Rita e Jacopo
E’ notte fonda.
Jacopo, disteso sul divano del salotto ed avvolto in un morbido plaid non riesce a prendere sonno.
Le parole di sua madre continuano a rimbombargli in testa: - Te l’avevo detto fin dall’inizio della tua storia con Rita che quella ragazza non era la moglie adatta per te! Te l’avrò ripetuto mille volte che una donna che fuma come una turca, che si cambia d’abito due o tre volte al giorno, che spende una fortuna in profumeria, che passa ore ed ore a farsi bella, che poi bella non è, non era degna di diventare tua moglie e, soprattutto, la madre dei miei nipotini. Povero figlio mio! Perchè non mi hai ascoltata? -
Jacopo cerca di tacitarle con il ricordo di una Rita bellissima, desiderabile, affascinante, piena di brio.
E la rivede in riva al mare in un’afosa serata estiva senza luna.
Prima, tenera e seducente, lo abbraccia mordicchiandogli un orecchio.
Poi, splendida e folgorante, gli sussurra: -Ti amerò per sempre -
Ed infine, decisa e spregiudicata, suggella con un bacio mozzafiato questa promessa.
E lui, così terribilmente preoccupato della sua oscura insicurezza, si trova finalmente rischiarato dalla luce di questa ragazza.
Quanto aveva amato l’euforia trascinante della sua Rita. E si sente invaso dalle immagini del loro periodo di innamoramento.
- Roba passata - si dice.
E con un gesto automatico spegne la luce.
Rimane al buio.
Il suo film interiore però non si interrompe.
Prima rivede Rita nel suo aderente abito rosso fuoco al loro primo appuntamento. Una fiammata di vita e d’amore!
Poi risente il padre che lo rimbrotta: - Non vedi come Rita ti cerca. Svegliati, figliolo! -
E ritorna a sentirsi Jacopo, il bel tenebroso, ma anche l’orso solitario, come da sempre lo definiscono amici e parenti.
Improvvisamente le immagini si fermano sul fotogramma di un se stesso sempre criticato, sempre rimproverato, sempre rifiutato. Mai capito.
Brividi freddi gli percorrono la schiena. Si sente gelare. Trema tutto.
Si alza di scatto e va in cerca di un’altra coperta.
Silenzioso, entra nella camera dove, avvolta in un piumone ocra e rosso, riposa la moglie.
Fissa la donna con astio e ripensa agli ultimi anni di matrimonio.
Tra sé e sé si giustifica:- Rita non ha fatto altro che disprezzare i miei modi di fare -
E, dopo un attimo di ripensamento, conclude: - Forse le sono mancato io come marito -
Si ferma sullo stipite della porta, stupefatto di questo suo stesso pensiero. Si ravviva i folti capelli brizzolati con le dita delle mani. Afferra un ingombrante plaid appoggiato su una poltroncina e si ritira in salotto subito dopo aver chiuso, silenziosamente, l’uscio della camera matrimoniale.
Non chiude però il flusso dei suoi pensieri.
E si ritrova disteso sul divano sotto una montagna di coperte che gli pesano senza riscaldarlo.
Coricato su quel letto provvisorio viene assalito dalle solite domande:
- Come dico a Rita che me ne voglio andare da casa?- Si agita. Le coperte gli scivolano per terra e… si ritrova senza protezione.
- Come le comunico che non ne posso più di questa vita?- Si innervosisce. Il freddo lo avvolge tutto e… non riesce a riscaldarsi.
- Come dirò ai miei figli che me ne vado di casa?- Si spaventa. Si gira e si rigira sul divano alla ricerca di una posizione più comoda e… cade sul tappeto sopra il mucchio di coperte.
Per scappare dalla decisione si addormenta precipitando in un sonno agitato.
Il suo inconscio però rimane sveglio. Jacopo infatti sogna.
Nel giardino della sua casa dell’infanzia un bambino è caduto in un buco nero. Viene risucchiato nel ventre della terra. Nessuno sa chi sia. Nessuno riesce a rispondere alle sue richieste di aiuto.
Il piccino precipita sempre più in basso. Nessuno sa come intervenire. Nessuno riesce a raggiungerlo.
Le sue richieste di aiuto si affievoliscono sempre di più, fino a scomparire. Nessuno cerca soluzioni alternative per liberarlo. Nessuno cerca di contrastare la terribile realtà.
Tutto sembra predestinato, definitivo, immutabile.
Jacopo pensa che come ingegnere meccanico dovrebbe essere in grado di trovare un efficace rimedio.
