I genitori smarriti sono mariti e mogli che hanno costituito una coppia basata su pensieri illusori e che, persi nelle loro vane chimere, vivono eternamente arrabbiati ed insoddisfatti.
Boicottano chiunque voglia far loro comprendere che la vita non è come la credono.
Rifuggono la ricerca della verità e rimangono sempre degli infanti privi delle parole per narrarsi la vita.
Evitano la presa di coscienza scansando ogni processo di crescita che richiede di abbandonare la posizione precedente per far propria, attraverso delle inevitabili crisi, la trasformazione necessaria allo sviluppo identitario.
Lo smarrimento di un genitore negligente, trascurante, maltrattante ed incompetente è perciò dovuto all'impossibilità di poter vivere il lutto depressivo che lo porrebbe di fronte ai suoi limiti. La consapevolezza dei propri errori viene costantemente oscurata da una paranoia dilagante che colpisce figli, coniuge, parenti, operatori, società. Un persistente senso di ingiustizia copre la tristezza che l'utente avvertirebbe se lasciasse le proprie fantasie di eterna vittima sofferente ed innocente.
Parole infantili come "voglio questo o quello", "lei non mi può impedire", "so io, perciò decido io", "quel ragazzo mi fa dannare" "è un figlio nato cattivo"... colpiscono spesso gli operatori che lavorano con genitori che stanno creando disagio all'interno della loro famiglia.
I professionisti si chiedono da dove venga così tanta cecità capace di oscurare la verità dei fatti.
Genitori incompetenti si dipingono come solleciti, dediti, amorevoli senza alcuna consapevolezza di ciò che stanno patendo i loro figli. Solamente dei pezzi della loro vita, infatti, sono evoluti mentre tanti altri aspetti della loro personalità sono arroccati in un narcisismo maligno che distorce le relazioni e pretende di avere la verità in tasca senza nulla concedere alla realtà.
I genitori fragili ritengono quindi che il figlio debba adeguarsi a loro e sono convinti che il loro modo di fare vada bene. Non ammettono discussioni, critiche, appunti. Infantilmente egocentrici non vedono nulla che esca dalla loro visuale puerile. Questo sguardo abbagliato da un'unica visione di se stessi impedisce loro di mettere in campo una qualsiasi azione protettiva nei confronti del figlio. Ma un bambino non contenuto da uno sguardo amorevole e non accompagnato con determinazione dal mondo dei desideri al mondo reale è in pericolo. La sua crescita viene segnata da un più o meno alto rischio evolutivo. Qualcuno deve pertanto preoccuparsi per lui. La mancanza di protezione rende difficile, se non impossibile, a qualsiasi ragazzo sviluppare la sua identità riuscendo a separarsi in maniera matura dalle figure parentali e andando a definire il suo Sé. Un figlio allora diventa un individuo immaturo che porta avanti un legame generazionale fragile e confuso.
I servizi sociali intervengono quindi tempestivamente, cioè prima che la fragilità diventi malvagità. Lo fanno per aumentare le chance del bambino e del ragazzo in modo che sia possibile prefigurare, almeno nel trascorrere di alcune generazioni, la possibilità di modificare la situazione che presenta gravi carenze educative, importanti situazioni di trascuratezza, dolorosi maltrattamenti e abusi psichici.
L'autorità giudiziaria in questi frangenti, se ritiene necessario risvegliare la coscienza etica del genitore, interviene con un dettame indiscutibile. Lo fa per interrompere la trasmissione degli atteggiamenti irresponsabili che, come un fiume carsico, scorrono sotto la catena generazionale.
Sono dunque gli operatori di più servizi che, su mandato o meno del Tribunale per i Minorenni, vanno ad assumere la funzione di regolare le istanze puerili dei genitori fragili. I servizi, attraverso il sostegno delle madri e dei padri, si propongono di dare al bambino un genitore capace di ragionare ed agire come un adulto. Nel prospettarsi questa meta tutti i professionisti che entrano in campo sanno però che dovranno incontrare il terrore catastrofico. Il genitore fragile, quando deve cambiare, crescere e maturare, vive una terribile angoscia poiché teme di non esserne capace. È quindi la paura di essere un imberbe pasticcione quella che blocca le madri vulnerabili e i padri insensibili. Entrambi temono vengano scoperti i loro difetti. Pensano di non poter affrontare il dolore insito nel processo di contatto con la realtà. La visione delle loro incapacità, riportando a galla la terribile umiliazione di quel bambino in fasce che furono e che, pieno di bisogni, fu ben poco visto, li fa sentire amaramente mortificati.
