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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
  • Emanuela ha scritto Altro
    Siamo messi male
    Oh come mi... Venerdì, 05 Dicembre 2014
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    Perchè stupirci?
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    Speranza
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    Chi è Educatore ha espresso... Sabato, 23 Novembre 2013
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    Ragazze Invisibili
    Una brutta,... Mercoledì, 20 Novembre 2013
  • Michela ha scritto Altro
    Io penso...
    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013
Mamma e papà devono prendere una decisone importante: mandare o non mandare il loro piccino al nido.
Prima della sua nascita entrambi i genitori non avevano alcun dubbio: il loro figlio sarebbe andato al nido. Ora che lo stringono tra le braccia e sentono quanto il bebè sia attaccato a loro, si fidi delle loro braccia, voglia stare solo con mamme e sia felice solo con papà, avvertono invece che devono ripensare alla scelta fatta in precedenza.

Si domandano: Il bambino saprà far fronte alla loro mancanza? E loro saranno in grado di "abbandonarlo" in mani estranee? E' giusto socializzi perché gli è utile giocare con altri coetanei? E' opportuno alzarlo ogni mattina, farlo stare tutta la giornata, o quasi, tra bimbi che gli rubano il giocattolo, lo morsicano e gli attaccano tanti virus?

Solo pensare a queste questioni fa stringere loro il cuore.
Mamma versa una lacrima. Si rabbuia. Ha il timore che il figlio la viva come una cattiva madre.
Papà, nel frattempo, si mette a fare dei conti per vedere quale possibilità ha che la moglie prolunghi l'aspettativa senza assegni o entrambi possano assoldare una brava, anzi eccellente, Tata.
Mamma rilancia l'idea di usare i nonni, spaventata.
Papà la sta ad ascoltare, incredulo.
E' infatti da quando erano fidanzati che la compagna asserisce che, mai e poi mai, avrebbe lasciato un figlio a quella dittatrice della suocera e nemmeno era così tanto dell'idea di lasciarla ai suoi genitori che quel bambino glielo avrebbero sicuramente straviziato.
Adesso però quel tenero bimbetto, ignaro e dolce, inconsapevole e tenero, potrebbe essere messo nella condizione di dover stare senza la sua mamma o lontano dal suo papà per molte ore.
Il figlio reale chiede loro un totale riesame delle posizioni assunte in sua assenza.

Il ripensamento passa in rivista più opzioni. I genitori devono credere di offrire la soluzione migliore non solo per sé ma anche per il figlio.
In fondo la scelta giusta è quella che loro sentono come la più adeguata.

Mamma comincia allora a raccogliere informazioni sui nidi cittadini dalle amiche. Prova a frequentare uno spazio chiamato -Tempo per le famiglie - dove può recarsi a rimanere a giocare con il suo bambino. Ma ogni volta che torna a casa si convince sempre più che suo figlio lì non ci vuole proprio stare. Per la verità è più lei che non vuole lasciare lì il suo bambino poiché il distacco la riporta a sentimenti abbandonaci e di trascuratezza che pensava cancellati dal suo animo e che, invece, in questa circostanza riaffiorano con prepotenza.

Torna a sentirsi la figlia lasciata nella culla, la bambina accompagnata in colonia, la ragazzina partita per uno stage di inglese all'estero, la giovane abbandonata da un fidanzato fedifrago... Avverte una ridda di emozioni che tornano a galla.
Anche papà si sente disorientato poiché si sente impotente di fronte alla fragilità del figlio e all'apprensione della moglie. Se dice: "Deve andare al nido che lì fa esperienze che lo aiutano a diventare grande" si sente accusare di essere un padre poco affettivo. Se invece afferma: "Teniamolo a casa" avverte che la compagna lo fulmina con un'occhiata poiché a casa ci deve stare anche lei. Ed anche se lui stesso si propone di prendersi una pausa lunga dal lavoro la storia non cambia poiché la compagna lo accusa di diventare un "mammo" a tempo pieno e che a lei questo non piace...

La controparte al tumulto di sentimenti in gioco è quella di prendere tutte le informazioni, visitare quasi tutti i nidi che hanno posti a disposizione, parlare con amiche, cognate, colleghe... e nonni. Ma ogni diade madre-bambino è speciale ed ogni gruppo familiare è unico perciò nessuno sa cosa è meglio per quel determinato bimbo.

I due neo genitori infine decidono. Alcuni scelgono il nido e cercano una struttura adeguata.
Vanno a visitarla insieme.
Papà guarda il bel giardino fiorito nel quale sono sparse giostrine e scivoli. Osserva la lettiera con la sabbia. Ammira lo spazio con la casetta. Entra. Mamma ammira la stanza giochi con l'angolo morbido, l'angolo del relax, l'angolo del ring..., guarda con tenerezza i seggiolini e i tavolinetti bassi dove il suo bambino consumerà i pasti, guarda con ossessiva precisione i bagni per accertarne la pulizia... Se tutto funziona allora dice che tornerà.

Mamma e papà tornano anche con i nonni. Nonni che colgono l'occasione per ribadire la loro disponibilità ad occuparsi qualche volta, solo quando possono o proprio quando è urgente, del nipotino.

Mamma parla a lungo con le educatrici e, se le fanno una buona impressione, fa la sua scelta definitiva.
Il figlio va al nido e, all'occorrenza, starà con una delle due coppie di nonni.
Lei sente che ha bisogno di tornare al lavoro e che il suo bambino deve capire che non si può occupare solo di pappe, cacca e pipì...

E arriva il fatidico giorno dell'inizio dell'inserimento.
Il bambino è lavato e profumato. Nel suo cestino-zainetto sono riposte tutte le cose a lui necessarie. Tutto è pronto. Ma non si è mai preparati completamente a lasciare l'amato tra le braccia di un'altra donna, sia pure essa sia una valente educatrice. Anzi proprio la sua disponibilità emotiva, la sua capacità professionale, la sua solerzia pratica la rendono una temibile rivale.
E già mamma spera che l'educatrice ami il proprio bambino e contemporaneamente paventa questo amore poiché ha il sapore di un furto dell'unicità amorosa che la lega al suo tenero piccolino.
E l'educatrice deve amare il figlio che le viene consegnato, ma non lo deve sentire troppo suo perché ogni affettuosità è una spada nel cuore del genitore.

Il bimbo, ignaro, i primi giorni si lascia trasportare, abbandonare, collocare senza tante rimostranze.
Per mamma può diventare segno che non è attaccato a lei e allora si tormenta.
Per papà può essere il segnale che il figlio è forte e coraggioso e allora si inorgoglisce.
In realtà il bimbo all'inizio non capisce cosa gli sta accadendo.
Se però il bebè non desse mai segni di sofferenza non sarebbe un macho, ma solo un bimbo che non sa e non può esprimere le sue emozioni.
Quindi il pianto ci sta... ma nella vita bisogna imparare a staccarsi.
Forse mai troppo presto e nemmeno mai senza che i genitori condividano l'importanza dei sentimenti in gioco al momento dell'inserimento, del distacco e della permanenza al nido.

Sarà poi l'abitudine che renderà familiare l'ambiente.
Sarà la professionalità delle educatrici a rassicurare i genitori che il figlio è loro e rimane sempre loro.
Sarà la condivisone con le altre mamme sia di ambasce che di apprezzamenti per il lavoro pedagogico che rassicurerà mamma e papà di aver dato un buon avvio all'inizio della storia dei distacchi dal figlio.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.