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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
  • Emanuela ha scritto Altro
    Siamo messi male
    Oh come mi... Venerdì, 05 Dicembre 2014
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    Chi è Educatore ha espresso... Sabato, 23 Novembre 2013
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    Ragazze Invisibili
    Una brutta,... Mercoledì, 20 Novembre 2013
  • Michela ha scritto Altro
    Io penso...
    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013

Il confinamento duro si è concluso, per ora. Ma il virus gira e rimane pericolosamente presente ricordandoci che siamo mortali. Quindi – d’ora in poi – ottempereremo a norme di sicurezza molto precise tanto quanto avremo capito che l’interdipendenza esiste e che non siamo in grado di evitarla. Il pianeta che abitiamo è unico e dobbiamo prendercene cura insieme. Tutto qui. Sapremo però uscire dall’emergenza consapevoli del nostro limite individuale durante la nostra breve esistenza sulla Terra? E questo sgonfierà i nostri Ego smisurati? Saremo in grado di lasciare il nostro tracotante narcisismo per scoprire il rispetto dell’Altro?

Possiamo pensare che la libertà, interpretata come il fare ciò che pare e piace, sia un’illusione che porta all’autodistruzione? Arriveremo a capire che invece c’è una libertà etica che è fondata sulla convivenza sociale e sulla prossimità rispettosa?

Ripartire dall’intreccio relazionale per uscire dall’emergenza

Lo sapremo comprendere se saremo consapevoli di poter e dover sopportare la frustrazione che limita la nostra libertà, il dolore che deriva dalle perdite subite, il limite tra desiderio e gratificazione immediata, la consapevolezza della morte come realtà fondatrice dell’umano. Un processo innovativo dunque potrà nascere se metteremo al centro delle diverse questioni (scuola, servizi sociali, sanità, ecc.) l’intreccio relazionale che è il terzo tra ciascun soggetto e il suo interlocutore. Per esempio, il problema non è la scuola da aprire o meno, ma la relazione tra insegnanti e alunni e tra docenti e famiglie e tra tutti questi componenti della struttura scolastica e il territorio con le sue diverse associazioni e i suoi molteplici enti di riferimento. Se questi soggetti lavoreranno insieme l’opportunità di un’educazione orizzontale e diffusa nel territorio diverrà realtà.

Lavorare su questo reticolato è dunque l’unica possibilità per ripartire. Il vincolo dunque alla base dell’innovazione sociale, sia con noi stessi, sia con chi conviviamo a casa e nel lavoro, nella comunità e nelle istituzioni. E ogni rapporto è tale solo se si sa considerare il valore, la cultura, la storia, le risorse dell’altro. Credo dunque sia possibile uscire insieme dall’emergenza, e soprattutto non ripiombarci dentro in modo ancora più drammatico, se abbandoneremo l’autoreferenzialità per intraprendere la strada della solidarietà.

Siamo pertanto ad un bivio. L’esito per l’umanità dipenderà dal percorso che imboccheremo. Ci avventureremo nella via della giustizia sociale se saremo consapevoli dell’importanza di mettere in primo piano ‘noi e l’altro’ al posto di ‘noi o l’altro’. Anche l’altro ormai molto anziano, che sta percorrendo l’ultimo tratto del suo cammino esistenziale.

La frase: “Tanto muoiono i vecchietti” è la più odiosa, fascista e inumana ascoltata uscire dalle labbra stolte di energumeni senza cuore. Tanti, troppi, molti sono purtroppo gli inumani di ogni età, ceto sociale, appartenenza professionale. E sono quelli che, spavaldamente, se ne vanno in giro per le strade, nei negozi, nei bar, nelle spiagge disattendendo le regole della convivenza rispettosa. Tutte queste non sono persone coraggiose, ma miseri individui risultato di anni di latitanza del pensiero educativo, formativo, civico. L’ignoranza rende disumani. Solo una cultura intrisa del valore della bellezza condivisa ci può salvare.

La negazione del valore dell’altro

La negazione del valore dell’altro è però una difesa dalla propria paura di non valere niente. Covid-19 ha quindi messo in evidenza la paura della piccolezza, inutilità, superfluità che si cela dietro tracotanza, arroganza, prepotenza, noncuranza, menefreghismo. Odio. È questo un atteggiamento già ben conosciuto prima della pandemia, che ora però è visibile in modo trasparente. Un modo di comportarsi egoistico, quindi, non risulta più come un elemento sommerso, bensì come un dato evidente sotto gli occhi di tutti quelli che lo vogliono vedere. E c’è chi attonito lo fotografa, chi arrabbiato chiama le forze dell’ordine, chi indignato manda invettive, chi non se ne fa una ragione e cerca un modo per denunciarlo.