La loro immaturità cronica si struttura quindi proprio per evitare di sapere di aver avuto, a propria volta, un genitore incompetente. Se invece la giovane mamma e il giovane papà riescono a narrarsi ciò che hanno subito a causa delle carenti cure parentali, possono desiderare di non far patire nello stesso modo il loro piccolino. Il passaggio fondante per dare sostegno alla famiglia fragile è allora quello che fa transitare una madre e un padre dall'identificazione massiccia con il figlio alla possibilità di mettersi nei suoi panni.
È quindi il dolore per il mancato sostegno genitoriale a carico delle generazioni precedenti che può far maturare una mamma debole e un papà silente facendo loro affrontare la tristezza per quello che non hanno avuto e per quello che non riescono a dare.
Gli operatori sanno che il processo che avviano sarà intriso della sofferenza umana di chi, non potendo crescere, si difende come può. Sono consapevoli quindi che, a loro volta, non possono "pretendere" maturità là dove non si è potuta formare, ma che il loro operare deve poter generare quel clima relazionale dove l'abbandono di ogni illusione non spaventi, non sia vissuto come colpa, non schiacci inesorabilmente. Il genitore fragile deve evolvere e, per far questo, ha bisogno di un contenitore mentale formato da coloro che seguono la sua situazione familiare. Tutti quindi cercano un modo per avviare, sostenere e portare a termine questo aiuto arrivando in tempo a tutelare il bambino in crescita. Ogni ritardo compromette, infatti, la formazione dell'identità del piccolo.
Il tempo cronologico, con il suo inesorabile incedere, è un elemento cruciale di ogni progetto di sostegno alla genitorialità incompetente, poiché il bambino ha bisogno della sua mamma e del suo papà ora, subito, nel presente. Ma anche kairos, il tempo della narrazione, è cruciale poiché, senza una storia raccontabile, nessuno esiste per davvero.
Gli operatori lottano allora contro il tempo cronologico mantenendo alta l'attenzione alle fasi dello sviluppo narrativo esistenziale. I servizi ricercano, vigilano, investono sia sulla storia della famiglia, con le sue trame emotive, sia sulla vitalità del progetto che generano, curano e accudiscono, con professionale tenacia.
Proprio per questo è necessario programmare un intreccio di interventi che abbiano, nel loro insieme, degli effetti terapeutici. Un progetto di sostegno alla famiglia fragile non si può quindi basare sulla psicoterapia classica. L'analisi personale ha infatti bisogno di molti anni per raggiungere la revisione identitaria. Questa riformulazione del Sé è basata su una capacità di introspezione sovente assente o carente nei genitori fragili proprio per la loro abitudine a difendere il loro mondo fasullo. Non si può perciò demandare alla sola psicoterapia la cura della fragilità genitoriale. Se si vuole creare un cordone protettivo attorno al bambino in un lasso di tempo che sia consono al ritmo del suo sviluppo psichico, bisogna intrecciare più saperi.
È perciò il progetto psicosocioeducativo che diviene terapeutico. Esso può comprendere, ma non esaurirsi con l'intervento clinico sugli individui, sulla coppia o sul gruppo familiare.
Il programma di cura della famiglia fragile prevede la funzione psicologica, come opportunità per dare senso agli eventi, la funzione sociale, come necessità di guardare ai legami comunitari e la funzione educativa, come possibilità di apprendimento a partire dalle risorse di ognuno.
La cura della famiglia fragile contempla quindi una molteplicità di azioni e avvia, promuove e monitora il processo per l'evoluzione identitaria della struttura familiare individuando l'insieme degli operatori che andranno a sostenere i tre vertici di questo processo.
Sostenere la famiglia comporta dunque una presa in carico pluri-istituzionale e multi-professionale e si basa sull'interscambio tra diversi gruppi di lavoro capaci di sintonizzare il tempo del prendersi cura con il tempo dello sviluppo identitario della struttura familiare.
Ogni contesto, in modo specifico e in ottemperanza al suo mandato, tiene in mente l'importanza di mantenere contemporaneamente operanti un insieme di interventi normativi, terapeutici, sociali ed educativi. La circonferenza che il gruppo operativo crea attorno alla famiglia fragile diviene dunque la linea di confine contenitiva dentro alla quale tutti i singoli soggetti del gruppo familiare potranno modificarsi.
