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Commenti

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  • Emanuela ha scritto Altro
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La storia
Carla, un'impiegata di un grande ufficio, una mattina arriva al lavoro sventolando un foglio di carta ed affermando ripetutamente : "Ecco il mio bimbo! Guardate com'è carino! E' mio figlio!" Colleghe e colleghi le si fanno attorno incuriositi e scoprono la foto sbiadita di un'ecografia dove con molta fantasia si può distinguere il feto di un bambino.
"Ha solamente pochi mesi -si giustifica Carla- ma si vede già che è un maschio!".
Una collega, mentre ritorna delusa alla sua scrivania, sussurra in modo però da farsi sentire: "Ci vuole parecchia immaginazione per poter affermare che è un maschio! Io non capisco neanche se è un bambino. Mi sembra una cosa indefinita!" Ma viene subito zittita da più voci che l'apostrofano così: "Sei la solita guastafeste! Una persona è anche libera di sognare!", "E' perché non hai avuto figli che sei così acida!", "Cosa pagheresti per essere al suo posto?".
Un'altra collega invece condivide ciò che Carla vede e sente e dà il via ad un applauso gridando : "Evviva alla nuova mamma! Benvenuto al suo bambino! Auguroni a tutti e due!".
Carla ringrazia commossa. La presentazione del suo bimbo in società è riuscita e si sente già mamma!
In ufficio non si fa altro che parlare del figlio che sta aspettando, del nome da mettergli, della sua cameretta, del suo corredino, della sua educazione, del suo futuro, delle scelte che sicuramente farà da grande. Le problematiche relative alla sua prossima venuta in famiglia vengono vagliate una per una: Asilo nido, baby sitter, par-time lavorativo, licenziamento, aspettativa, nonni diventano soluzioni a volte ottimali a volte da scartare a seconda se le propone questo o quel collega.
Nel frattempo foto di nuove ecografie girano per l'ufficio. Il bambino diventa -Ermanno- e la gestante diventa -la sua mamma-.
E si possono fare confronti. "Per me il naso è identico a quello di suo papà" afferma la collega amica di famiglia. "La bocca però è quella della mamma!" le fa eco il vicino di scrivania. "E' pelato come il nostro direttore" -insinua maliziosamente una malalingua riproponendo vecchie e superate allusioni. Un distinto signore con barba e baffi riporta Ermanno sulla scena e, mostrando a tutti l'ecografia, afferma con serietà e convinzione: "Dalla faccia mi sembra un tipo tosto e deciso, proprio come suo nonno e suo padre. Ne farà di strada!".
L'impiegata più giovane, intenta a sbrigare una pratica, solleva il capo dal computer, anticipa provocatoriamente la realtà e, con la stessa serietà e convinzione del collega con la barba, racconta: "Vedo Ermanno che sta uscendo dalla Normale di Pisa. E' a braccetto di Carla e sventola la laurea in ingegneria ottenuta con il massimo dei voti." .C'è un attimo di smarrimento. E' chiaro a tutti che è un invito a non esagerare, ma l'esortazione viene ignorata e si ritorna a volare ancora troppo in alto.
La signora più anziana, chiamata ironicamente -la vecchia-, però, non ci sta e cerca di riportare tutti con i piedi per terra affermando: "Ermanno non è ancora nato e già sapete tutto di lui e Carla, tra poco più di due mesi, partorirà addirittura un bimbo già laureato con centodieci e lode! Non vi sembra eccessivo? Ai miei tempi..." Viene interrotta dalla stessa Carla che, offesa, reagisce affermando: "Ai tuoi tempi non c'erano le ecografie. Sei vissuta al buio. Anche l'amore lo facevi al buio, me l'hai raccontato proprio tu! Sei gelosa perché io vivo alla luce del sole. Io voglio vedere tutto, voglio sapere tutto. E' per questo che sono sempre tranquilla e rilassata". C'è silenzio. Come se per un momento tutti si fossero trovati con i piedi -per terra-. Poi però, visto che con i piedi -per aria- la realtà può essere inventata e manipolata a piacimento e senza fatica, ritornano a chiacchierare come se non fosse successo niente.
Arriva il giorno in cui Carla, con in mano l'ennesima ecografia del figlio, annuncia con tristezza: "E' l'ultima. Il ginecologo mi ha detto che non è più necessario farne delle altre. Adesso, per vedere mio figlio, sono costretta ad aspettare di metterlo al mondo e devono trascorrere due lunghi mesi prima che nasca. E' un'attesa che mi fa paura perché, io che amo la luce, devo trascorrerla al buio, senza cioè l'immagine di Ermanno a farmi compagnia. Da domani, poi, sto a casa dal lavoro perché comincia l'aspettativa per maternità. Mi sento terribilmente sola.".

