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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
    Essere genitori e non amarsi: difficile!... Domenica, 14 Giugno 2015
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    Nel film "Il ladro di... Lunedì, 18 Novembre 2013

In un polveroso garage una vecchia utilitaria accoglie tra le sue lamiere ormai arrugginite due giovani ragazzi.

E' stata Alessia a trascinare in quel ventre scuro il suo Rocco con il dichiarato intento di impedire alle loro voci sempre più nervose di essere udite.

Sul fondo dell'auto si sta formando una montagnola di fazzoletti spiegazzati dove le lacrime dell'uno si mescolano con quelle dell'altro.

Sparpagliati tra vecchi scarponi, bottiglie impolverate e scatole vuote volteggiano dei post-it ridotti in minuscoli pezzettini per cancellare promesse ormai sorpassate.

Sul pavimento di cemento del disordinato garage in cui la famiglia di Alessia mette al riparo, oltre all'auto, ogni tipo di cianfrusaglia, giace un piccolo anello pegno d'amore per il recente San Valentino.

"Non posso stare più con te" sono state le misurate parole pronunciate quello stesso mattino da Rocco mentre, a fianco di Alessia, varcava il pesante cancello del liceo. Nulla di più, anche perché si era ripromesso di rimanere insensibile al dolore di colei che lo aveva affascinato con il suo dolce visetto cosparso di lentiggini vellutate. Affermazione senza possibilità di replica, anche se Rocco aveva accompagnato il suo dire con due brucianti lucciconi che sgorgarono silenziosamente dai suoi occhi neri come il fondo di un pozzo. Lacrime che solcarono liberamente quel suo tenero volto appena segnato da una nascente peluria scura. Singhiozzi trattenuti che però lasciarono aperto nel cuore della ragazza un filo di speranza che le tenne compagnia durante tutta la mattinata. Potevano infatti essere l'avvisaglia di un pentimento.

La prima campanella segnò l'inizio di un intervallo che permise ad Alessia di confidarsi con le amiche. Ed arrivò finalmente, con il secondo suono della campanella, la fine della giornata scolastica.

Alessia titubante chiese udienza al suo compagno.

Rocco si fece convincere di andare con lei senza alcuna resistenza.

Alessia lo accompagnò, tenendolo per mano, fino al garage del condominio dove abitava.

Sperava di ricevere spiegazioni.

Desiderava dare libero sfogo ai suoi sentimenti.

Solamente cupi silenzi hanno però riempito quell'angusto e freddo abitacolo.

Nulla si è dunque mai chiarito.

I due ragazzi giacciono quindi da ore uno accanto all'altro mentre lo scorrere inutile del tempo li porta sempre più lontani.

Alessia è pentita di aver trascinato il suo ex nei cupi sotterranei del condominio e nasconde i suoi occhi stanchi dietro ad una cascata di capelli che le cala, come un pesante sipario, sul volto trasfigurato e serra quel suo petto da così poco tempo fiorito incrociando le sottili braccia. Le mani lasciano solo per brevi istanti la schiena ricurva e si dirigono, frettolose ed incerte, sulla pelle raggelata, quasi a voler puntellare un corpo che si sta sbriciolando sotto l'urto dei continui sussulti.

Rocco si concentra invece sul rimbombo che giunge dalle auto e dai camion che corrono nella vicina arteria che porta verso l'autostrada. Bloccato anche lui come un autista sulla maledetta tangenziale troppo bagnata da sangue innocente. E' intrappolato in un terribile ingorgo senza via d'uscita. Attende quindi che la circolazione riprenda. Altro non può fare.

E' quindi Alessia che, improvvisamente, mette in moto la comunicazione. Reagisce attingendo alla fonte del suo amor proprio così come suo padre e sua madre le hanno insegnato a fare ogniqualvolta la vita ha cercato di piegarla.

Rabbiosa toglie dalla sua custodia il cellulare che se ne sta racchiuso in un grazioso sacchetto raffigurante Hello Kitty. Determinata cerca l'archivio. Sicura legge alcuni testi di sms da lei religiosamente custoditi. Concitata rinfaccia all'amato i più di cinquanta messaggi di buona notte che alla sera lui le aveva inviato.

