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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
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    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013
Ogni mamma dopo il parto aspetta con apprensione la montata lattea. Si chiede se il suo latte arriva, quando sgorgherà, come sarà. Quasi tutte le mamme vogliono oggi allattare i loro neonati poiché sanno che il nutrimento materno dà una assoluta garanzia di compatibilità con le caratteristiche del loro bambino.
Sperano allora, con trepidazione, che il latte arrivi e che il bambino sia felice di nutrirsi attaccandosi al loro seno.

Dopo che il latte ha iniziato a zampillare le mamme possono avere qualche difficoltà a trovare la posizione migliore e ad abituare il bebè a succhiare.
Ma madre natura fa la sua parte e, grazie ad un riflesso primitivo, il bambino inizia a succhiare. Questo è un momento di grande gioia per mamma e bambino poiché non solo è garantita la sopravvivenza fisica del piccolino, ma inizia anche un dialogo unico, speciale ed intenso tra madre e figlio.
Un dialogo fatto di sguardi.
Il bambino succhiando gratifica la mamma poiché ella gli dà tutto ciò di cui ha bisogno, ma anche la guarda e, se incrocia i suoi occhi, li fissa.
Si attacca allora al seno e, contemporaneamente, si attacca allo sguardo amorevole di mamma. E grazie a questo si attacca alla vita.
Le mamme lo sanno.
E per questo cercano di allattare il figlio in un posto tranquillo, rilassato, protetto da eccessive stimolazioni esterne. Affinché la comunicazione tra mamma e bambino abbia luogo è necessario dunque che ci sia per entrambi un po' di privacy.
E' bene dunque staccare il cellulare e se possibile far rispondere qualcun altro al telefono. E' un buon comportamento non guardare la Tv dedicando quel tempo a "parlare" con il neonato. Il timbro della voce materna, già conosciuto dal piccino nella sua vita intrauterina, non solo lo rassicura, ma anche lo fa entrare nel mondo dei suoni, delle parole, delle interazioni.
Mentre ciuccia quindi impara a conoscere la sua mamma e il mondo che ella gli presenta. Ma anche la madre impara a conoscere il suo bambino e a capire le sue specifiche esigenze.
Qualche bebè è avido e succhia con veemenza, si ingolfa e poi scoppia... qualche rigurgito e un rivolo di latte che esce dalla bocca mettono tutto ben presto a posto.
Qualche altro piccino è invece lento, un po' pigro, tende ad addormentarsi. Si fa fatica a farlo arrivare a bere tutta la dose di latte necessaria alla sua salute. Mamma deve insistere, blandire, stimolare perché l'azione del ciucciare non si chiuda troppo presto.
C'è chi allora gratifica di più mamma apprezzando l'alimento proposto e chi invece tende a farsi pregare. In questo secondo caso è importante che la mamma non si demoralizzi e che non avverta una sensazione di rifiuto che potrebbe portarla a smettere troppo precocemente l'allattamento al seno. Sei mesi infatti sono già una buona dose di "nutrimento materno". Ma qualche mamma ama dare alla sera una dose di coccole al bimbo e con essa una ciucciata alle tette. Alcune madri lo fanno molti mesi successivi. Qualche donna non riesce facilmente a rinunciare al piacere che il bambino dona attraverso la suzione e continua per molto tempo a offrire la tetta.

Molte madri si chiedono come comportarsi tra il tenere sempre a disposizione il seno o se cadenzare con ritmo le poppate. Seppure ogni mamma debba fare ciò che ritiene migliore potrebbe essere utile iniziare con una maggior disponibilità ad assecondare il bebè per arrivare, nel tempo, a dare un ritmo gli orari dei pasti.
Questo dare degli orari non solo alleggerisce un po' la mamma che altrimenti è sempre con "la latteria" aperta, ma anche aiuta il bambino ad imparare che l'attesa non è catastrofica.
Egli infatti teme che il cibo non arrivi.
Avverte delle sensazioni interne terrificanti.
La sua pancia urla: "Ho fame!!".
Se non viene subito riempita teme che quel vuoto lo risucchi.
Allora piange, piange, piange... si fa sentire... urla... protesta... Paonazzo in volto.. Implora la sua dose di latte finché non la ottiene. Allora si calma.
Certamente il bebè ha un po' sofferto, ma ha anche imparato che nonostante l'attesa è sopravvissuto.
Questa convinzione gli servirà per sempre poiché dovrà sicuramente imparare che ciò che desidera non è sempre immediatamente a sua disposizione.

Alcune madri o perché non se la sentono o perché non possono usano invece il latte artificiale dato con il biberon. Questa scelta complica un po' la vita, ma non reca un gran danno purché il rito del nutrimento mantenga le stesse scenografie e assicuri al piccolino il medesimo caldo abbraccio e sguardo seducente.
Alcune donne quindi volontariamente rinunciano al piacere, anche fisico, dell'allattamento, ma mai rinunciano guardare negli occhi il piccino.
Altre soffrono perché non è loro concessa la speciale esperienza dell'allattamento, ma possono compensare questa mancanza con dosi infinite di coccole e con sguardi da "amanti".
Tutte quindi nutrendo il loro bambino iniziano ad amarlo e a fasi amare.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.