Non intervenite durante i litigi, quando uno dei due picchia l'altro imparate a 'contenerlo' con calma, accettate gli eventuali regressi e assecondate la complicità. Questi i 4 principi che dovrebbero guidare i genitori nella crescita di fratelli e sorelli uniti secondo la psicoterapeuta infantile Paola Scalari
La conflittualità tra fratelli e sorelle è inevitabile ma positiva - e non dovrebbe suscitare ansia ai genitori - poiché è una palestra di vita per stabilire buoni rapporti con gli altri. A sostenerlo è Paola Scalari, psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, autrice di numerosi saggi (sul tema ha scritto con F. Berto, Essere fratelli. Scontri e incontri, Armando Editore).
La classica gelosia tra i figli (maschi o femmine, non importa) nasconde la difficoltà di accettare che il rapporto con mamma e papà non possa essere unico ed esclusivo.
Tutto nasce da un desiderio di possesso: ogni figlio non vorrebbe 'dividere' i genitori con il fratello o la sorella ma non può prendersela con loro, quindi 'sfoga' le sue emozioni verso l'altro/a. La tipica competizione nel quotidiano, dunque, come spiega la psicologa Scalari, scatta proprio per questa ragione più profonda ed è bene tenerlo a mente.
In altre parole, i litigi sono fisiologici e non sono un segnale di scarso affetto tra fratelli: anche quando si punzecchiano (quasi) in continuazione, di fatto si vogliono bene.
Tuttavia, mamma e papà possono favorire lo sviluppo di una buona relazione tra fratelli e sorelle, e farli crescere uniti, evitando alcuni comportamenti che invece possono allontanarli. Ecco quattro consigli 'guida' per evitare gli errori più comuni.
Secondo la psicologa, è molto importante lasciare che fratelli e sorelle risolvano da soli i loro conflitti. “I bambini trovano le loro misure e l'intervento a favore di uno o dell'altro contribuisce invece ad aumentare la gelosia. Ma anche punire tutti nello stesso modo non è una buona strategia perché è percepito come ingiusto”, dice Paola Scalari.
Un errore molto comune tra i genitori è poi quello di agire da giudici imbastendo una sorta di processo, che va avanti all'infinito, per stabilire chi ha iniziato la lite. Un atteggiamento del genere è controproducente e non porta a nulla. Dal punto di vista dell'esperta, l'approccio migliore è invece invitare i figli a cavarsela da soli cercando un accordo e riferendolo, poi, all'adulto.
Se un figlio usa spesso le mani contro l'altro/a significa che è davvero arrabbiatissimo e si sfoga contro il più debole. Attenzione, però, non significa che non voglia bene al fratello o alla sorella, in realtà la sua rabbia potrebbe essere verso mamma e papà.
Al momento, di fronte all'episodio concreto, è opportuno invitare il bimbo che dà le botte al fratello a sospendere quello che sta facendo e calmarlo parlando in tono tranquillo.
“Non serve dirgli 'non devi fare così' ma è molto importante mostrare comprensione e contenerlo con modi pacati. Non si risponde mai alla rabbia urlando”, sostiene la psicologa.
Quando la situazione si ripete spesso, secondo l'esperta, il genitore dovrebbe interrogarsi e mettersi in discussione poiché l'azione violenta è sintomo di paura e angoscia di abbandono.
“Il bambino violento è spaventato a morte dall'idea di 'non essere visto' e dà la colpa a qualcuno, al fratello o alla sorella - spiega Paola Scalari. Questo può capitare perché non è stato aiutato a sufficienza nella sua evoluzione e ha bisogno di stare più tempo insieme ai genitori”.
E' fondamentale rassicurarlo e aiutarlo a superare la paura che i genitori spariscano.
Un buon modo per farlo è chiacchierare con lui, andare a prenderlo a scuola una volta in più e condividere tempo e giochi.
“Fino alla fine della primaria, il gioco e le fiabe, da leggere insieme ad alta voce la sera, sono strumenti efficaci e preziosi per stemperare queste emozioni di ogni bambino”, dice la psicologa.
A volte, per la psicologa, sono proprio le osservazioni e gli interventi inopportuni dei genitori a dividere i figli. Se il maggiore, per esempio, che magari frequenta già le medie, si mette a giocare con il fratellino (o sorellina), non è bene dire una cosa tipo: “Ma tu sei ormai troppo grande per questo gioco!”.
In modo analogo, se il bambino chiede ancora biberon e ciuccio - ormai abbandonati da tempo - o di dormire accanto alla mamma perché vede farlo il fratellino o la sorellina, non deve essere un problema.
In genere, atteggiamenti simili, in cui il bimbo sembra tornare più piccolo, indicano che quei progressi gli sono costati molta fatica.
“Questi episodi di regressione sono una grande occasione di ri-sperimentare una situazione ma non significa perdere le competenze già acquisite - spiega la psicologa Scalari. Tornare indietro, semplicemente, rinfranca un po' il bambino, ed è una sorta di terapia, quindi è bene lasciarlo fare”.
Dopo un po', per aiutarlo (senza ansia) a riconquistare le sue abitudini, è sufficiente sostenerlo con un atteggiamento sereno e positivo. “Riccardo, mi sa che il gelato, in fondo, ti piace di più del latte nel biberon, eh... perché tu sei grande!”.
In ogni caso, è un segnale positivo, spiega la psicologa: “Immedesimarsi nel piccolo è un modo per capirlo. Di fatto, mettersi al posto dell'altro vuol dire provare empatia: un bimbo di tre-quattro anni lo fa concretamente”.
Anche nel caso contrario quando è il bambino più giovane a voler imitare il grande, non è corretto bloccarlo subito perché è 'piccolo'. Secondo la psicologa è invece appropriato incoraggiare questi momenti. “Bene, mi piace che giocate insieme, ecco qui delle penne per te anche se non sai ancora scrivere!”.
Nella relazioni tra fratelli o sorelle, arriva un momento in cui i figli si 'coalizzano' contro i genitori, nonostante, magari, la differenza di età. E' tipico il caso di nascondere le marachelle: “Prendiamo insieme un altro pezzetto di cioccolato!”, “Diciamo alla mamma che il vaso l'ha rotto il gatto”...
“Fare fronte comune diventa una sorta di colla, e getta le basi di quella solidarietà che dura tutta la vita – spiega la psicoterapeuta Scalari. E' fondamentale non osteggiare questi comportamenti, al contrario, i genitori dovrebbero leggere la creatività dietro a tutto ciò, in base all'età dei bambini”.
Se a metà della scuola primaria, per esempio, i figli preparano dei cartelli perché desiderano un computer, si tratta di una 'sommossa' positiva. Anche in seguito, quando sono più grandi, fratelli e sorelle possono mettersi insieme per ottenere un permesso speciale o una particolare concessione. Questo senso di complicità dovrebbe essere assecondato perché è parte positiva della relazione tra figli.
Assolutamente da evitare invece una sorta di 'spartizione' tra mamma e papà nell'accudimento dei figli che non crea solidarietà: “Tu ti occupi del piccolo e io del grande!”. Certo, è possibile fare a turni, ma mamma e papà devono condividere insieme ogni aspetto dell'educazione e della vita dei figli.
Questo significa essere presenti ma senza preoccuparsi troppo dei 'normali' conflitti quotidiani: “il fratello è il testimone privilegiato della vita dell'altro, non è paragonabile all'amicizia, e il legame resta tale anche attraverso emozioni diverse o contrastanti”, conclude Paola Scalari.
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