Rocco, pur riascoltando rapito quegli affettuosi poemi che gli costarono notti insonni, mantiene una statuaria impassibilità. Unico gesto una mano ribelle che va, solitaria, a grattare nervosamente la chioma disordinata. Le sue dita affusolate vengono però immediatamente richiamate all'ordine da una voce interiore che pretende un sollecito ritorno alla disciplina. Unico segno dello sforzo un involontario serrarsi delle labbra che diventano due lame luccicanti.

Alessia non si arrende. Cerca nella galleria la serie di filmati arditi che si fecero a Capodanno per suggellare il loro amore. In cuor suo spera che quel loro groviglio di sessi in calore accompagnati da audaci parole la aiuti a fargli cambiare idea.

Rocco tuttavia sempre più immobile ed ingessato non fa commenti. Mantiene una posizione di provocante mutismo. Nella sua testa però volteggiano inconfessabili fantasie, ora intrepide ora brutali. Per non farle trasparire lotta come un guerriero solitario. Le cattura, le imprigiona e le uccide.

Alessia non si dà per vinta. Intreccia le sue dita con quelle del suo amato mentre lo implora: "Sei l'unico vero amico che ho. Non lasciarmi anche tu". Non ottiene nemmeno un cenno di cedimento. "Cosa diremo ai nostri compagni di scuola?" prova quindi a chiedere cercando inutilmente alleati che la affianchino nella titanica impresa di farlo discutere.

Un ostinato Rocco, sul cui viso non si muove un muscolo, continua ad osservarla con i suoi grandi occhi sgranati, senza fare e dire nulla. La guarda fulminandola. Avverte dentro di lui una rabbia crescente alimentata dai piagnistei della sua ex. Odia quei lamenti che lo imprigionano dentro ad un amore asfissiante. Detesta quelle suppliche che costruiscono attorno a lui inespugnabili inferriate che gli impediscono di fuggire dalle sue imperdonabili colpe. Disprezza quei ricatti che s'infilzano nel suo cuore come lame taglienti che gli ostruiscono ogni via d'uscita.

"Rispondimi ti prego" lo implora Alessia giungendo le mani in un atto di estrema sottomissione.

"Cazzi miei" è l'unica risposta che Rocco dà a tutte quelle implorazioni.

Stizzito scende dall'auto.

Veloce apre con il pulsante la saracinesca del garage.

Chino lascia a passi risoluti quella casa dove aveva vissuto languidi pomeriggi d'amore.

Nella veranda di una villetta del Villaggio San Marco il padre di Rocco sta preparandosi per recarsi al lavoro.

Mentre è ancora in ciabatte sente giungere il figlio. Si ferma. Attende si apra l'uscio. I loro sguardi si scambiano un'occhiata che lascia scorrere tra l'uno e l'altro una terrificante verità. L'uomo coglie un'ombra oscura nella mente del suo ragazzo. Teme le conseguenze di quel dolore inesprimibile. Decide immediatamente di non lasciarlo da solo.

E' quindi con una sonora zuccata che tenta di sciogliere il gelo che blocca l'animo del figlio. Fa in modo infatti che le loro due teste si scontrino chinandosi contemporaneamente mentre lui sta per mettersi le scarpe e il figlio sta per togliersele. Il gesto provoca l'effetto desiderato e Rocco dà in escandescenze per passare poi ad una risata intrattenibile.

Il padre coglie immediatamente il cambiamento d'umore e invita il ragazzo ad unirsi a lui.

"Mi accompagni?" gli chiede mentre sta per recarsi al bar del suocero presso il quale serve al banco, tiene l'amministrazione ed esegue le pulizie a fine giornata. Il tutto al solo scopo di arrotondare uno stipendio da maestro, insufficiente a mantenere quella sua striminzita famiglia che lui invece avrebbe desiderato rallegrata da almeno cinque vivaci pargoletti.

Rocco pondera la richiesta pensando al nonno che, da dietro al bancone di legno massiccio, gli passa volentieri qualche biglietto da dieci. E sussurra fiaccamente: "Lasciami pensare un attimo".

