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Commenti

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da Fuggiaschi, adolescenti tra i banchi di scuola, Berto - Scalari



Emilio, un ragazzino di quindici anni dall'aria astuta e saccente, un po' professorale, lascia il gruppo di coetanei e, senza proferire parola, va ad occupare l'ultimo sedile del pullman.

E' seguito dallo sguardo curioso dei due insegnanti accompagnatori ed è inseguito in ogni sua mossa dagli occhi indagatori di tutta la classe.

Si toglie con gesti misurati gli occhialini alla Cavour.

Li sistema con cura nel taschino della camicia.

Piega per bene il maglione che teneva sulle spalle.

Poggia lo zainetto sul sedile vuoto accanto al suo.

Abbassa lo schienale della poltrona per stare più comodo.

E... si stravacca.

Finalmente è solo.

Lontano dal cicaleccio dei compagni.

Prigioniero di una brutta storia che ha fatto anticipare di tre giorni il rientro a casa.

Chiude gli occhi.

Sembra che dorma.

Invece è attento e vigile.

Ascolta tutto.

Senza reagire.

"E' un figlio di puttana" lo apostrofa un gruppetto di compagni.

"Merita una punizione" aggiungono altri.

"Dobbiamo fargli pagare salato e una volta per tutte il suo doppio gioco" è l'auspicio delle compagne.

"Non avrei mai immaginato che fosse così stronzo" è il commento di Letizia, la ragazza che aveva sognato di compiere il viaggio seduta accanto a lui mano nella mano.

"L'aria di Parigi lo ha rincoglionito" affermano in molti.

"Ma non vi siete accorti che è sempre stato così?" conclude Carlo Zidane con la sua solita smorfia malvagia.

Emilio non fa una piega.

Comincia a rivedere le immagini della gita a Parigi.

I fotogrammi scorrono lenti, a schermo intero.

Gli mostrano particolari che in diretta non aveva colto perché relegati nelle zone d'ombra del palcoscenico.

Gli permettono di rivedere momenti che erano passati troppo velocemente per poter essere colti alla luce di quanto sarebbe poi successo.

Scopre così che la professoressa di francese ed il prof di ginnastica si erano proposti come accompagnatori non per consentire ai ragazzi di acquisire ulteriori informazioni culturali attinte direttamente alla fonte, ma per cogliere invece l'opportunità di trascorrere, insieme, loro due, una settimana a Parigi e... migliorare la reciproca conoscenza.

Rivede tra i banchi del laboratorio linguistico la delegazione di ragazzi che contratta con la professoressa una visita ai magazzini Lafayette, una notte brava a Pigalle, un pomeriggio a Montmartre, una crepe sulla torre Eiffel, una gita con colazione in bateau mouche sulla Senna e, soprattutto, un controllo discreto da parte dei due insegnanti accompagnatori, quando... ha un sobbalzo improvviso.

"Merda! - esclama - sono stato io stesso l'intransigente negoziatore"

E dopo un attimo: "Cazzo! sono proprio io che ho mercanteggiato con determinazione dei momenti di libertà"

E le immagini lo riportano davanti ai magazzini Lafayette.

Ci sono tutti, alunni ed accompagnatori, ma non tutti desiderano entrarci.

Il prof si rivolge infatti alla classe e, con rammarico e dispiacere così poco genuini da suscitare sorrisetti maliziosi nei ragazzi, notifica: "Io e la collega, per mettere alla prova la vostra autonomia, abbiamo pensato di andare a fare un giretto per conto nostro mentre voi visitate questo centro commerciale famoso in tutto il mondo. Ci piacerebbe stare con voi, ma abbiamo anche a cuore le vostre esigenze di libertà, richieste e sostenute con fervore ed insistenza dal vostro rappresentante Emilio Longhin. Ci ritroviamo qui alle tredici. Siete liberi!"