Nessun sostegno dunque è possibile sia demandato ad un singolo professionista, ma è invece possibile quando più operatori psico-socio-educativi intervengono concertando un intreccio di azioni in grado di interrompere atteggiamenti stereotipati, ripetitivi, fissi e perciò malati.
Educatori professionali, del tempo libero, insegnanti, consulenti educativi, psicoterapeuti, figure sanitarie, assistenti sociali e, se necessario, autorità giudiziaria, lavorano per interrompere la catena di sofferenze. Cercano allora un modo per far abbandonare alla famiglia fragile quella costruzione fantastica che fa sì che ognuno si ritenga capace, sollecito, devoto, meritevole anche quando si comporta in maniera diametralmente opposta. È soprattutto quella presentata dal genitore inconsistente una visione illusoria da lui edificata proprio per difendersi dai fantasmi spaventosi della sua infanzia.
Si tratta quindi di accompagnare tutti i componenti del nucleo familiare in un processo di deidealizzazione senza alimentare o colludere con delle fantasie mitiche di poter far divenire magicamente un uomo e una donna dei genitori competenti grazie ad un atto di buona volontà. Le intenzioni non c'entrano nello sviluppo identitario. Questa evoluzione è infatti iscritta in una dimensione emotiva inconscia che è fortemente segnata dal non senso del tempo cronologico e narrativo. La cura è dunque ridare una trama e un ordito alla storia individuale dei genitori e dei figli e alla storia collettiva di tutto il nucleo familiare.
L'unico atto volontario del genitore sta perciò nella sua adesione al progetto. Tutto il resto lo sostiene il gruppo degli operatori che, con sapienza, dà nomi alle emozioni che attraversano gli eventi. E lo fa confrontandosi, con pazienza, su quello che ognuno prova incontrando la famiglia fragile.
Il programma di intervento sulla famiglia fragile non viene mai avviato su un singolo congiunto. Questo avviene per impedire che qualcuno diventi il capro espiatorio del disagio psichico che si è depositato nel mondo familiare. Nel progetto vengono quindi sempre coinvolti tutti i componenti del nucleo comprendendo anche i parenti più lontani. Quando si attivano anche nonni e zii, prozie e fratelli, delle volte, si hanno sinergie inaspettate nell'evoluzione del sistema relazionale. E non è tanto necessario che questi consanguinei siano competenti, quanto invece che provino ad essere solidali. Il vertice su cui si lavora è dunque il vincolo tra le generazioni all'interno del sistema parentale. La riattivazione di una relazione attenta ai bisogni della nuova famiglia in difficoltà è di per sé terapeutica poiché ripara in parte le ingiustizie subite dai genitori.
Nel sostegno alla famiglia fragile si parte dall'idea di un ecosistema in cui ogni trasformazione di un membro può apportare una bonifica negli atteggiamenti anche degli altri. Tutti debbono concorrere a questa mutazione e tutti, non con grandi imprese, ma con una concordata compartecipazione, ne sono coinvolti. Si tratta di vedere chi può fare una telefonata serale ad una mamma confusa per chiederle come sta, di individuare chi vuole accompagnarla a fare la spesa, di incaricare qualcuno nel sollecitarla a lasciar studiare i figli a casa dei vicini e così via.
Un programma di sostegno alla genitorialità fragile, proponendosi di offrire un'occasione evolutiva alla nuova generazione, porta avanti una strategia terapeutica basata sulla mobilitazione sia di tutta la famiglia allargata che di tutta la comunità solidale. È procedendo attraverso una serie di cerchi concentrici, intersecati e compresenti, che si interviene sul sistema delle relazioni esterne per andare a modificare il sistema di rapporti che vincolano i membri della famiglia tra di loro e ogni componente con se stesso.
Sono l'ambito educativo che incontra il bambino ed il contesto sociale che si interfaccia con i genitori che devono aprirsi per accogliere e contenere la struttura familiare fragile. Non è quindi il genitore che deve fare ogni passo, ma è il sistema socio-educativo che, accorgendosi di lui e accettandolo empaticamente, può dare avvio alla trasformazione delle modalità di rapporto. Chi si sente osservato può osservare l'altro. Per questi genitori, quasi sempre, è la prima volta che uno sguardo caldo e accogliente si poggia su di loro. Esso poco alla volta scongela le parti dure e stereotipate. E così, dopo il disgelo, nascono nuovi rapporti, anche con i figli.