Il padre si siede inquieto sul gradino rialzato che separa il marciapiede dal portoncino a vetri di casa. Tenta di farsi riscaldare da un sole di color paglierino che inutilmente cerca di fare il suo mestiere. Estrae un taccuino e un tozzo di matita. Appunta due rime perché comporre romantiche poesie è la sua vera passione. Vi si diletta quindi nell'attesa di andare a mescere vino, travasare barili d'acciughe, cuocere moscardini e mantecare baccalà. Servire cicchetti lo deve fare, volente o nolente, per tacitare Rita. Quella energica moglie che un tempo lo volle a tutti i costi perché era istruito e attraente ed ora, divenuta una pingue signora, lo vuole al solo scopo di rinfacciargli le ristrettezze a cui lui la costringe.

"Se non ci fosse mio padre che ci dà un po' di danaro tuo figlio morirebbe di fame" suole dirgli quotidianamente mentre lo sveglia da quel sonnellino pomeridiano che è per lui l'unico momento di ristoro in una giornata di lavoro che finisce a tarda notte.

"Mi fai fare brutta figura con le mie amiche. Mi vergogno ammettere che stai con quei mocciosi per un salario da fame. Potevi fare il concorso in polizia come mio fratello. Sei un gran cretino. L'unico rimasto al palo a guadagnare due lire" sente ripetersi nelle orecchie da quella moglie cicciona sempre scontenta ed ancor ferma alla vecchia contabilità. "Guarda il tuo collega come ha fatto fruttare le sue conoscenze mettendosi in politica" lo aveva apostrofato Rita proprio quella mattina di buonora gettandogli in faccia un Gazzettino ancor fresco di stampa.

Rocco esce sul portico masticando con foga una gomma americana.

Il padre lo guarda disgustato, ma tace. Sa che quello non è il momento per insegnargli la buona educazione.

"Andiamo" gli suggerisce invece con ferma tranquillità.

Rocco medita ancora un attimo su quella proposta e, massaggiandosi il leggero bernoccolo con l'ultimo fazzoletto rimastogli in tasca, scuote la testa in senso affermativo.

Segue il padre che, forse perché in quella puzzolente bettola del suocero non ha proprio voglia di andarci, lo invita a dirigersi in bicicletta verso il parco di San Giuliano per fare due pedalate all'aria aperta.

Scendono alla Porta gialla, le mani già livide. Uniscono le due bici con l'unico lucchetto a loro disposizione. Si asciugano ridendo le lacrime gelide che sgorgano dai loro occhi e proseguono affiancati a piedi.

Da sapiente educatore l'uomo tace lungo i viottoli illuminati da quel freddo sole invernale che non sa se sbucare o ritirarsi dietro una sottile coltre grigiastra.

Trattiene i rimproveri per quel maleducato rumore da ruminante che provoca l'andirivieni del chewingum nella bocca del figlio. Aspetta con pazienza che il ragazzo decida di raccontargli cosa gli sia accaduto. Attende speranzoso di ricevere l'onda d'urto di quella decisione che sa ormai presa.

Arrivano però, pur con il loro lento incedere, alla gronda lagunare senza che nessuna frase venga pronunciata. Esausti per i pensieri che hanno volteggiato nelle loro menti senza trovare una via d'uscita si lasciano andare, a peso morto, su una panchina di gelido marmo che guarda verso la Baia del re.

Rompono il silenzio cercando di concentrarsi nel vecchio gioco della conta dei campanili che scorgono da quella invidiabile postazione. Commentano le tipiche forme appuntite che sovrastano il corpo svettante delle torri campanarie. Provano a riconoscerle una ad una scrutando il loro poderoso innalzarsi verso il cielo. Mettono a confronto proporzioni ed altezze.

"Ti voglio bene" dice improvvisamente il padre interrompendo il ludico diversivo e dando un poderoso calcio ad un sasso che se ne sta fuori posto sull'acciottolato. Con un tonfo sordo lo manda così a finire nell'acqua limacciosa della laguna. E quel rumore ovattato risuona come un gong che segnala la conclusione del tempo dell'attesa.

Il silenzio invece perdura ancora qualche minuto mentre entrambi si trovano a fissare una giovane donna straniera che, spingendo una colossale carrozzina dentro alla quale riposano due gemellini ancora ignari del mondo, passa davanti a loro visibilmente intirizzita. La squadrano all'unisono attraversando, con uno sguardo da veri intenditori, un liso cappotto azzurro polvere che lascia scoperte due longilinee gambe di una bellezza unica.

