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Commenti

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    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013

Rita e Jacopo

E’ notte fonda.

Jacopo, disteso sul divano del salotto ed avvolto in un morbido plaid non riesce a prendere sonno.

Le parole di sua madre continuano a rimbombargli in testa: - Te l’avevo detto fin dall’inizio della tua storia con Rita che quella ragazza non era la moglie adatta per te! Te l’avrò ripetuto mille volte che una donna che fuma come una turca, che si cambia d’abito due o tre volte al giorno, che spende una fortuna in profumeria, che passa ore ed ore a farsi bella, che poi bella non è, non era degna di diventare tua moglie e, soprattutto, la madre dei miei nipotini. Povero figlio mio! Perchè non mi hai ascoltata? -

Jacopo cerca di tacitarle con il ricordo di una Rita bellissima, desiderabile, affascinante, piena di brio.

E la rivede in riva al mare in un’afosa serata estiva senza luna.

Prima, tenera e seducente, lo abbraccia mordicchiandogli un orecchio.

Poi, splendida e folgorante, gli sussurra: -Ti amerò per sempre -

Ed infine, decisa e spregiudicata, suggella con un bacio mozzafiato questa promessa.

E lui, così terribilmente preoccupato della sua oscura insicurezza, si trova finalmente rischiarato dalla luce di questa ragazza.

Quanto aveva amato l’euforia trascinante della sua Rita. E si sente invaso dalle immagini del loro periodo di innamoramento.

- Roba passata - si dice.

E con un gesto automatico spegne la luce.

Rimane al buio.

Il suo film interiore però non si interrompe.

Prima rivede Rita nel suo aderente abito rosso fuoco al loro primo appuntamento. Una fiammata di vita e d’amore!

Poi risente il padre che lo rimbrotta: - Non vedi come Rita ti cerca. Svegliati, figliolo! -

E ritorna a sentirsi Jacopo, il bel tenebroso, ma anche l’orso solitario, come da sempre lo definiscono amici e parenti.

Improvvisamente le immagini si fermano sul fotogramma di un se stesso sempre criticato, sempre rimproverato, sempre rifiutato. Mai capito.

Brividi freddi gli percorrono la schiena. Si sente gelare. Trema tutto.

Si alza di scatto e va in cerca di un’altra coperta.

Silenzioso, entra nella camera dove, avvolta in un piumone ocra e rosso, riposa la moglie.

Fissa la donna con astio e ripensa agli ultimi anni di matrimonio.

Tra sé e sé si giustifica:- Rita non ha fatto altro che disprezzare i miei modi di fare -

E, dopo un attimo di ripensamento, conclude: - Forse le sono mancato io come marito -

Si ferma sullo stipite della porta, stupefatto di questo suo stesso pensiero. Si ravviva i folti capelli brizzolati con le dita delle mani. Afferra un ingombrante plaid appoggiato su una poltroncina e si ritira in salotto subito dopo aver chiuso, silenziosamente, l’uscio della camera matrimoniale.

Non chiude però il flusso dei suoi pensieri.

E si ritrova disteso sul divano sotto una montagna di coperte che gli pesano senza riscaldarlo.

Coricato su quel letto provvisorio viene assalito dalle solite domande:

- Come dico a Rita che me ne voglio andare da casa?- Si agita. Le coperte gli scivolano per terra e… si ritrova senza protezione.

- Come le comunico che non ne posso più di questa vita?- Si innervosisce. Il freddo lo avvolge tutto e… non riesce a riscaldarsi.

- Come dirò ai miei figli che me ne vado di casa?- Si spaventa. Si gira e si rigira sul divano alla ricerca di una posizione più comoda e… cade sul tappeto sopra il mucchio di coperte.

Per scappare dalla decisione si addormenta precipitando in un sonno agitato.

Il suo inconscio però rimane sveglio. Jacopo infatti sogna.

Nel giardino della sua casa dell’infanzia un bambino è caduto in un buco nero. Viene risucchiato nel ventre della terra. Nessuno sa chi sia. Nessuno riesce a rispondere alle sue richieste di aiuto.

Il piccino precipita sempre più in basso. Nessuno sa come intervenire. Nessuno riesce a raggiungerlo.

Le sue richieste di aiuto si affievoliscono sempre di più, fino a scomparire. Nessuno cerca soluzioni alternative per liberarlo. Nessuno cerca di contrastare la terribile realtà.

Tutto sembra predestinato, definitivo, immutabile.

Jacopo pensa che come ingegnere meccanico dovrebbe essere in grado di trovare un efficace rimedio.

