La paura attraversa la realtà umana poiché ne sottolinea la fragilità, l’esposizione cioè alla catastrofe esterna ed interna.
La vita psichica è vulnerabile, e può sempre collassare.
Il corpo è mortale, e può sempre ammalarsi.
Ma è sempre stato dei giovani negare tale dolorosa precarietà della vita. E’ tipico dei ragazzi infatti glissare sul contratto a termine che l’esistenza stipula con ciascun essere umano.
Eppure oggi gli adolescenti sono molto spaventati.
Sono paralizzati da quel senso di distruttività che viene veicolato da una realtà troppo esposta allo sguardo.
Vedono molto di più di quanto possono comprendere, digerire, assimilare, interrogare, approfondire, riflettere…
L’eccessiva visibilità della realtà distrugge in loro la capacità di sognare, di fantasticare, di creare mondi possibili.
Senza queste possibilità l’essere umano rimane paralizzato dal terrore.
Fermiamoci dunque sulla morte; essa infatti può suscitare un’angoscia che può far retrocedere le nuove generazioni dalla voglia di vivere.
La guerra, vicina o lontana che sia, entra quotidianamente con la tv nelle case esponendo i ragazzi ad una dimensione di violenza a cui nulla possono contrapporre. E’ visibile, ma è invisibile l’apporto che ciascuno può dare per fermarla. Ci si uccide , si fanno stermini, si operano eccidi di massa in un carosello di immagini feroci e truci. Sempre drammatiche. Ma ogni giovane è chiamato solo a guardare. Tutto avviene troppo distante da una sua possibilità di intervenire, esserci, combattere, testimoniare…
E ancora immagini di strage nelle strade dove ogni sabato sera si contano i giovani morti. Lamiere contorte e corpi esanimi sono proiettati dentro ad una scatola luminosa che accompagna il pasto dei nostri ragazzi rientrati da scuola, dalla palestra, dalla parrocchia...
Non bastasse, ragazzi impazziti che uccidono e si uccidono, danno fine alla vita e pongono fine alla loro vita, odiano e si odiano, accompagnano la cronaca quotidiana dei notiziari.
Ed allora gli adolescenti, a questa overdose di immagini imposte, cercano di contrapporre i loro filmati.
In una sorta di ribellione al subire passivamente il dolore, cercano di esserne protagonisti, di passare cioè dal viversi come attori passivi, al divenire soggetti in scena.
Per questo è possibile osservare il fenomeno di YouTube, Facebook, o dei siti similari, come l’antidoto che i giovani hanno trovato allo smarrimento, al vuoto di protagonismo, all’incalzante paura di una vita senza prospettive.
Le loro produzioni li aiutano a vincere il terrore derivato dal subire la realtà senza poterla modificare, riinventare, creare, riformulare, scoprire… E questo dare nuova forma al mondo è stato, da sempre, il compito delle nuove generazioni, in una illusoria - quanto sana e necessaria - allucinazione di poter architettare una nuova esistenza per non averne paura.
I giovani hanno escogitato allora un modo per giocare ad essere protagonisti quando tutto concorre a farli sentire fuori gioco.
I grandi possono osservare, invidiare, studiare il fenomeno. Ma almeno questo spazio non dovrebbero andare ad occuparlo.
Questo rispetto per uno spazio privato che si cimenta con il manipolare, creare, programmare, inventare, possedere lo dobbiamo ai nostri ragazzi. E se lo fanno così pubblicamente è proprio perché è del troppo visibile che hanno paura.
Paola Scalari e Francesco Berto
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