"Contro la mamma non posso andare" prova a giustificarsi il padre sapendo quanto peso abbiano avuto le continue lamentele della moglie verso quell'amica del figlio divenuta troppo assidua.

A dire di Rita una ragazza troppo poco seria per quel suo unico maschio messo al mondo e tirato su con ben altre mire. "Una morosa non adatta a lui" aveva puntigliosamente ripetuto ai quattro venti dopo che a Natale il figlio aveva voluto fargliela conoscere e l'aveva supplicata di mollare i cordoni della borsa per poter offrire un dono prezioso alla sua ragazza.

"Una sgualdrina" aveva sbattuto quel giorno in faccia al figlio accusandolo di farla morire di crepacuore mentre lo tirava giù dal letto. "Mi uccidi" gli aveva chiarito aprendo con veemenza le tapparelle e scuotendo, con gesti convulsi, una scatoletta vuota dentro alla quale custodiva una fedina con incastonati dei vetrini azzurri e verdi che il figlio aveva trafugato per donarla ad Alessia.

"Se la fa con una zoccola furba ed avida che lo ha stregato" aveva comunicato al marito già seduto in cucina per la prima colazione. Non senza ricordargli che lui non le aveva mai regalato un vero anello di fidanzamento con un solitario come si deve e che invece la cugina di Trapani quel diamante ce l'aveva grosso come un chicco di caffè.

L'uomo non aveva aperto bocca. In anni di vita in comune con la sua Rita, aveva imparato che ogniqualvolta affermava qualcosa che la contrariava lei iniziava una puntigliosa dimostrazione delle sue ragioni. Parlava ore ed ore da sola all'unico scopo di dimostrargli che sbagliava. E cosa sarebbe uscito da quella bocca non era dato saperlo in anticipo. Quindi mandò giù le repliche per amore del quieto vivere, ma anche perché la moglie, con la sua parlantina addestrata in anni di schermaglie con gli avventori del bar di famiglia, era riuscita da tempo a convincerlo che voler bene a Rocco significava procurare danaro e saper tacere. Affinché non lo dimenticasse, gesticolando con le sue mani inanellate, Rita quella mattina gli aveva ricordato: "Se lo ami veramente questo figlio devi garantirgli un futuro. Se vuoi che cresca senza complessi devi impegnarti per non farlo sentire da meno dei suoi compagni del ginnasio. Se vuoi che sposi una persona a modo devi impedirgli di frequentare Alessia".

E mentre l'uomo si concentra nel ripasso della scenata avvenuta quel mattino nella fredda villetta dove i termosifoni di notte vengono sempre spenti per risparmiare, sente di nuovo la voce del figlio.

"Mamma ha ragione. Alessia non è la ragazza adatta a me. Discorso chiuso. Papi, lascia perdere".

E un Rocco trasognato estrae dalla bocca la gomma da masticare e la lancia, con un gesto preciso, nel cestino delle immondizie.

Il padre è tentato di assecondare la richiesta di soprassedere ai fatti di quel giorno. Guarda l'ora. E' visibilmente preoccupato di arrivare in ritardo alla vecchia osteria e di venir ripreso non tanto dal suocero quanto dalla moglie che è sempre pronta a trovargli i difetti. Fa per alzarsi.

"Vai che poi mamma ti dice su. Io rimango qui" dice un Rocco che conosce fin troppo bene la capacità di sua madre di far sentire in colpa gli altri.

"Non importa" afferma l'uomo grattandosi la testa quasi calva. Poi convinto aggiunge: "Non posso proprio, abbiamo un'unica catena"

Il figlio lo guarda storto. E, con tutta l'ira accumulata in quelle ultime ore, lo accusa: "Papà non ti ho visto una volta, una sola volta, andare contro mamma. Sei il suo schiavo. Ti lasci dire da lei qualsiasi malvagità. Nella mia vita non l'ho sentita dire null'altro che vali meno di quel culattone del marito di sua cugina che fa il primario, che la tua famiglia è bifolca mentre la sua è influente, che nonna Maria è avara mentre nonno, pur vedovo, ci dà una mano economicamente e ci paga ogni estate il viaggio a Trapani per permetterci di fare un po' di ferie al mare..."