Guardiamo a questa fetta di popolazione indisciplinata con gli occhi mesti di chi non ha saputo trasmettere l’etica della convivenza sociale. Ci chiediamo come recuperare il senso civico così duramente calpestato. Osserviamo chi gira liberandosi velocemente della mascherina per respirare meglio, per chiacchierare, per fumare, per telefonare, per bere nel bar della piazza, per divertirsi in agglomerati festosi. C’è anche chi non la mette perché ritiene lo danneggi o lo affatichi.

Ci chiediamo come possiamo trasformare questi spavaldi e incoscienti modi di fregarsene del vivere comune, ideando luoghi dove il valore sia quello collettivo e non il singolo. Dobbiamo evidentemente rieducare chi si crede furbo perché fa quel che vuole. Lo conoscevamo già, il “bullo di professione”, ma fino alla dichiarazione della pandemia pensavamo di poterci convivere insieme e lo lasciavamo deridere chi è diverso, svilire il gruppo di lavoro, postare nei social frasi vergognose, disattendere le regole del codice stradale, consumare le risorse della Terra, venir meno alla convivenza condominiale, sbraitare nell’aula del parlamento, inquinare l’aria che respiriamo, rubare alla collettività non pagando le tasse, colpire le donne non sottomesse, maltrattare i minori indifesi… Uccidere il senso morale. Questo atteggiamento, adesso lo sappiamo, è pericoloso per tutti. La mancanza di rispetto provoca la morte dell’altro, la fine della civiltà, la minaccia dell’estinzione della specie umana.

Non esistere, ma coesistere: costruire progettualità gruppali per uscire dall’emergenza

Vorremmo allora provare a curare la malattia – ormai epidemica – del terzo millennio: l’attacco ai legami sociali. L’abbiamo vista nascere, diffondersi, cronicizzarsi ed infine esplodere. Essa sta alla base del diffondersi del contagio virale.

La scuola, luogo per eccellenza della crescita delle nuove generazioni, potente microcosmo sociale, ha fatto da cartina di tornasole a questo spartiacque evidenziando chi tra i docenti ha tenuto, con passione e abnegazione, sul piano relazionale e chi invece non ha preso a cuore i suoi studenti inviando inermi compiti da eseguire. Divisi tra il far parte di un mondo consumistico che annienta le relazioni e un mondo educativo incardinato sul pensare all’altro, esserci per lui, apprendere insieme. Tra queste due opzioni ad ognuno la scelta.

Molti hanno anche trasgredito a ordini insensati proprio perché solo il divergere era etico ed educativo. Sappiamo che la disobbedienza è anche una virtù. E lo è quando mette al primo posto il bene altrui.

È con chi allora è stato dalla parte del mantenimento dei rapporti umani che possiamo iniziare a costruire un mondo solidale. Se siamo in pochi cominceremo da chi ci crede. Oggi è arrivato il tempo per considerare se costruire proprie roccaforti egoistiche o se aprirsi all’incontro generativo tra menti in dialogo. Se accaparrarsi risorse o se vivere sobriamente per non consumarne troppe. È tempo di decisioni, dunque.

Coesistere è la parola d’ordine per uscire dall’emergenza. Costruire progettualità gruppali è la strategia migliore. Progettare con gli altri valorizzando l’eterogeneità del pensiero che produce idee inedite è la cifra del nuovo mondo. Questo operare insieme tra istituzioni differenti, tra enti diversi, tra persone appartenenti a plurime professioni richiede la costituzione di gruppi di persone che si mettono a confronto. Ognuna poi deve garantire tempo per parlarsi, disponibilità a interrogare le proprie posizioni, umiltà nell’ascolto di chi è altro da sé, rinuncia alla propria verità assoluta.

Allora avremo imparato davvero qualcosa da questa sconvolgente esperienza che ci ha resi tutti più consapevolmente vulnerabili del bisogno di legami umani, sociali, educativi.

Lìintervento di Paola Scalari è a questo link: Come uscire dall'emergenza ...

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.