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Commenti

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    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
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    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013

La poltrona di Giada

E’ Domenica pomeriggio. Nel salotto di casa mamma e papà sono seduti sul divano ed io sono sprofondata sulla poltrona. Guardiamo insieme la TV che sta trasmettendo un programma di varietà

Sto male. E’ come se dentro la testa i pensieri si fossero rotti. Non riesco ad unirli, a capirli.

Ad un certo punto non ne posso proprio più e, senza parlare, spinta da una forza invisibile, mi alzo e cerco di accomodarmi tra la mamma ed il papà.

La mamma mi allontana e mi rimanda al mio posto dicendomi seccata: -Non ci stai! Non vedi che il divano è a due posti, non da tre!-

-Allora cambiamo posto -le rispondo tutta seccata anch’io- Tu ti siedi sulla poltrona, da sola, ed io qui sul divano accanto al papà-.

La mamma non sente ragioni e mi invita o a tornare al mio posto oppure ad andare a giocare nella mia cameretta.

Mi metto a piangere in silenzio perché mi sembra di non aver fatto niente di così sconveniente da essere allontanata, addirittura scacciata, in malo modo! Avevo semplicemente chiesto un cambio di posto!

Il pianto mi calma un po’.

Posso così capire che la paura di rimanere sola al mondo mi viene ogni volta che vedo la mamma seduta accanto al papà e che l’unico modo per farmela passare è quello di andare a mettermi in mezzo a loro due.

Purtroppo c’è la mamma che mi manda sempre via dicendomi che non ci sto.

Ed ha ragione! E’ vero che non ci sto! Sono cresciuta! Peso più di trenta chili e so benissimo che in un divano da due non ci si può stare in tre!

Qualcuno però deve pur cambiare posto! E non può essere il papà perché, poverino, ha diritto di riposarsi alla domenica dopo tutti i viaggi col camion che fa durante la settimana!

Allora tocca alla mamma, che però non ci sta.

E’ perché vuole davvero farmi sentire sola e distaccata là sulla poltrona oppure è perché ha paura di rimanere lei distaccata e sola se cambia di posto?

Alcuni pezzi di pensiero mi rispondono: -Basterebbe togliere la poltrona e prendere un divano più grande e non ci sarebbero più problemi!-

Altri pezzi invece ribattono: -Quella poltrona sta proprio bene lì dov’è! Sarebbe uno sbaglio levarla via!-

Non so quali siano i pensieri sbagliati e quelli giusti.

Quello che so è che mi dispiacerebbe tanto se togliessero la poltrona perché il salotto non sarebbe più lo stesso.

La cattiveria di Massimiliano

Quando avevo quattro anni la mamma era all'ospedale ad aspettare una sorellina ed io ero a casa da solo con il papà.

Una sera stiamo andando a letto assieme. Io sono felice perché mi sento sicuro con mio papà che è grande e forte. All’improvviso squilla il telefono. E’ la mamma. Il papà in fretta e furia prende la macchina e mi abbandona a casa della nonna che è quasi cieca e del nonno che invece è quasi sordo. Poi corre in ospedale. Mi metto a piangere e a pregare Dio di non farmi abbandonare dalla mamma e dal papà. Ho tanta paura! Immagino che facciano nascere una sorellina per volere bene solo a lei e mi sento dimenticato per sempre a casa di una nonna che non vede e di un nonno che non sente. Come fanno a difendermi dai pericoli del mondo?.

E' da quella volta che sono cambiato, che non sono più stato capace di essere quel bambino buono e bravo che ero prima che nascesse mia sorella. La colpa allora è di Rebecca. E’ stata lei a portare dentro di me le cattiverie, i brutti pensieri, la paura di non essere più al sicuro. La odio e, appena posso, la picchio e le faccio i dispetti.

Quello che non capisco e che dopo, se la mamma o il papà non se ne accorgono e non mi sgridano, mi pento di essere stato cattivo con la mia sorellina e sento il dispiacere di averle fatto del male.

Le vacanze di Manuel

Ogni anno, quando ci sono le vacanze e i bambini stanno tutti i giorni a casa con la loro mamma perchè l’asilo è chiuso, la mia mamma mi porta invece dai nonni a Marsala che è tanto distante da qui e per arrivarci ci vogliono due giorni. Dopo tre giorni la mamma se ne torna a casa dal papà e mi abbandona là da solo. Io cerco di essere calmo e buono, ma, quando vedo sul tavolo del salotto della nonna la foto della mamma abbracciata al papà mi metto a piangere perchè mi sento pieno di pensieri che si muovono facendo un rumore così forte da farmi paura.

E se non viene più a prendermi perchè si è accorta che non le sono riuscito tanto bene?

E se si è dimenticata che sono figlio suo?

E se si pente di avermi fatto nascere?

E se è tanto contenta di stare da sola con il papà?

E se sta pensando di mettere al mondo una bambina più buona e più brava di me?

E se vogliono fare un viaggio loro due assieme e poi vanno a finire sotto un treno?