L'indagine
Scoprire di essere incinta comporta emozioni, paure, felicità e preoccupazioni. La mamma si chiede: "Come sarà il neonato? E come sarò io?".
La donna in questa ricerca coinvolge amici e parenti che con le loro parole, con la rievocazione delle loro storie, con la rinarrazione della vicenda di come ella stessa è venuta al mondo le offrono nuovi stimoli per pensare.
La fantasia parte allora per un lungo viaggio verso mille possibilità, molteplici supposizioni ed infiniti ricordi.
E' attraverso questa incursione nel suo passato che la donna incinta si prepara a saltare nel suo futuro.
E' attraverso il ritorno ad una se stessa bambina che giocava con le bambole, che s'immedesimava in madri solerti o sfiduciate, che osservava con invidia i comportamenti della propria mamma, che sognava di assomigliarle, che la donna in attesa si dispone a vivere la sua maternità.
E' attraverso il ricordo di quella ragazzina che, tra l'insolente ed il provocatorio, si staccava dalla propria madre che la donna in stato interessante si avvia a diventare essa stessa madre.
Lo spazio nel ventre che si prepara a contenere il piccino si confronta con lo spazio nella testa della madre che si prepara ad accoglierlo. La pancia via via cresce, ma con essa cresce anche la sensazione di conoscere il proprio bambino poiché se ne parla, lo si immagina, sovente lo si sogna anche mentre si dorme.
Sono storie notturne che raccontano di quanto lavorio avvenga nel mondo interno della prossima mamma, di quanti dubbi e desideri si affastellino nel suo animo, di quante preoccupazioni e speranza si annidino nel suo cuore.
La fantasia ha quindi un ruolo cruciale nei mesi della gravidanza. Le immagini che si formano nella mente della futura mamma si traducono poi in parole che avvicinano anche il futuro papà alla conoscenza del piccino. E' un gioco di fotografie, di fotogrammi, di filmati che la donna recupera dal proprio mondo interno e che condivide poi con il partner affinché quel bambino che nascerà divenga figlio loro.
Ma se la sensazione di una donna di essere gravida non riesce più ad anticipare qualsivoglia test che lo comprova, se una strana foto chiamata ecografia blocca questo replay della memoria giocato insieme dalla coppia, quale spazio rimane alla madre ed al padre per lasciar libera la loro immaginazione?
"Sarà un maschio o sarà una femmina?" si chiedevano una volta le coppie in attesa di un figlio e questo impatto emotivo tra l'incertezza dell'attesa e la verità dei fatti non comportava forse una serie di sensazioni e di sentimenti che permettevano di -sentire il bambino- di imparare cioè a vederlo e a conoscerlo attraverso il proprio mondo interiore?
"E' un maschio! E' una femmina!" affermano oggi le madri ed i padri in attesa di un bebè e questa certezza non toglie forse spazio al rimuginare di congetture e speranze, non impedisce cioè alla coppia di prepararsi al grande evento giocando con i propri pensieri? In fondo quante volte l'ecografia sentenzia che il figlio sarà maschio mentre la mente, il sogno notturno, la casistica dei nomi prefigurati riportano il pensiero al fatto che potrebbe invece essere una femmina?.
La mente allora in molti casi sa esprimere con forza il suo bisogno di essere lasciata libera di fare il proprio cammino e non va messa a tacere bensì ascoltata e lasciata emergere.

