.

"L'adulto, invece, spesso, legge questi momenti di scontro tra coetanei colorando quel litigio con la sua tavolozza emotiva.

Questo è un fraintendimento perché non bisogna confondere una situazione propria dell'infanzia con il desiderio segreto di 'cancellare' il collega di ufficio", dice la psicoterapeuta.

In altre parole, il genitore non deve valutare le liti tra bimbi trasferendo i sentimenti negativi che prova lui come adulto quando litiga con qualcuno.

 

Litigi tra bambini della scuola primaria

7) Scontro tra maschi e femmine: corteggiamento mal gestito. Meglio il non intervento

Nel corso della scuola primaria, spesso, liti e dispetti di varia natura, diventano molto più frequenti tra compagni di sesso diverso. Un esempio?

Nei corridoi della scuola, un ragazzino intorno agli 8 anni ha uno scontro con una compagna e si prendono 'a sberle'. Un'altra compagna lo riferisce alla maestra che sgrida entrambi. La mamma della bambina vede la figlia uscire dalla scuola in lacrime e decide di telefonare alla mamma del bambino. Che a sua volta chiede spiegazioni al figlio. I due bambini danno versioni diverse su chi ha iniziato. L'episodio si trasforma in una sorta di serie a puntate: la mamma della femmina non crede alla versione del bambino e lo sgrida di nuovo quando è da solo, all'uscita da scuola.

"Un caso di questo tipo, piuttosto diffuso in questa fascia d'età, rappresenta, di frequente, una scena di corteggiamento mal gestito. Il messaggio, in qualche modo, è 'guardami', 'vorrei che tu mi notassi'...

La classica lotta in spiaggia tra preadolescenti, in realtà, è un corpo a corpo. Ora, tutto questo è anticipato e già a 8-9 anni, avviene la scoperta della corporeità dell'altro", dice la psicologa. Anche in questo frangente, l'adulto non dovrebbe intervenire per lasciare ai figli la possibilità di gestire i sentimenti e imparare a cavarsela un po' da soli.

8) Se però la lite è tra prepotente e vittima, meglio parlare con la maestra

Naturalmente, la 'zuffa d'amore' non è l'unico caso che si presenta nel corso della scuola primaria. A volte, la lite fisiologica dell'età prescolare assume qui i contorni di uno scontro tra prepotente e 'vittima'.

"Verso gli 8-9 anni, pur se in modo proporzionale all'età, alcuni ragazzini possono diventare 'cattivi' e tiranneggiare i compagni. In questo caso, è opportuno che la mamma del bimbo che subisce atti di aggressività, si rivolga alla maestra e non all'altro genitore", sostiene Scalari.

"Occorre capire perché Giovanni è così arrabbiato con il mondo e creare una strategia per aiutarlo, anche con l'intervento di adulti più competenti se necessario.

È inutile invece pensare che la mamma che non è riuscita a lavorare sulla parte più violenta di suo figlio, trovi una soluzione", dice l'esperta.

Allo stesso tempo, è importante dare una mano al bimbo che ha subito un atto aggressivo per offrigli degli strumenti per difendersi.

9) Attenzione a etichettare i dispetti come violenza o bullismo

Gli episodi di grande aggressività richiedono un intervento, rimandano a situazioni che non possono essere lasciate in sospeso. Tuttavia, per la psicologa, è importante non etichettare qualsiasi manifestazione più o meno fastidiosa sotto l'etichetta di violenza o bullismo.

Fare i dispetti, tirare i legacci dello zaino, o i capelli non è nulla di grave."Queste cose sono sempre capitate e non c'è bisogno che il genitore corra subito in soccorso del figlio. Il ragazzino in questa fascia d'età deve sviluppare le sue competenze e imparare a cavarsela da solo. Naturalmente, se la situazione è davvero grave, gli adulti devono fare cordone, altrimenti no", sostiene la psicologa.

Dal punto di vista dell'esperta, il ragazzino della primaria dovrebbe evitare di chiamare la mamma ogni volta che fa un 'casino'. E nel caso di un normale litigio con un compagno, dovrebbe gestire in modo autonomo il problema. "Alla fine, di fronte a questo tipo di litigi nella norma, il genitore dovrebbe sdrammatizzare", conclude Scalari.

Incontri

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Dicembre 2024
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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.