Mi viene la voglia di scappare e di tornare a casa mia, ma non posso, perchè sono piccolo e non sono capace di fare tutta quella strada che mi separa dalla mamma per arrivare a vederla e a prendermela.

E’ la mamma, se mi vuole veramente bene, che dovrebbe venirmi incontro.

Siccome non la vedo mai arrivare, sento una cosa strana nella testa.

E’ la paura che entra dentro, mi prende tutto e mi fa essere un bambino che non vede l'ora che le vacanze finiscano per ritornare a casa sua.

La retromarcia di Tommaso

Io vedo che la mamma guarda sempre la mia sorellina, parla con lei, l'aiuta, le sorride, la prende sempre in braccio, ci gioca insieme, le canta le filastrocche, la fa sentire più importante di me anche se è piccola, disturba, piange sempre, non sa fare niente da sola e si fa ancora tutto addosso.

E’ come se mia sorella mi facesse essere senza genitori, abbandonato al mio destino.

Siccome sto tanto male, anch'io sbaglio tutto, non voglio fare niente da solo, mi faccio la pipì addosso, parlo come i bambini piccoli, voglio essere imboccato dalla mamma o dal papà per poter assomigliare a Monica e sentirmi così guardato ed amato dai genitori.

La mamma, invece di -venirmi dietro- come fa con mia sorella, mi sgrida e il papà, per farmi capire che sono grande, mi picchia.

Mi fanno sentire che è proprio vero che vogliono lasciarmi per tenersi solo la figlia!

E così mi fanno odiare sempre di più mia sorella..

Il dialogo di Serena con sua madre

Un giorno la mamma viene a prendermi all’uscita da scuola.

Sono felice. Non è un avvenimento da tutti i giorni!

Mentre sottobraccio ci avviamo verso casa, la mamma, facendo finta di niente, come se fosse una richiesta da nulla, pensata lì per caso, mi rivolge proprio quella domanda che non avrei voluto sentire perchè ogni volta è l’inizio di un tormentone che non finisce mai:

-Serena, com’è andata oggi?-

-Benino!-

-Come benino?-

-Ma sì, ho preso benino nella verifica di storia e geografia. Domenica hai voluto che venissi al cinema con te e poi mi sono dimenticata di ripassare queste due materie. Un po’ è anche colpa tua !-

-Non stiamo parlando di colpe. Non cambiare discorso. Dimmi invece cosa ha preso la figlia della maestra di tuo fratello?-

-Mamma, non cominciamo con la solita storia! Te lo dico e poi basta domande. Non lo so di preciso, mi sembra ottimo!-

-Tu benino e lei ottimo. Non ti vergogni!-

-Io no! Ma perchè mai dovrei vergognarmi?-

-Lasciamo stare che è meglio! Non voglio parlare di te! Dimmi invece, cos’ha meritato la figlia della cartolaia?-

-Mamma, non lo so e non mi interessa! Lasciami in pace per favore! Sono stata a scuola otto ore!-

-Una mamma deve sapere tutto e sei tu a dovermelo raccontare visto che io a scuola non ci sono!

-Credo abbia meritato distinto, ma non ne sono tanto sicura!-

-Anche lei più di te! Sua madre non vedrà l’ora di dirmelo che ha una figlia più brava della mia. Sapessi quanto le piace farmi star male! Non la sopporto già di mio quella cartolaia ed adesso ti ci metti pure tu facendo peggio di sua figlia! Ma lo sai almeno in che brutte situazioni mi hai messo con il tuo benino?--

Le rispondo con il silenzio che viene però subito riempito da un’altra richiesta della mamma:

-Dimmi Serena, il figlio della signora dell’ultimo piano, quella con la puzza sotto il naso, che si crede di essere chissà chi, cosa ha preso?

-Se stai parlando di Giangiacomo, so di sicuro che è stato valutato insufficiente con in più una nota da far firmare a casa!- le dico tutto d’un fiato con la speranza che la -bella- notizia- la tranquillizzi e le permetta di lasciarmi finalmente in pace.

Ed infatti afferma: -Meno male! Finalmente una bella notizia! Non vedo l’ora di incontrare sua madre nell’ascensore.....-

-Perchè?- la interrompo curiosa

-Pensa a studiare tu, invece di impicciarti delle mie cose!-

-Ma senti chi parla!-

-Io sono tua madre ed ho il diritto di sapere tutto, ricordatelo!- sono le ultime parole che dice mentre, tutta agitata, non riesce a trovare la chiave giusta per aprire la porta di casa!-

L’attesa di Elisabetta

Mi ricordo che ero piccola ed andavo all'asilo dove c’erano tanti altri bambini e bambine. Vedo suor Teresa che ci fa mettere il cappotto , ci porta tutti in fila nel salone d'entrata e ci fa sedere sulle panchine ad aspettare i genitori che vengano a prenderci per tornare finalmente a casa nostra. Tutte le mamme arrivano e portano a casa i loro bambini. Io rimango da sola nella grande sala ad aspettare la mamma che però non arriva. Mi metto a piangere. Penso che voglia abbandonarmi perchè si accorta che sono una figlia troppo disubbidiente e cattiva per lei.