Anche la professoressa ha qualcosa da aggiungere e con voce persuasiva sottolinea: "Approfittate di questa autonomia, godetevela e, ma penso non serva ricordarvelo, fate i bravi. Meritatevi la fiducia che con fiducia vi abbiamo dato. Fra tre ore, tutti qui. Chi arriva prima aspetta gli altri. Cercate di essere puntuali. Intesi? Siete grandi. Un'ultima raccomandazione, state attenti a Luna, controllate che vi segua. La vedo ancora più imbambolata del solito"

E i due professori se ne vanno...

Noi restiamo.

Li osserviamo mentre si dirigono velocemente verso la metropolitana. E cominciamo ad essere preoccupati.

Li seguiamo mentre si confondono discretamente tra la gente. E diventiamo sempre più inquieti.

Li vediamo mentre scompaiono definitivamente alla nostra vista. E ci sentiamo frastornati.

La grande città li ha fagocitati. Noi invece li abbiamo perduti.

Siamo soli.

"Adesso, cosa facciamo?" chiede Camilla.

Nessuno risponde.

Nessuno si muove.

Tranne Letizia.

Se ne sta in disparte. Da sola. E continua a frugare nervosamente nella borsa alla ricerca di qualcosa che non trova.

Massimo e Carlo le si avvicinano furtivamente e, tirandola per la coda di cavallo, cercano di trascinarla vicino ai compagni.

Le ragazze si precipitano a difenderla.

Tra calci, pizzicotti, offese tutti si inseguono, si toccano e si spingono.

Come una grossa palla impazzita, trascinata dal flusso della folla, il gruppo rotola lentamente dentro al grande magazzino.

Maicol, tutto ad un tratto, si stacca dai compagni con un balzo all'indietro urlando: "Ragazzi, mi sto cacando sotto!"

Arianna lo segue implorando: "Se non trovo un bagno entro un minuto me la faccio addosso"

E Camilla contorcendosi come una danzatrice del ventre: "Io, per un cesso, rinuncio a seguirvi"

Emilio, contagiato dai compagni, sta per esprimere anche lui un suo impellente bisogno quando...

Fabio, soprannominato Replay per via delle continue bocciature, lo incalza così: "Pure tu ti caghi sotto?". Poi continua: "La mia esperienza di gite scolastiche, doppia rispetto alla vostra, mi permette di chiamare con il suo vero nome quello che sta succedendo". E si ferma, giusto il tempo per aumentare la souspance. Poi declama deciso: "Si può chiamare con tanti nomi: para, paura, fifa, strizza. E questo significa che siete dei cacasotto! Tutti."

Una voce: "Anche Emilio?"

"No, Emilio è di più... E' uno stronzo. Ed è proprio perché è uno stronzo che sta sempre a galla!"

"Se non la smettete di parlare di merda - interviene Massimo - va a finire che la faccio qui, in un angolino"

E quello che non poté la libera scelta lo poté invece la caccarella.

Tutta la classe infatti, compatta e solidale, si ritrova riunita davanti ai gabinetti situati nel sotterraneo dei magazzini Lafayette a disputarsi, con contorcimenti e smorfie più o meno convincenti, una squallida toilette.

Anche Emilio, come tutti i compagni, lascia il suo... ricordo in quei bagni.

Pure lui, come tutti gli altri, una volta liberatosi dal bisogno che lo opprimeva, si guarda attorno sperso e smarrito.

Cerca di orientarsi nei tetri e puzzolenti cunicoli del grande magazzino quando... sente la voce di Luna, detta la Bella Addormentata per la sua aria sempre sonnolenta e distratta, chiedersi: "Non mi ero accorta di essere arrivata al Panorama di Marghera"

E' una considerazione che mette in moto il desiderio di vivere qualcosa di più stimolante.

E' una riflessione che spinge anche i più riluttanti a ricercare altre emozioni.

