LA PROPOSTA - Serve una nuova didattica, adottata da tutti i docenti perché, una volta che sarà terminata la pandemia, l’insegnamento non sarà comunque più come prima La forbice tra chi va bene e chi no si è allargata.
La psicologa mestrina Paola Scalari: «Con la Dad gli studenti che hanno meno motivazione, meno attenzione e fanno più fatica, se non stimolati nell’interesse e nella curiosità, non ci stanno. E la tecnologia, che è una ricchezza, diventa un diaframma».
li insegnanti devono imparare una nuova didattica. O, meglio, devono applicare una vecchia didattica – quella che che mette al centro lo studente e la relazione con lui – ai nuovi strumenti e al nuovo ambiente scolastico. Se non si fa così continuerà ad aumentare il divario fra chi ce la fa e chi traballa (e prima o poi cade). Paola Scalari, psicologa e psi- coterapeuta, autrice di numerosi testi incentrati sull'età evolutiva e sull'educazione, lo riconosce: «La forbice tra i ragazzi che vanno bene a scuola e quelli che fanno fatica si è allargata». Il tempo della pandemia, secondo la psicologa mestrina, ha reso esplicito un problema che era già presente, ma che rimaneva sottotraccia. Poi il suo manifestarsi, improvviso come il Covid, con il primo lockdown del marzo 2020. All'inizio è stata una questione di mezzi a disposizione: chiaro che trovarsi tutti a casa, due genitori e due bambini, con mamma e papà che fanno smart working e hanno bisogno di un computer, e i figli che fanno didattica a distanza e hanno bisogno anche loro di un pc – e magari a casa c'è una sola postazione, con la linea lenta – è un problema. «Lì le famiglie più competenti e con di- sponibilità economiche hanno fatto più sacrifici comprando un altro computer, un tablet, rafforzando la rete...». Ma per altre famiglie questo è rimasto un problema...
Quella che qualcuno sperava fosse solo un'emergenza transitoria è diventata una storia lunga da cui, due anni dopo, non siamo ancora fuori: «E qui – argomenta Paola Scalari – si fanno ancora più importanti due fattori. Il primo è il sostegno che bambini e ragazzi, sia in Dad che in presenza, ricevono quando hanno alle spalle una famiglia capace di contenerli, sostenerli, incuriosirli e sollecitarli. Se la famiglia c'è, i figli rispondono in maniera competente alle domande di una scuola che ha per obiettivo la prestazione. Ma se i genitori sono distratti o hanno alle spalle una scarsa scolarizzazione, il sostegno viene meno e i ragazzini si perdono. Lo si è visto soprattutto con numerosi stranieri».
Poi c'è l'altro fattore: gli insegnanti: «Molti hanno operato bene. Quelli, invece, che hanno creduto che lavorare in Dad fos- se la stessa cosa che farlo in aula, hanno creato difficoltà ai ragazzi. E quelli che hanno pen- sato che si potesse riproporre la lezione frontale, facendola seguire da compiti e schede da fare in autonomia a casa, hanno creato disorientamento».
In questo senso, per la psicologa, bisogna rendersi conto che, dopo la pandemia, la scuola non è e non sarà più quella di prima.
E che bisogna applicare il metodo giusto ad un ambiente mutato: «Chi, anche in Dad, ha invece valorizzato il gruppo classe, la relazione, l'apprendimento per esperienza, ha prodotto didattiche meravigliose e i ragazzi non si sono persi. La chiave resta il creare curiosità, interesse, compartecipazione. È non solo dare informazioni, ma aiutare a interiorizzare dei concetti». In sostanza è mostrare con l'esperienza che c'è un legame tra la scuola e la vita.
«È la scuola interattiva – conclude Scalari - dove il gruppo dei compagni, insieme all'insegnante, ascolta, parla, cresce facendo crescere le relazioni. Con la Dad gli studenti che hanno meno motivazione, meno attenzione e fanno più fatica, se non stimolati nell'interesse e nella curiosità, non ci stanno. E lo schermo, che può essere utile perché condividere un video e commentarlo è una ricchezza, può diventare invece un diaframma che allontana»
Giorgio Malavasi
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