La scoperta
Sapere anticipatamente il più possibile, conoscere per tempo ogni dettaglio, controllare con perseveranza ogni valore sono i dettami del mondo medico nella sua ricerca di garantire buone gravidanze. Questa modalità però, che richiede un periodico esame -oggettivo-, interferisce con la necessaria dolce attesa, che richiede invece un ritmo -soggettivo- per esaminare la situazione.
Se mamma e papà riescono a riflettere su come giochi dentro di loro questo incrocio tra le necessità di -illuminare- con la scienza quanto segretamente avviene nel ventre della donna e quanto -spazio oscuro- rimane a loro disposizione per sognare, diventano in grado di scoprire che l'invasività delle tecniche può precludere loro di affinare gli strumenti necessari per divenire, non tanto biologicamente quanto affettivamente, dei genitori.
Infatti, se tutto sembra già scritto, se tutto è già conosciuto prima ancora che succeda è facile per la donna e l'uomo in attesa del figlio arrivare a scoprire che nel loro immaginario non vi è spazio per l'imponderabile, lo sconosciuto, il non prevedibile, che nei loro pensieri non vi sono vuoti, pagine, luoghi da riempire. E' proprio attraverso la loro capacità di non cadere nel tranello del -sapere già tutto- e nell'illusione di -controllare ogni evento- che marito e moglie si preparano a diventare genitori, ad essere cioè capaci di accettare un figlio che in realtà è uno sconosciuto che devono imparare a conoscere e che li lascerà sorpresi ed increduli per tutte quelle manifestazioni imprevedibili che metterà in campo.
Mamma e papà si devono perciò preparare ad un mestiere che non potranno nè eseguire meccanicamente, nè controllare diagnosticamente, nè dirigere obiettivamente.
Far crescere un bambino vuol dire accettare di so-stare nel buio ed imparare, in questo spazio oscuro, ad avvertire, sentire, percepire i segnali che il piccino invia per illuminare, assieme a lui e attraverso di lui, i pezzettini di strada che via via andranno a schiarirsi. Non è allora sapere anticipatamente come stanno le cose che aiuta a divenire genitore, bensì prepararsi a brancolare nel buio acquisendo la sensibilità del sentire più che del vedere.

Il suggerimento
Prepararsi alla nascita del figlio comporta il dedicare un tempo al silenzio, alla riflessione, alla meditazione. Un tempo senza parole per poter guardare dentro di sé. Un tempo necessario alla mente per -macinare- idee e pensieri. Per questo si sospende il lavoro, si lasciano gli affanni quotidiani, si interrompe la convulsa corsa contro il tempo. Questo lavorio non può essere fatto in fretta, né tanto meno può essere sostituito dall'accanimento terapeutico, dal riempirsi di parole altrui, dal ricercare in libri ed esperti il consiglio più opportuno. Oggi però, a differenza di ieri, è sempre più complicato rinunciare a queste offerte, staccarsi da queste opportunità anche se ogni donna ed ogni uomo riconoscono che è necessario abbandonare il -tutto subito- ed immergersi in quell'atmosfera un po' irreale che accompagna soprattutto gli ultimi mesi della gravidanza.
Ieri il tempo dell'attesa era scandito dal fare, punto su punto, il ricamo sul lenzuolino, le prime scarpette di lana, il golfino di colore neutro poiché il bebè si continuava ad immaginarlo un po' maschio e un po' femmina, il disegno sul bavaglino, la copertina di lana per la carrozzina, le decorazioni della culla.
Oggi questo avere le mani occupate per lasciare vagare la mente può essere sostituito dal dipingere una tenda, dal preparare ninnoli in pasta di sale, dal rispolverare e rimodernare vecchie carrozzine o antiquate culle. Ma il significato del preparare le cose per il bimbo come lavorio con le mani per lasciar vagare i pensieri non può essere proprio sostituito.

In collaborazione con Francesco Berto

Incontri

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.