Replay, come ovvio, propone di ripetere l'esperienza che aveva vissuto l'anno prima durante la gita scolastica a Vienna e dice: "Adesso, per non dare nell'occhio, ci dividiamo in gruppetti e ognuno ruba qualcosa. Vi rassicuro che è un'emozione indimenticabile. Poi stanotte sensazioni ancora più forti. Tra un'oretta tutti fuori".

Proprio in quel momento il pullman ha un improvviso e violento sobbalzo per un'inaspettata ed energica frenata.

Emilio scatta in piedi e, ancora immerso nei suoi ricordi, esclama: "Che deficiente sono stato ad accettare! Ma chi me l'ha fatto fare? Perché mi metto sempre nei guai?"

Perde l'equilibrio.

Cade in modo ridicolo.

Batte la fronte sul bracciolo del sedile.

Adesso la testa gli ronza così come gli ronzano nella mente i pensieri che lo mettono di fronte alle sue responsabilità.

La gola gli si secca.

Freddi brividi gli attraversano la schiena.

Ha bisogno di uno stacco per poter riprendere il flashback.

Beve un sorso d'acqua minerale da una bottiglietta da mezzo litro conservata diligentemente nello zainetto.

Indossa il pullover di lana ordinatamente risposto nell'apposita retina sopra il sedile.

Si rigira nella poltrona cambiando prudentemente posizione per evitare eventuali formicolii alle gambe.

E richiude gli occhi.

Le immagini, adesso, riprendono a scorrere nitide davanti a lui.

Gli raccontano del suo tentativo di proporsi come controllore della Bella Addormentata.

"Così le impedisco di creare casini" è la motivazione che porta a sostegno della sua scelta.

"Così, come tuo solito, ti tiri indietro e rinunci a rubare" lo schernisce invece il gruppo.

"Emilio, Emilio - gli fa presente Letizia - continui a giocare a nascondino da solo. Quanto più semplice sarebbe se ti dicessi che sei un fifone "

"Con la Bella Addormentata ci sto io" insiste lui con convinzione.

"No, tu vai con gli altri e mi porti un rossetto o un profumo. Rubati però, non pagati! Dimostrami e soprattutto dimostrati che hai i coglioni"

Emilio si vive scoperto ed accetta, suo malgrado, la sfida.

Le immagini continuano a scivolare via. Implacabili.

Adesso lo riprendono mentre si dirige verso il reparto profumeria e si ferma ad osservare la merce esposta.

Fingendosi interessato a quei prodotti prende in mano uno smalto e un rossetto viola.

Due occhi lo inseguono da lontano. Sono quelli di Replay che, preoccupato, bisbiglia: "Cretino. Non capisci che sono prodotti tipicamente femminili e che tutti ti guardano incuriositi perché ti credono un finocchio?"

Altri due occhi lo seguono invece da vicino. Sono quelli della commessa che, insospettita, gli chiede: "Voulez vous un cadeau pour votre copine?"

Emilio è in preda al panico.

Si vede scoperto nelle sue intenzioni.

Interpreta la domanda della commessa come un atto d'accusa.

E' preso dalla strizza.

Cerca di scappare il più lontano possibile.

Ma si sente bloccato.

Le gambe non gli ubbidiscono.

Tenta allora, goffamente, di difendersi con le parole.

Riesce a biascicarne qualcuna: "Je non comprendo pas. Io non capire rien. Je voulais seulmente regarder..." quando arriva Letizia mandata da Replay.

La fanciulla prende in mano la situazione e, fingendosi la sua ragazza, lo bacia delicatamente ed insieme provocatoriamente sulla bocca, si mostra interessata all'acquisto di un rossetto, di una lacca e di un profumo. E, mentre tocca, guarda, chiede, prova e sceglie, fa scivolare nelle tasche di Emilio qualcosa.