Durante questo processo di messa in rete della famiglia fragile è necessario prestare continuamente ascolto al bambino poiché egli è il primo sensore di quanto si sta modificando o di quanto si sta ripetendo. Quando nulla è mutabile bisogna anche arrivare a definire l'impossibilità di dare un sostegno al genitore in difficoltà. In questo caso il nucleo va aiutato a lasciar andare altrove il piccolo al fine di dargli una vita migliore.
Nella nostra esperienza abbiamo incontrato madri fragilissime che hanno lottato contro tutti i loro demoni per poter stare con il figlio, così come abbiamo incontrato madri disperate che hanno preferito, seppure con dolore, lasciare il loro piccino ad un'altra famiglia pur di dargli un'opportunità. Sia le une che le altre mamme hanno protetto i loro figli con un amore capace di altruismo. Qualche volta, quindi, anche accompagnare il genitore a maturare la capacità di rinunciare parzialmente o totalmente alla sua funzione parentale è un gesto che gli operatori possono promuovere, sostenere ed accompagnare. Il bene del minore deve essere posto al centro della scelta. Ed esso, il più delle volte, corrisponde al bene della coppia che lo ha generato. Madri e padri incompetenti, se non sono aiutati a rinunciare al figlio, entrano in un vortice dove all'illusione riparatrice segue la disperazione devastatrice causata dal vedersi incapaci, smarriti e confusi. Amano i figli come avrebbero voluto essere amati, ma non essendo stati affettuosamente curati non sanno dare ai loro piccini l'affetto necessario a farli stare bene. L'unica via di salvezza di un genitore che è rimasto un bambino irresponsabile rimane quella di negare la realtà. Una madre e un padre allora diventano sempre più bizzarri, inconcludenti, confusi e il loro figlio sta sempre più male nella vana attesa di incontrare un adulto capace di riconoscere la sua identità specifica, senza confonderlo con la propria visione illusoria della vita.
Nelle case delle famiglie fragili ci sono televisori enormi, ma non c'è latte; ci sono animali di tutti i tipi, ma non c'è igiene; si vive in modo promiscuo e non ci sono spazi riservati ai piccini; ci sono uomini che perdono il lavoro, spariscono, spadroneggiano e ci sono donne che cercando l'amore si lasciano continuamente ingannare. Tra le pareti domestiche convivono esseri senza senno perché senza età. Tutti aggrappati ai bambini che, finché fanno da peluche, sono ammessi nella vita quotidiana e, quando invece diventano ingestibili, vengono dimenticati come giocattoli rotti.
Le mamme bambine non possono lasciar andare i figli altrove perché il piccolo è una parte di sé e perciò non possono mutilarsi. I papà puerili rincorrono i figli anche quando non sanno occuparsene dimostrando di non considerarli dei soggetti, ma solo delle proprietà.
Il bambino che non è ritenuto una persona dotata di una sua personalità racconta il suo dramma di figlio che non è mai esistito. Spesso si fa vedere con atti inconsulti. Ritiene che sia meglio essere considerato cattivo che inesistente. È a questa narrazione che la comunità educativa deve prestare orecchio e dare voce. Se si guarda, si ascolta e si comprende il bambino si sa che direzione prendere poiché egli, seppure in modo indiretto - quindi alcune volte con il corpo, quasi sempre con i suoi comportamenti, spesso con la narrazione delle sue storie -, racconta sempre come sta e di che cosa ha bisogno.
Il bambino quindi, accolto all'interno della classe, di una attività del tempo libero, associativa e sportiva e, qualche volta, in un'altra famiglia o comunità alloggio, impara come stare dentro ad un gruppo, anche a quello familiare, grazie a tutti coloro che gli offrono un'esperienza di sana appartenenza. Inoltre i suoi genitori, seguiti e sostenuti da gruppi amicali, solidali, di vicinato, oltre che dalla rete dei servizi, fanno l'esperienza di essere in relazione e possono così capire cosa significhi avviare la separazione dall'altro per accoglierlo, pensarlo ed essere premurosi. L'empatia verso il prossimo vuol dire non confondersi con chi si ha accanto. Il sentirsi separati quindi fonda la possibilità di occuparsi dell'altro in quanto persona unica ed originale. E grazie a questa percezione di sé che un figlio diventa capace di sani attaccamenti sociali.
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