Mentre prepara velocemente i suoi macchinari si accorge con raccapriccio che il bambino che sta precipitando è suo figlio Andrea e che dentro al buco c’è pure l’altro suo figlio più grande, Antonio, che era accorso per salvare il fratellino.

A questo punto Jacopo si sveglia. Terrorizzato.

E’ in un bagno di sudore. Disperato.

Accende la luce per assicurarsi che stava sognando, ma la realtà fatica a cancellare l’incubo che si dissolve poco a poco lasciandogli appiccicata addosso una indefinita sensazione di sgomento.

L’uomo cerca di capire.

Comprende cha ha paura di perdere i figli.

Si sente invaso dal prepotente bisogno di rassicurarsi che stanno dormendo.

Si alza dall’improvvisato giaciglio.

Si avvia verso la loro cameretta.

Si tranquillizza vedendoli dormire.

Si china su Andrea e gli rimbocca le coperte.

Si avvicina poi ad Antonio e gli sfiora con una carezza la guancia rosea.

I due bambini aprono gli occhi. Gli sorridono rassicurati. Si rigirano nel letto. E continuano il loro tranquillo sonno.

Jacopo però non se ne va. Si siede sul tappeto. Raccoglie i giocattoli che i due bimbi hanno lasciato sparsi per terra. Intanto il tempo passa. E si ritrova con in mano un malandato trenino, che era già stato suo, e che cerca, ostinatamente, di far funzionare. Inutilmente, però.

Il nuovo giorno sta per cominciare.

Rita sente il marito aggirarsi con passo felpato per la casa.

Tenta di riaddormentarsi.

Potrebbe dormire per altre due ore.

Il sonno non viene.

E’ irritata.

Si alza per farsi una tisana calmante.

La casa è semibuia.

Incontra Jacopo fuori della cameretta dei figli.

Ha in mano il trasformatore di uno sgangherato locomotore.

Complice l’oscurità, i due si scontrano. Si guardano immoti. Si scansano imbarazzati.

Senza una parola.

Lui, infastidito, cerca di rientrare nella camera dei bimbi.

Lei, decisa, lo blocca.

Lui si ferma. Muto.

Lei rompe il silenzio. Risoluta.

Si rammarica: - Jacopo, non possiamo continuare ad andare avanti così! O mi lasci o stai con me. Io non ne posso più di sentirti così lontano, indifferente. Alle volte anche ostile. Forse è meglio che ci separiamo -

Poi ringhia:- Ricordati però che i bambini sono miei… Antonio ed Andrea rimangono con me… Per vederli devi chiedere il mio permesso… -

La valanga di parole sussurrate con amarezza e con astio nel buio della casa sommerge l’uomo che si ritira in un angolo. Paralizzato.

Rita accende una lampada, lo guarda incredula, lo scuote alle spalle e lo apostrofa così: - Parla, dì qualcosa, sei il solito codardo -

Lui le risponde con un silenzio, carico di una tacita violenza.

Lei, allora, lo strattona per la manica del pigiama e lo aggredisce: - Sei un disgraziato. Mi hai rovinato la vita. Adesso basta. Ora me la riprendo. Tutta. E te la farò pagare. Salata!-

Poi, spaventata della sua rabbia, si ferma e, con tono pacato, continua: - Io ti ho dato tutto. Io ti amato tanto. Io ti ho regalato due amori di figli. Tu invece non mi hai dato niente. Tu non mi hai mai voluto veramente bene. Tu non sei mai stato felice con me. Cosa vuoi fare? Non puoi trascinarci nel tuo abisso. Devi andartene. Devi farlo per i tuoi figli -

Jacopo, si veste ed esce di casa.

Unico segnale del suo disappunto lo sbattere fragoroso della porta blindata dell’ingresso.

Rita, esausta e stordita, si accascia sulla poltrona.

Sola, ancora una volta.

Con tutta la forza che ha in corpo dichiara a se stessa: - Quando torna a casa lo trascino dall’avvocato. Voglio la mia libertà, la mia vita, i miei figli, la mia casa. Voglio il divorzio. Non mi merita -

Poi le lacrime hanno il sopravvento sulle parole e non le rimane che il loro sapore salato ed amaro a ricordarle la sua sconfitta.

Sullo stipite della porta vede Andrea, seminudo ed immobile, al centro di una pozza di pipì.

Il bimbo ha gli occhi così gonfi di lacrime da non aver bisogno di piangere per farle uscire.

- Da quanto tempo sei lì?- gli chiede agitata.

- Dove è andato a dormire papà? - le risponde il piccolo correndole incontro e abbracciandola.

E le lacrime dell’uno si confondono con quelle dell’altro.

Incontri

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.