Il ragazzo trasecola. Vorrebbe scappare. Togliersi da quella situazione scabrosa. Mette la mano in tasca per liberarsi del maltolto, ma viene stoppato da Replay che, in stretto dialetto veneto, per evitare di essere capito dalla commessa, lo minaccia così:[1] "Milio, no far el mona. Se te scampi a signorina podaria pensar che te ga a coa de paia e cussì a te trova queo che te ga in scarsea. No te vorà miga passar na setimana in preson. Mi e Letisia semo neti. Ti se ti, mona, che te ghe e scarsee piene de roseti e de profumi. Adesso, pian pianin te va verso a porta a braseto con Letisia. Se trovemo fora. Ti me ga capio! No far el coion, me racomando..."

Emilio ubbidisce.

Davanti alla cassa Letizia si ferma e paga il bagnoschiuma che tiene in mano. Le cose però vanno per le lunghe perché la ragazza, di proposito, ritarda e complica le operazioni di pagamento.

E' infatti grande il suo piacere di vedere il volto teso, gli occhi spiritati, il sorriso ebete che mostrano l'imbarazzo e la paura del compagno.

Dopo alcuni minuti vissuti da Emilio come se fossero l'eternità, Letizia lo prende sottobraccio e, come due fidanzati, escono insieme. Ad attenderli in strada c'è tutta la classe che applaude. La gente si ferma a guardare. Ci sono anche due poliziotti. Emilio, che non è ancora riuscito a liberarsi della refurtiva, teme di essere scoperto e, di nascosto riempie la borsa di Luna con quello che aveva in tasca.

Replay e Letizia hanno visto tutto e gli dicono: [2]"Oltre che mona, coion e stronso, ti ze anche un viliaco. Scondete!"

Emilio incassa.

Proprio in quel momento il pullman si ferma davanti ad un semaforo che segna rosso per lavori in corso in una corsia di marcia.

Anche le immagini si fermano.

Emilio ha un sussulto. E' atterrito dalla nuova consapevolezza. Il cuore gli batte forte. Il fiato è corto. Si stiracchia. Cambia posizione e, nel momento in cui il pullman riparte, ripartono anche le immagini e lo riportano alla scena successiva.

Ansimanti e stralunati a causa della corsa per non arrivare in ritardo, come vorrebbero dare ad intendere i due professori, affannati e stravolti dalle pratiche erotiche, come invece pensa il gruppo, arrivano i due insegnanti.

Si ritorna in albergo dopo una breve visita al quartiere latino.

Emilio, sempre stravaccato sulla poltrona del pullman che lo sta portando a casa, cerca di accelerare i ritmi della storia che si sta raccontando. Liquida infatti in fretta e furia la prima cena a Parigi ricordando solamente l'atmosfera euforica, preludio a qualcosa di importante che sarebbe successa di lì a poco e che avrebbe dato una svolta imprevista ed imprevedibile alla gita a Parigi.

Vengono rigettate le istanze di alcuni ragazzi che chiedono di poter uscire dopo cena a vedere la Pigalle notturna e di altri che, avendo letto una locandina che pubblicizzava uno spettacolo di cabaret nel teatrino dell'albergo, domandano il permesso di poterlo vedere.

Vengono poi espletate le formalità che prevedono l'assegnazione delle stanze, tutte nello stesso piano, l'ultimo, escluse le due singole dei professori, al penultimo.

Viene anche risolta con grande facilità l'assegnazione dei posti nelle camere.

Vengono pure fatte le telefonate a casa, concordate con le madri, per rassicurarle e tranquillizzarle che tutto procede bene e, soprattutto, che si è vivi e vegeti anche senza di loro.

E, terminata l'ultima chiacchierata, resi noti gli ultimi accordi ed ascoltate le ultime ed inutili parole dei professori, con un sincronismo perfetto, tutti si alzano dalle comode poltrone e dai grandi divani della hall dove se ne stavano sprofondati e si dirigono verso le proprie stanze non senza aver dato un ultimo sguardo alla televisione francese.

I due insegnanti percorrono e ripercorrono più volte il lungo corridoio dell'ultimo piano prima di ritirarsi nelle loro camere.

C'è un silenzio di tomba.