Mentre prepara velocemente i suoi macchinari si accorge con raccapriccio che il bambino che sta precipitando è suo figlio Andrea e che dentro al buco c’è pure l’altro suo figlio più grande, Antonio, che era accorso per salvare il fratellino.
A questo punto Jacopo si sveglia. Terrorizzato.
E’ in un bagno di sudore. Disperato.
Accende la luce per assicurarsi che stava sognando, ma la realtà fatica a cancellare l’incubo che si dissolve poco a poco lasciandogli appiccicata addosso una indefinita sensazione di sgomento.
L’uomo cerca di capire.
Comprende cha ha paura di perdere i figli.
Si sente invaso dal prepotente bisogno di rassicurarsi che stanno dormendo.
Si alza dall’improvvisato giaciglio.
Si avvia verso la loro cameretta.
Si tranquillizza vedendoli dormire.
Si china su Andrea e gli rimbocca le coperte.
Si avvicina poi ad Antonio e gli sfiora con una carezza la guancia rosea.
I due bambini aprono gli occhi. Gli sorridono rassicurati. Si rigirano nel letto. E continuano il loro tranquillo sonno.
Jacopo però non se ne va. Si siede sul tappeto. Raccoglie i giocattoli che i due bimbi hanno lasciato sparsi per terra. Intanto il tempo passa. E si ritrova con in mano un malandato trenino, che era già stato suo, e che cerca, ostinatamente, di far funzionare. Inutilmente, però.
Il nuovo giorno sta per cominciare.
Rita sente il marito aggirarsi con passo felpato per la casa.
Tenta di riaddormentarsi.
Potrebbe dormire per altre due ore.
Il sonno non viene.
E’ irritata.
Si alza per farsi una tisana calmante.
La casa è semibuia.
Incontra Jacopo fuori della cameretta dei figli.
Ha in mano il trasformatore di uno sgangherato locomotore.
Complice l’oscurità, i due si scontrano. Si guardano immoti. Si scansano imbarazzati.
Senza una parola.
Lui, infastidito, cerca di rientrare nella camera dei bimbi.
Lei, decisa, lo blocca.
Lui si ferma. Muto.
Lei rompe il silenzio. Risoluta.
Si rammarica: - Jacopo, non possiamo continuare ad andare avanti così! O mi lasci o stai con me. Io non ne posso più di sentirti così lontano, indifferente. Alle volte anche ostile. Forse è meglio che ci separiamo -
Poi ringhia:- Ricordati però che i bambini sono miei… Antonio ed Andrea rimangono con me… Per vederli devi chiedere il mio permesso… -
La valanga di parole sussurrate con amarezza e con astio nel buio della casa sommerge l’uomo che si ritira in un angolo. Paralizzato.
Rita accende una lampada, lo guarda incredula, lo scuote alle spalle e lo apostrofa così: - Parla, dì qualcosa, sei il solito codardo -
Lui le risponde con un silenzio, carico di una tacita violenza.
Lei, allora, lo strattona per la manica del pigiama e lo aggredisce: - Sei un disgraziato. Mi hai rovinato la vita. Adesso basta. Ora me la riprendo. Tutta. E te la farò pagare. Salata!-
Poi, spaventata della sua rabbia, si ferma e, con tono pacato, continua: - Io ti ho dato tutto. Io ti amato tanto. Io ti ho regalato due amori di figli. Tu invece non mi hai dato niente. Tu non mi hai mai voluto veramente bene. Tu non sei mai stato felice con me. Cosa vuoi fare? Non puoi trascinarci nel tuo abisso. Devi andartene. Devi farlo per i tuoi figli -
Jacopo, si veste ed esce di casa.
Unico segnale del suo disappunto lo sbattere fragoroso della porta blindata dell’ingresso.
Rita, esausta e stordita, si accascia sulla poltrona.
Sola, ancora una volta.
Con tutta la forza che ha in corpo dichiara a se stessa: - Quando torna a casa lo trascino dall’avvocato. Voglio la mia libertà, la mia vita, i miei figli, la mia casa. Voglio il divorzio. Non mi merita -
Poi le lacrime hanno il sopravvento sulle parole e non le rimane che il loro sapore salato ed amaro a ricordarle la sua sconfitta.
Sullo stipite della porta vede Andrea, seminudo ed immobile, al centro di una pozza di pipì.
Il bimbo ha gli occhi così gonfi di lacrime da non aver bisogno di piangere per farle uscire.
- Da quanto tempo sei lì?- gli chiede agitata.
- Dove è andato a dormire papà? - le risponde il piccolo correndole incontro e abbracciandola.
E le lacrime dell’uno si confondono con quelle dell’altro.
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