"Parola di bambino”.
Ha questo titolo il nuovo libro di Francesco Berto e Paola Scalari, perché è facendo buon uso delle parole di ogni bambino che lo si aiuta a diventare grande. Un buon uso che Francesco Berto, maestro elementare per tanto tempo – in particolare dagli anni '60 fino alle soglie del Duemila – ha fatto. Insegnando prima a Campalto e poi a Mestre, Berto ha sviluppato una metodologia educativa, che aiuta il bambino a passare adeguatamente dall'illusione alla realtà.
Dal “voglio tutto e subito” all'accettazione delle regole e delle relazioni della vita d'ogni giorno. Un metodo adeguato a crescere, insomma. Grazie all'educazione. Obiettivo: impreziosire la vita emotiva dei bambini. Berto ha raccolto negli anni una grande quantità di quaderni scolastici in cui i suoi alunni hanno scritto frasi nate sotto lo stimolo del suo metodo. Un metodo improntato all'ascolto e all'impreziosimento della vita emotiva dei bambini. Da quei fogli e da quelle migliaia di testi ha estratto, insieme alla psicologa e psicanalista Paola Scalari, centinaia di frasi, che illustrano concretamente la metodologia di lavoro. Un esempio? Mettiamo che in classe arrivi una mamma con la sua bambina piccola, appena nata, in carrozzella. Succede che gli scolari si agitano per la novità, la neonata piange e la mamma, quando ha detto quel che deve dire al maestro, se ne va. Lui, il maestro, a quel punto non riesce a far star buona la classe e, invece di fare il maestro classico che direbbe “buoni, silenzio, riprendiamo la lezione”, domanda: “cosa vorreste dire a quella bambina che piange?”. Il maestro coglie quindi, nella confusione che la classe fa, uno stato d'animo eccitato e propone agli alunni una domanda sulla causa di quella agitazione. In sostanza li induce a parlare di quello che stanno vivendo. «La cosa fondamentale di questo metodo – spiega Paola Scalari, che ha curato il testo, premettendo ad ogni capitolo un'introduzione - è cogliere l'emozione che circola nel gruppo e darle parola sotto forma di domanda. Non sotto forma di tema, in cui i bambini tendono a scrivere ciò che credono il maestro si aspetti. Ma sotto forma di domande, perché la domanda apre alla risposta libera». Inutile dire “dovete andare d'accordo”. Quindi, uscita la mamma dall'aula e posta la domanda, ogni bambino scrive quello che pensa. Poi il maestro fa leggere i testi, «e questa – precisa Paola Scalari - dal punto di vista didattico è lettura». Poi sceglie le frasi più significative e le detta a tutta la classe, «e questo è dettato ». Quindi ogni bambino, nel suo quadernone, ha il nome del suo compagno - Marco o Luca - e di lui scrive le frasi più importanti. «Questa procedura – prosegue la psicologa – aiuta la classe a diventare gruppo. E' inutile dire “dovete andare d'accordo”: bisogna costruirlo il gruppo e farlo in classe, e lo si costruisce facendo confrontare i ragazzi sulle loro idee». Rileggendo tutto il materiale prodotto, a quel punto, si fa una sintesi, «e questo si chiama processo logico». Tradotto nelle parole degli scolari, e stando all'esempio, significherà all'incirca “Abbiamo capito che i bambini piangono perché hanno paura che la loro mamma vada via”.
«A partire dalla sintesi, infine, si ripropone un'altra domanda, tipo “perché i bambini hanno paura che le loro mamme vadano via?” E questo progredire può andare avanti finché il tema si esaurisce e l'emozione si spegne.
Quando si ripetono più o meno le stesse frasi, vuol dire che è tempo di chiudere, che non c'è più desiderio e domanda in loro». Una metodologia educativa, quindi, che parte dall'emozione, dall'evento, e che pone domande, che confronta tutti i bambini nei loro pensieri, dando dignità a tutti loro:
«Ognuno – sottolinea Paola Scalari - ha un pensiero importante da scrivere, anche quello che fa solo strafalcioni. Anzi, i bambini difficili della classe sono quelli che ci hanno dato le frasi più belle, perché sono meno condizionati. I bambini che sembrerebbero meno bravi vengono ad assumere una grande importanza nel gruppo». Per la scuola e per la vita.
Con quale risultato, alla fine? «Che gli alunni di Francesco hanno riconosciuto che con quello che hanno imparato lì, a scuola, sono andati avanti fino alle superiori, perché a forza di scrivere, di leggere, di ragionare, di collegare si sviluppa la capacità di imparare e loro hanno imparato. E poi hanno imparato per la vita, perché quando gli scolari sono diventati grandi, di fronte alle difficoltà della vita, hanno cercato ancora questo maestro, per chiedere consiglio a lui e al suo metodo».
Giorgio Malavasi
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