"Sono stanchi morti - dice l'uomo alla collega - ai miei tempi si stava svegli tutta la notte"

E la donna: "Il preside ci aveva detto che era una classe facile da gestire"

"Che ne dici se andiamo a fare una passeggiata verso Montmartre?"

"Sai dov'è?"

"Basta chiederlo al portiere"

"Qui tutto tace. I ragazzi dormono come angioletti"

"Andiamo allora a conquistare la notte"

Le luci del corridoio dell'ultimo piano si spengono e rimangono accese quelle di servizio.

"Se ne sono andati" dice sottovoce Fabio ai suoi due compagni di stanza.

E si sente rispondere: "Aspettiamo ancora un po'. Diamo loro il tempo di scendere. Hanno le camere proprio sotto di noi e, come la nostra e quella di Emilio, devono essere comunicanti tra di loro"

"Meglio aspettare cinque minuti in più che veder fallire il nostro piano"

I cinque minuti sembrano un'eternità, ma passano.

Mentre Replay apre la porta interna che mette in comunicazione la sua stanza con quella di Emilio, la più grande di tutte con i due letti a due piazze, gli altri con alcuni colpi alle pareti danno il via al tam tam.

A poco a poco le due camere si riempiono e, per quanto tutti facciano del loro meglio per abbassare i toni, lo strepito comincia pian piano a farsi sentire.

All'appello manca Luna. "E' tutta presa a recitare il suo ruolo di Bella Addormentata - spiega Letizia - lasciamola tranquilla. Più tardi, forse, manderemo Emilio a svegliarla con un bacio"

"Mancano anche Orchidea e Lara - aggiunge Camilla - hanno entrambe le mestruazioni accompagnate da un fortissimo mal di testa. Si sono imbottite di analgesici per farselo passare. Inutilmente però!"

Stefania: "Che sfigate! E pensare che ci tenevano tanto"

Carlo: "Lo sfigato sono io. Orchidea mi aveva promesso uno spogliarello. Quando mai mi capiterà un'altra occasione? A meno che...". "A meno che cosa..." chiede Stefania.

E Carlo: "A meno che tu non prenda il suo posto!"

"Chissà! Potrebbe essere. Forse. Sei un bel macho. Vedremo!" gli risponde la ragazza.

"Ma non sarebbe più semplice rispondermi con un sì o con un no?"

"Come siete squallidi voi maschi. Vuoi subito la mia risposta? E' no!"

"Pure Andrea non si è fatto vedere. Quando sono uscito dormiva come un angioletto. Non me la sono sentita di svegliarlo" informa Luca.

Intanto su un tavolo cominciano ad apparire una bottiglia di Don Perignon, una di Calvados, una di Bordeaux, lattine di coca cola, due boccettine di Chanel n°5, una lacca per unghie dell'Oreal ed un rossetto marca Lancòme.

"Dove le avete prese?" chiede Emilio un po' contrariato e molto impaurito da quello che, viste le premesse, si sta preannunciando.

"Le bottiglie ce le ha regalate Monsieur Lafayette - gli risponde Letizia - come omaggio per la nostra bellezza."

"Le due preziose boccettine di profumo assieme al rossetto ed alla lacca viola, e smettila di fare il finto tonto, - lo investe Cristina - le hai rubate proprio tu al signor Lafayette per omaggiare me e Letizia"

"Non è vero" urla Emilio, lanciandosi verso il tavolino per cancellare le prove del suo furto.

E, mentre viene preceduto da Replay che mette in salvo i profumi, viene contemporaneamente zittito dai compagni e redarguito da Letizia. Tutti lo accusano di essere colui che fa baccano e che disturba la quiete dell'albergo.

Intanto si comincia a bere.

Si fumano spinelli.

Si lotta con i cuscini.

Si fanno volare per la stanza gonne, magliette e reggiseni.

Si formano delle coppie.

Si inizia a pomiciare.

Si passa dai baci alle carezze.

E, via via, si osa sempre di più.

Emilio osserva.

Respinge sdegnosamente le avance di Letizia.