"Rita è fatta così" replica un padre accorato senza però essere minimamente udito.

"Mamma dice che con il tuo stipendio da maestro nemmeno le braghe mi avrebbe potuto comperare e mi ossessiona con la sua paura che voglia dedicarmi a questa professione miserabile" afferma Rocco con voce ormai strozzata.

L'uomo reclina il capo, vinto. Subito dopo, con uno sforzo immane, lo rialza. Punta lo sguardo verso una barca a vela che esce, lenta e maestosa, dal cantiere della canottieri Venezia. Immagina di diventare uno skipper solitario e di farsi trasportare dal vento verso terre lontane. Libero. Appena si concede questo anelito avverte però la voce perentoria della moglie che lo critica per la sua scarsa responsabilità verso la famiglia. Realizza, con un repentino stringimento al cuore, che può rinunciare a tutto tranne che ad amare quel suo adorato figlio. Sposta lo sguardo verso il ragazzo. Cerca i suoi occhi. Li penetra con un messaggio d'amore che vale più di tante parole.

Rocco si vergogna dello sfogo avuto poco prima e comincia a cercare il pacchetto di sigarette che tiene ben nascosto nella tasca interna del piumone affinché sua madre non glielo sequestri.

Il padre lo guarda e sorride. In quel gesto vede l'ansia di ribellione che attraversa il suo primogenito. Lo invidia. Gli augura, con parole che rimangono chiuse nella sua mente, di riuscire a ribellarsi.

"Se Alessia ti piace per davvero non devi lasciarla solo perché tua madre ti tormenta dicendoti che non fa per te. Mamma non sempre ha ragione" afferma con voce sicura meravigliandosi lui stesso da tanto ardire.

In un attimo aveva superato sedici anni di censure.

La sorpresa lo fa alzare con uno scatto fulmineo dalla panchina. Dall'alto guarda il suo ragazzo che lo fissa stupito. Torna quindi a sedersi piegando lentamente le fiacche ginocchia.

"E' vero che sei giovane e che devi studiare, ma questo non significa che non devi amare" dice quindi con fare accorato ricordando come i suoi studi universitari furono bruscamente interrotti da quella gravidanza inaspettata che lo costrinse ad uno sposalizio riparatore.

"Papà allora lo sapevi che mamma ha mandato il suo prozio prete da Alessia per convincerla a lasciarmi in pace perché devo pensare solo allo studio, a farmi una posizione, a prendere una laurea?" chiede con voce rotta il giovane stringendosi il capo tra le mani infreddolite.

L'uomo capisce che la moglie ha messo in moto la sua macchina da guerra per affondare il figlio sotto il peso di un senso del dovere che lo faccia sentire colpevole di affliggere così duramente una madre tanto sollecita e devota che vuole solo il suo bene. Lui conosce a menadito le strategie della sua Rita dagli occhi di fuoco che nessuno, neanche il Padre Eterno, è capace di fermarla quando si mette in testa una cosa.

"E Alessia che ha detto?" pronuncia a fatica temendo ciò che sentirà.

"Che a casa nostra non mette più piede"

"E tu che hai fatto?"

"Le ho risposto che sono io che non la voglio più"

"Gioia mia se la ami non devi rinunciare a lei" proclama un padre affranto mentre davanti ai suoi occhi compare, nitida e chiara, l'immagine solare della giovanissima collega dai capelli di seta che ha conosciuto all'inizio di quell'anno scolastico.

"Tua madre non deve impedirti di amare la donna che vuoi tu" pronuncia infine non potendo trattenere il potente desiderio fisico che lo fa bramare il corpo ancora innocente della nuova maestrina a cui spera di poter insegnare tutto.

I due si guardano complici. Subito dopo spostano lo sguardo in alto per ammirare il volo dei gabbiani che volteggiano inquieti in un cielo che sta velocemente scurendo.

Si alzano scuotendo all'unisono le mani sulle spalle del loro giaccone per tentare di rimettere in moto la circolazione delle loro membra intorpidite. Provano quindi ad allungare due braccia intirizzite per abbracciarsi, ma le maniche dei loro piumoni li bloccano in un gesto impacciato.

Ed ognuno, con il cuore in sospeso, riprende silenziosamente la strada del ritorno.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.