Suor Teresa, intanto, deve chiudere il portone dell'asilo, ma non sa cosa fare di me. Ho paura che mi porti in un'altra famiglia che non conosco e che mi lasci lì per sempre perchè c'è una mamma che non lavora come la mia e così può venirmi a prendere all'orario giusto. Io non voglio cambiare famiglia e neanche cambiare mamma!

Per farlo capire alla suora mi metto ad urlare come una disperata.

Quando sto per sentirmi persa e sola per sempre, vedo arrivare la mamma di corsa. Posso tirare, finalmente, un sospiro di sollievo. Sono salva!

Racconta alla suora che si era dovuta fermare un po' di più al lavoro e che era arrivata in ritardo anche a causa del traffico.

Io capisco che la figlia di una mamma che lavora non deve aver paura di essere abbandonata e che deve mettersi in testa che sarà sempre l'ultima bambina a tornare a casa dall'asilo, ma che colpa ne ho se questa cosa non è fatta per stare dentro alla mia testa?

La fretta di Christian

Io, siccome non vedevo l'ora di nascere per conoscere la mia mamma ed il mio papà, vengo al mondo in anticipo di due mesi Allora, per punirmi di aver sbagliato orario, i dottori mi fanno stare tutto questo tempo chiuso dentro ad una incubatrice, da solo, anche se sono appena nato.

Ogni giorno che passa mi chiedo: "Ci devono essere sicuramente mia mamma e mio papà tra tutte queste persone sconosciute che vengono a guardarmi! Ma come faccio a capire chi sono se non li ho mai visti prima?"

Passati i due mesi in quella prigione vedo arrivare un uomo ed una donna. Mi sorridono. Mi tirano fuori dall'incubatrice. Mi baciano. Mi chiamano Christian. Mi mettono un bel vestitino azzurro. Mi parlano. Mi fanno sentire che sono contenti di avermi

Capisco che devono essere i miei genitori, ma non ne sono tanto sicuro! E se poi mi sbaglio?

Solamente quando si decidono di portarmi a casa mia sento che sono proprio mia mamma e mio papà e divento un bambino sicuro..

La paura di Francesco

E' inverno ed è sera. Io, i miei quattro fratelli, mamma, papà e nonna siamo seduti a tavola per la cena. Ad un certo punto il babbo afferma: -Manca il vino!- e rivolgendosi verso me ed Ilario, i due figli più grandi, ordina: -Uno di voi due vada in cantina a prenderne una bottiglia!- C' è silenzio. La cantina, con il buio della sera, per noi bambini è un mondo che ci affascina ed anche ci terrorizza. Le parole della nonna, che un giorno ci ha raccontato del rifiuto di Attila, il grosso gatto di casa, a frequentare ed impossessarsi di quel luogo buio per paura di essere assalito dai grossi topi nascosti tra le fila di fiaschi, bottiglie, damigiane e vecchi mobili accatastati, fanno riecheggiare in noi antiche e nuove angosce e , quasi all'unisono, rispondiamo: -Io non ci vado. Ho paura di quel posto scuro e silenzioso.- Mamma e papà, increduli, rinnovano l'ordine offrendoci questa soluzione : -Andateci insieme così vi fate coraggio a vicenda!-

Come fanno a non sapere che le paure di un bambino raddoppiano e non diminuiscono quando si incontrano con quelle di un altro bambino? Una volta sono stati piccoli anche loro, perchè non se lo ricordano mai?

Ed insistiamo nel rifiuto con la speranza di essere capiti.

Il comando ci viene invece imposto con più determinazione e, per convincere i genitori della terribile realtà che ci aspetta se scendiamo in cantina, la mettiamo direttamente in scena facendo apparire mostri che ci divorano, fantasmi che ci incatenano, diavoli che ci infilzano, serpenti che ci avvelenano. Il risultato è che viene accolta come una rappresentazione scherzosa, addirittura comica. Le nostre angosce vengono infatti disconosciute, le nostre paure ridicolizzate, le nostre fantasie disprezzate. Ci sentiamo non visti, inesistenti, inascoltati, soli, mortificati per quello che siamo e che sentiamo.

Io, a distanza di anni, non riesco a dimenticare quella sera d'inverno!

In un clima di risate e di prese in giro ho subito la massima violenza e la più grande ingiustizia che un bambino di nove anni possa vivere: il cogliere negli occhi e nell'atteggiamento dei genitori indifferenza e disprezzo per quello che stavo sentendo e vivendo. Uno sculaccione od una sberla per quel mio rifiuto, atti comunque ingiusti e violenti, mi avrebbero fatto soffrire meno perchè mi facevano sentire esistente nella testa dei miei familiari.

In collaborazione con Francesco Berto

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.