E la ragazza accetta la corte di Fabio.

Le bottiglie si svuotano.

E le relazioni tra maschi e femmine aumentano di... intensità.

Diventano sempre più intime e più hard.

E ci si scambia il partner.

Emilio, seduto su una poltroncina stile rococò, sta inseguendo i suoi pensieri: "Non era questo l'accordo! Mai e poi mai avrei pensato che sarebbero arrivati a tanto! Devo fermarli! Ragazzi, avete raggiunto il massimo! Adesso basta!".

Nessuno, però, lo bada.

Le immagini lo mostrano mentre sguscia fuori dalla sua stanza e va alla ricerca dei professori.

Non sono in camera.

Non sono nella hall.

Non sono nemmeno al bar.

Non sono neppure seduti davanti alla televisione.

Non sono in albergo.

Non sono rientrati.

E non sa più dove cercarli.

E' disperato.

Sta per ritornare sui suoi passi quando li vede spuntare stancamente da una scala.

Si precipita verso di loro.

Li terrorizza con la descrizione di corpi sudaticci in preda al vomito.

Li colpevolizza per la loro assenza.

Li invita a salire.

Intanto arrivano di fronte alle due stanze. Spalancano di slancio le porte e... la scena che appare ai loro occhi è a luci rosse.

Replay è ubriaco fradicio così come Letizia.

Alcuni sono in pieno sballo.

Altri dormono alla grossa stravaccati uno sull'altro, in un mucchio informe ed indefinito impossibile da districare.

Sparsi in giro indumenti intimi e pigiami nuovi comperati per l'occasione.

Poi bottiglie vuote e bicchieri di carta posati ovunque.

Ed ancora lattine varie non completamente svuotate che gocciolano da per tutto.

Mozziconi di sigarette persino dentro al frigo bar lasciato aperto.

C'è pure una ciabatta che, non si sa come, è finita attaccata al lampadario facendo assumere alla luce una tonalità da night club.

Quando ritorna la normalità è già giorno.

I professori, riuniti i ragazzi in una stanzetta si fanno raccontare quanto è successo per filo e per segno e, alla fine, decidono di telefonare al preside per informarlo dell'accaduto e per conoscere le sue decisioni.

L'invito che ricevono è di tenersi pronti per il ritorno da effettuare a qualsiasi ora, subito dopo che si è riunito il consiglio di classe e si sono informati i genitori.

E all'alba del terzo giorno di permanenza a Parigi arriva l'ordine del rientro previsto per le ore ventuno nel cortile della scuola.

Una frenata.

Emilio, che evidentemente si era addormentato, si sveglia e guarda fuori dal finestrino per orientarsi.

E' buio. Il vetro riflette il suo viso. Si ripara allora con le due mani dalla luce che illumina l'interno del pullman e non riesce a trattenere questa esclamazione: "Ma stiamo per arrivare. Siamo già a Marghera!"

Tutti si precipitano a guardare fuori.

Vedono per prima una lingua di fuoco rossa ed azzurrina uscire da una grande ciminiera per poi dividersi, a contatto con l'aria, in tante fiammelle giallognole che vengono inghiottite da un mostro nero mimetizzato dentro un cielo senza stelle.

Tutt'intorno un silenzio di tomba.

Anche nel pullman nessuno fiata.

Vedono poi altre ciminiere seminare tutt'intorno fumi biancastri che sembrano volare nell'aria come dei terribili uccelli preistorici pronti a gettarsi sulla preda.

Tutt'intorno un'atmosfera spettrale.

Anche nel pullman il clima è funereo.

Vedono ancora un ginepraio di tubi che, come serpenti velenosi, avvolgono tutto l'ambiente sottostante spandendo, con sibili e fischi che penetrano prepotenti nelle orecchie, dei getti di vapori tossici che ammorbano l'aria.

Tutt'intorno un odore nauseabondo.

Anche nel pullman l'aria è irrespirabile.

Ed è sempre Luna, anima candida, che afferma impaurita: "Ma stiamo andando all'inferno?"

Emilio pensa: "Si sta avvicinando l'ora della sentenza"

Molti si chiedono: "Sarà un giudizio benigno?"

Tutti lo sperano. Ma... Ecco stagliarsi davanti ai loro occhi il profilo incombente, intimidatorio e minaccioso dell'istituto.

E' tutto buio.

Solamente una stanza al primo piano ha la luce accesa. E' però un chiarore che rende ancora più cupi e sinistri i pensieri di tutti.

"Quella illuminata mi sembra la stanza delle torture" esclama con sofferenza Maicol.

"Ma io sono innocente - tenta di difendersi Orchidea - io ero a letto con il mal di pancia. Non possono farmi niente"

Fabio: "In quel posto non ci sono innocenti"

E poi uno dopo l'altro:

"Non c'è nemmeno giustizia"

"Quindi neanche difesa"

"Nessuno ti sostiene"

"Si è soli"

"Che brutto sentirsi mollati da tutti"

"Mai terribile come quando ci ha traditi Emilio facendo la spia"

"Soli, indifesi, delusi ed ora anche condannati"

"I professori se ne sono proprio fregati di noi"

"Hanno pensato solo a loro stessi"

"Ma se la colpa è dei prof perché dovrebbero condannarci?"

"Perché i grandi prima pensano di poterti abbandonare e dopo ti castigano se ti arrabbi" urla Carlo con un tono di voce aggressivo ed irruente e con la sua solita smorfia perfida ed ostile.

Luna, tremante, sussurra: "Mi fate paura!"

Un gruppetto le si avvicina per rincuorarla.

Le voci che riempiono il pullman però non sono per niente tranquillizzanti.

"Anch'io sono in para"

"Io invece sento una gran strizza"

"Dobbiamo stare uniti se vogliamo avere delle probabilità di salvarci"

"Non possono condannarci tutti"

"A chi farebbero scuola, ai banchi?"

E, improvvisamente, cala un pesante silenzio.

Il pullman entra lentamente nel cortile della scuola.

"Ragazzi, siamo arrivati, prendete le vostre cose e scendete" ordina il professore.

"State attenti a non dimenticarvi niente" aggiunge la professoressa.

E la classe I^ A dell'istituto linguistico - Gramsci - si trova davanti al portone d'ingresso della scuola.

L'atrio è buio. Fanno da guida le luci accese dell'aula insegnanti.

Ombre ostili popolano il corridoio che porta alla stanza illuminata.

"Mi viene in mente la favola di Pollicino" dice Luna.

"Quando è abbandonato nel bosco dai genitori. E non sa più trovare la strada per salvarsi" conclude sfiduciato Carlo.

E Letizia, prendendo per mano Luna, aggiunge: "E non sapendo dove andare si dirige con i suoi fratelli verso le finestre illuminate di una casa credendo di salvarsi ed invece finisce proprio nell'antro di un Orco cattivissimo"

E Replay: "Ma sono riusciti a farlo fuori!"

"Vorremmo tutti che anche la nostra realtà fosse una favola - bisbiglia mestamente Carlo - ed invece è un casino!"

Entrano nella sala.

Emilio, vedendo i genitori tutti riuniti in gruppo, dice ai compagni: "Mamme e papà ci sono. Non ci hanno abbandonati. Sono venuti a salvarci"

"Da chi?" si sente chiedere.

"Dall'Orco!"

"Immagino che volevi dire dal Preside"

"Ma non lo vedi che è solo soletto, come un povero Cristo"

E per la prima volta tutta la classe sghignazza all'unisono.

Viene immediatamente zittita dal povero Cristo che, in un silenzio glaciale, annuncia: "Informo genitori e ragazzi che, a causa dell'indecente comportamento tenuto da tutti gli alunni in Francia e del nocumento che hanno arrecato al buon nome del nostro istituto, tutta la classe è sospesa!".

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.